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Memorie – In viaggio verso Auschwitz (2015) – Recensione e Intervista al Regista

Memorie - In viaggio verso Auschwitz è un film di Danilo Monte con Roberto Monte dove il regista e l'attore, suo fratello, esplorano il loro conflitto.

Di Gianluca Frazzoni

Pubblicato il 23 Ott. 2015

Memorie – In viaggio verso Auschwitz di Danilo Monte. Distribuito in Italia da LAB80

 

Memorie – In viaggio verso Auschwitz è un film documentario di Danilo Monte con Roberto Monte. ‘Di’ e ‘con’ non identificano come da tradizione il regista e l’attore bensì il regista che Con l’attore, suo fratello, esplora il senso del loro conflitto.

Danilo regala a Roberto per il suo trentesimo compleanno un viaggio ad Auschwitz che i due faranno insieme; Roberto ha un vissuto di tossicodipendenza e una passione per la storia, Danilo non può più rimandare un confronto che il tempo ha caricato di distanze variamente interpretabili. Nel loro percorso, che il film sviluppa inserendo video di un passato familiare sul quale intimamente ci si interroga per comprendere cosa si sia interrotto, Danilo e Roberto afferrano ciascuno le proprie idee, la rabbia che rimugina, le accuse reciproche e il tentativo di uscirne liberi, vivi, passando attraverso il bisogno di affermare le proprie ragioni su quelle dell’altro nel rischio di esasperare l’incomunicabilità.

Nel cammino verso il teatro dell’orrore mettono in scena uno scambio profondamente vero, mai retorico mai interessato alla conciliazione fine a se stessa, si danno la libertà di tenersi ognuno i propri dubbi e ognuno la possibile intolleranza verso ciò che è stato. Il conflitto diventa narrazione di temi familiari controversi, la necessità di salvarsi da un dolore che può non avere parole ma non può non essere sentito.

Danilo e Roberto forse si ritrovano, certamente ritrovano le forme particolari che il conflitto aveva offuscato nella rivendicazione cieca. L’approdo alla meta, il contatto con la memoria collettiva di un dolore insanabile, li porta a fermarsi per osservare meglio, per ascoltare e fare scorrere il flusso di ciò che prima del viaggio era caotico, non intelligibile. La spinta al confronto è costante, bisognosa ad ogni passo di ricevere ancora energia, i modi di essere si contrappongono nel desiderio forse mai veramente negato di trovare una sintesi vicina alle immagini dei compleanni, del Capodanno. L’assenza di percorsi da forzare verso un significato condivisibile è il presupposto per cercare una condivisione più difficile vincolata a un’unica condizione, che sia autentica. La parola al regista.

 

Memorie – In viaggio verso Auschwitz (2015) Intervista con l’autore

Intervistatore (I): Qual è stata l’urgenza che ti ha spinto a fare questo film?

Regista (R): Alcune problematiche erano lì da troppo tempo. Gli anni passavano, la distanza tra noi aumentava. Ho sentito che era necessario parlarsi, affrontare le difficoltà; magari litigando, ma confrontarsi. Sentivo che dovevo provare a mettere a posto una parte della mia vita.

I: Come ti sei sentito mentre giravi il film?

R: Spesso in balìa dei sentimenti. Le emozioni sono state tante, con mio fratello ci siamo accusati e difesi, ci siamo arrabbiati, ed io ho ho provato anche senso di colpa.

I: Colpa?

R: Sì. Le nostre vite sono state molto diverse, mi è capitato di pensare che in alcuni momenti avrei potuto stargli più vicino, ma allo stesso tempo mi faceva arrabbiare che lui utilizzasse i miei sensi di colpa per proteggersi. Io mi sono allontanato da alcune dinamiche, da alcune situazioni per salvaguardare me stesso; sono andato via e questo forse mi ha fatto sentire persino un traditore.


I: Cosa porta due fratelli a dividersi?

R: A volte le esperienze, il modo di crescere. Abbiamo preso strade differenti, io ho sempre avuto l’impulso di costruire, di migliorare la mia vita, lui no. Così in me è nata la presunzione di poterlo giudicare. Ma anche attraverso questo film ho capito che è sbagliato. Si doveva attraversare questo passaggio, riconoscere – grazie a mio fratello – questo istinto giudicante per comprendere ciò che in passato era sfuggito.

I: Com’è affrontare un tema così personale in un film?

R: Sentivo di non avere il polso della situazione, di trovarmi all’interno di un flusso che scorreva in modo autonomo. Avere un doppio ruolo poi, il regista consapevole che ha piena libertà espressiva e il fratello del protagonista direttamente coinvolto nella narrazione, è stato complicato da gestire emotivamente. I contenuti si intrecciano e ne scaturisce qualcosa che va al di là della singola prospettiva.

I: E la scelta di Auschwitz?

R: Oltre ad essere il luogo che più di ogni altro mio fratello voleva visitare dato il suo interesse per la storia di quel periodo, Auschwitz è il luogo dell’antiumanità dove potevamo riflettere sulla nostra umanità. Paradossalmente, il luogo dell’orrore supremo è anche il luogo più bello per crescere. È un luogo che ha un ruolo nella coscienza di tutti noi, è la nostra memoria collettiva. C’è un’energia che rimane e che si percepisce, nei luoghi dove si consuma una tragedia così grande.

I: Come si può secondo te superare un dolore profondo?

R: È difficile dirlo. Nella mia esperienza personale ho provato insieme a mio fratello a fermare per un attimo la vita, così che potessimo darci liberamente, confrontarci su temi dolorosi. Forse la possibilità di un confronto autentico con se stessi e con l’altro è una strada per dare un senso al dolore. Occorre coraggio, anche nella vicenda di questo film non sono mancate le vicissitudini, le crisi. Ecco la mia convinzione profonda è che da una crisi possa nascere la materia di un cambiamento. Andando avanti dopo una crisi ci si scopre cambiati.

I: Come influisce il passato sul presente, secondo te?

R: Influisce molto. E non solo il passato del singolo individuo ma anche, come dire, l’albero genealogico, il repertorio di atteggiamenti, abitudini, modi di essere che appartengono alla storia di una famiglia nella sua globalità.

I: Ti senti cambiato da questo film?

R: Sì. Mi sono trovato a far combaciare la vita col cinema, mi era già successo in passato e anche in questo caso l’effetto si avverte. Ho sentito l’esigenza di ripartire da me per potermi rivolgere agli altri, in modo che la mia esperienza non fosse solo un racconto personale ma diventasse anche una riflessione più ampia. Per riuscirci dovevo partire da un mio bisogno e instaurare un rapporto diretto con l’oggetto della storia. Un documentario non è un film di un regista, come avviene per le pellicole del cinema tradizionale, bensì un film di un regista con qualcuno. Questo è il mio film con mio fratello. Da questo sentimento intimo, da questa esigenza ho potuto iniziare un discorso che si aprisse alle altre persone, al pubblico.

GUARDA IL TRAILER DEL FILM

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