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Inside out regala un volto alle emozioni: l’educazione emotiva arriva al cinema

Nel film vi è l’invito ad esprimere le proprie emozioni e legittimare quelle altrui. La validazione emotiva diviene elemento essenziale delle relazioni. %%page%%

Di Annalisa Gagliardi

Pubblicato il 08 Ott. 2015

Aggiornato il 29 Ago. 2019 12:03

Annalisa Gagliardi – OPEN SCHOOL Studi Cognitivi Milano

In questo è racchiuso il vero senso del film: l’invito ad esprimere le proprie emozioni da un lato e la legittimazione da parte di chi ci sta vicino di quanto sia giusto esprimere il proprio stato d’animo. La validazione emotiva diviene, pertanto, un elemento essenziale delle relazioni che funzionano bene, in cui si vive l’esperienza di sentirsi compresi per ciò che si prova.

Su State of Mind avevamo parlato della valenza psicoeducativa di Inside Out, successivamente di come il film utilizzi la teoria cognitiva della mente per spiegare le funzioni delle emozioni mentre la scorsa settimana ci siamo concentrati sull’importanza della memoria e dei ricordi in Inside Out  e della valenza positiva della tristezza. Pochi giorni fa abbiamo invece analizzato Inside Out e il suo utilizzo come homework in psicoterapia- psicoeducazione (NdR).

Inside out rivoluziona il futuro dell’educazione emotiva, concedendo lustro alle emozioni del quotidiano e ponendo in primo piano un vero e proprio elogio della tristezza. In un epoca divorata dal reale, satura di tecnica e tecnologia, ci ritroviamo sorprendentemente immersi nell’evanescente mondo delle emozioni.

Hai mai pensato perché a volte ti senti in un certo modo?’ questo l’incipit del nuovo vanto della Pixar, che con la maestria alla quale ci ha in questi anni abituati, mette in scena quello che accade nella testa di Riley, una vivace undicenne che si trasferisce insieme alla sua famiglia dal Minnesota a San Francisco.

Già dal titolo, letteralmente ‘Dentro e fuori’, ci predisponiamo ad una riflessione circa la natura contaminante delle emozioni, di quanto esse siano in grado di prendere il sopravvento dentro e fuori di noi, secondo un ordine di priorità che ha animato le discussioni teoriche di decenni. Ci imbarchiamo in un viaggio alternato dentro e fuori dalla nostra testa, avvolti in quel vortice emotivo che condiziona simultaneamente il nostro stato d’animo e le nostre azioni.

Per una ragazzina di undici anni, trasferirsi significa lasciare la bella casa dove sei cresciuta, lasciare la tua migliore amica e la squadra di Hockey, inserirsi in un nuovo ambiente, nuova scuola, nuovi amici, nuove sensazioni. Se l’ambiente che la circonda perde di stabilità, il Quartier generale a capo delle sue emozioni, entra legittimamente in subbuglio.

Tra i registi della nostra vita interiore troviamo Gioia, allegra, forte, ottimista, luminosa. Avvolta in un grosso maglione, troviamo, invece, Tristezza, di blu dipinta e nascosta dietro un paio di sottili occhialoni tondi, ci sorprende per quanto possa essere buffa, e altresì risolutiva nelle sfide che la vita ci propone. Rabbia è un ometto tarchiato tipicamente rosso, che evita a Riley di subire ingiustizie. Quando entra in azione Rabbia, l’utopia del controllo tipicamente fallisce. In verde Disgusto è ‘colei che evita che Riley venga avvelenata, fisicamente e socialmente’ e infine, nei panni del nerd filiforme, violaceo e un po’ stressato troviamo Paura, pronto ad attivarsi quando il pericolo è in agguato.

Queste 5 emozioni prescelte, interpretano il mondo esterno e guidano le azioni della protagonista nell’affrontare le difficoltà che, una qualunque undicenne, potrebbe affrontare nel trovarsi catapultata in una nuova città.

La sensazione di sradicamento e abbandono, che emergono dall’esperienza del trasferimento innescheranno il conflitto interiore. E’ risaputo che cambiare città, può incidere sull’abilità dell’individuo di adattarsi al nuovo ambiente, influenzando il benessere personale e la capacità di creare nuove relazioni. Un cambiamento di tale portata può essere profondamente destabilizzante per una bambina di undici anni e come rappresentato nel film, Gioia perde il dominio del Quartier generale. Tristezza comincerà a contaminare i bei ricordi passati di Riley, mentre Gioia e il suo inattaccabile ottimismo farà di tutto per salvare il salvabile. Troppo triste anche per se stessa, Tristezza scappa, si perde, fino a compiere un inaspettato auspicio: insegnarci che la tristezza può essere sdoganata, può essere vissuta ed esternata, divenendo lo strumento per raggiungere una felicità più piena e consapevole.

Attraverso Tristezza, Riley imparerà a sentirsi legittimata ad esprimere il dolore, ricevendo di riflesso il caldo abbraccio di chi le vuole bene. In questo è racchiuso, a mio avviso, il vero senso del film, l’invito ad esprimere le proprie emozioni da un lato e la legittimazione da parte di chi ci sta vicino di quanto sia giusto esprimere il proprio stato d’animo. La validazione emotiva diviene, pertanto, un elemento essenziale delle relazioni che funzionano bene, quelle relazioni in cui si va oltre il ‘non ci pensare’, ma in cui si vive l’esperienza di sentirsi compresi e giudicati per ciò che si prova.

Definito da molti ‘L’elogio della tristezza’, il film affronta con coraggio un tema scomodo per un cartone per bambini, ma la poesia che ne scaturisce, non è certo un inno al pessimismo, bensì una fotografia tutt’altro che patinata della realtà, dove il tema del cambiamento e della perdita sono parte integrante del normale corso della vita.

L’intento del film è quello di rappresentare cosa accade nella testa di una undicenne, impresa assai complessa, considerato che ad oggi non esiste ancora un reale accordo in merito alle teorie scientifiche sulle emozioni. Un mistero che affascina e appassiona gli studiosi fin dai primi studi di W. James (James, 1884) che definiva l’emozione come il sentire i cambiamenti neurovegetativi a seguito di uno stimolo, e cosi, la casa di animazione di John Lasseter, che annovera tra i suoi successi capolavori come ‘Monsters’ e ‘Up’ ha intrapreso la sfida di fare delle emozioni, un viaggio avventuroso e non privo di insidie, all’esplorazione della complessità della vita.

Il lavoro per arrivare al film è stato molto lungo, gli autori sono andati a scavare tra gli scritti di Freud e Jung, il regista stesso definisce la teoria da loro creata per la realizzazione del film una versione un po’ più pop di Jung. Tra i consulenti scientifici troviamo l’illustre Paul Ekman (professore emerito di psicologia della University of California, San Francisco) pioniere nelle ricerche sul riconoscimento delle emozioni e Dacher Keltner (professore di psicologia della University of Calfornia, Barkeley) che si occupa dello studio delle emozioni e della loro funzione sociale.

Pete Docter, regista del film, dopo essersi attentamente documentato sulle teorie più accreditate sulle emozioni, ha messo sul piedistallo 5 stati d’animo: gioia, tristezza, paura, rabbia e disgusto. I consulenti scientifici del film, avrebbero voluto includere altre emozioni, ad esempio la sorpresa, ma secondo Docter, utilizzare più emozioni sarebbe stato confusivo. Si tratta pur sempre di un cartone per bambini e un canovaccio troppo ricco di personaggi sarebbe stato poco fruibile.

Ad ogni modo, il film richiama con maestria alcuni presupposti teorici fondamentali delle emozioni. Mostrandoci la mente delle altre persone, scopriamo che tutti gli esseri umani possiedono il medesimo corredo emozionale, seppur caratterizzato da peculiarità proprie. Nel film ogni emozione ha caratteristiche salienti, un look ben definito e ciascun personaggio ospita nella sua testa le proprie emozioni personalizzate secondo una loro unicità.

Esploriamo così il concetto di universalità delle emozioni e l’influenza degli effetti di personalità e temperamento nella loro espressione. Nella storia osserviamo che la mamma, il papà e gli amici di Riley, sono tutti dotati dello stesso assetto emotivo, ma ognuno di loro esprime le emozioni secondo le personali propensioni, secondo il genere e secondo l’interpretazione che fanno della realtà.

Non mancano a tale proposito i momenti di comicità nello scambio di opinioni tra madre e padre, dal quale emerge tutto lo stereotipo delle dinamiche uomo-donna nell’interpretazione emotiva della realtà.

Usando le parole di Klaus Scherer, le emozioni assumono la funzione di mediatori tra i bisogni dell’organismo e le richieste dell’ambiente. Il concetto di ‘valutazione cognitiva’ delle situazioni emerge con forza: le emozioni sono caratterizzate da rappresentazioni cognitive della realtà, e parimenti possono influenzare il ragionamento razionale, influenzando le percezioni del mondo e le funzioni della memoria. In merito a ciò nella trama è possibile osservare il contagio cromatico che compie Tristezza avvicinandosi alle sfere del ricordo, colorandole di blu e modificandone la loro essenza iniziale.

Inside out sembra aprire un varco in una nuova era, in cui l’educazione emotiva diviene centrale nel percorso di formazione dei bambini. Riconoscere il senso e il valore delle emozioni sembra poter sdoganare la legittimità delle fragilità umane, che danno slancio al contatto con noi stessi e con gli altri.

Dagli studi di J. Gottman e Declaire (Declaire, Gottman, 1997) si evince che:

i figli emotivamente allenati ottengono migliori risultati a scuola, stanno meglio in salute e stabiliscono relazioni positive con i coetanei. Hanno anche minori problemi di comportamento e riescono a riprendersi più rapidamente dopo esperienze negative. L’intelligenza emotiva permette di essere più preparati ad affrontare i rischi e le sfide della vita.

La qualità di vita di un bambino è influenzata dal modo in cui apprende a conoscere e gestire le proprie emozioni. Se troppo agitati o turbati sarà molto difficile mettere in moto le proprie risorse di concentrazione, attenzione e memorizzazione, con ripercussioni negative sull’apprendimento. Il ruolo delle emozioni diviene, quindi, rilevante nel meccanismo dell’apprendimento stesso, raggiungendo la medesima importanza del ruolo fino ad oggi egemonico concesso a intelligenza e razionalità. Conoscere le emozioni, vuol dire saper dare un nome ai propri stati emotivi e ai propri pensieri, fino ad acquisire fondamentali abilità di autoregolazone del proprio comportamento.

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Al contrario, la protagonista del film, nasconde la sua tristezza e come materia liquida si diffonde nelle trame più sottili della sua personalità, contaminando sogni e ricordi. Riley temeva di piangere, di protestare e di stare nella sua tristezza, come se talvolta, sulla carreggiata della quotidianità ci fosse affisso un divieto di stare nel proprio dolore, come se l’unico modo per essere felici fosse fuggire dalla propria tristezza.

La difficoltà che deriva nell’espressione e nel riconoscimento delle emozioni, influenza negativamente sia le prestazioni scolastiche, sia l’interpretazione degli eventi di vita. Imparando a conoscere e riconoscere le proprie emozioni, invece, il bambino impara a muoversi in un territorio non più sconosciuto, forte della consapevolezza e senza sentirsi totalmente assoggettato dall’emotività (Di Pietro, 1992).

Nella psicologia naif il concetto di emozione è sempre stato associato a un’eccitazione disorganizzata priva di una precisa finalità, ma a partire dagli studi di Darwin è possibile attribuire alle emozioni una funzione essenziale per la sopravvivenza. Cosa sarebbe l’essere umano senza la paura? Quell’emozione che ci mette in condizione di fuggire dinnanzi ad un pericolo è che allo stesso tempo può divenire disfunzionale se eccessiva, incontrollabile e paralizzante.

Da ciò è possibile considerare l’intelligenza emotiva, secondo la definizione individuata da Salovey e Mayer (Emotional intelligence, 1990) come un composto di processi di valutazione, espressione, regolazione e utilizzo delle emozioni. E proprio sul concetto di valutazione cognitiva, secondo la teoria dell’Appraisal (Arnold, 1960) le emozioni ci permettono di:

  • Regolare l’attenzione: monitorando l’ambiente e mantenendo l’allerta per gli eventi importanti
  • Dirigere la motivazione: preparandoci o motivandoci ad affrontare gli eventi

Le emozioni, pertanto, organizzano sapientemente il pensiero razionale e diversamente da quanto si è sempre creduto esse non lo confondono, ma lo guidano. La valutazione cognitiva delle emozioni permette ad ogni individuo di sperimentare il suo personale modo di provare le emozioni e di dominarle. Per compiere nella maniera più efficace tale compito è necessario imparare a riconoscere, esprimere, comprendere, modulare e sfruttare le proprie emozioni. Il raggiungimento di un’adeguata regolazione emotiva é considerato uno degli obiettivi di maggior rilievo dello sviluppo infantile. La capacità di regolare le emozioni, influenza lo sviluppo della personalità del bambino.

Fin dai primi mesi di vita, come dimostrato dalle ricerche basate sul paradigma dello Still Face (Tronick, 1989, 2007), l’essere umano possiede un corredo di strategie comportamentali che gli permettono di regolare l’intensità delle emozioni: il neonato in condizione di disagio, distoglie lo sguardo o si autoconsola toccando i capelli o mettendo il dito in bocca, imparando gradualmente ad utilizzare lo sguardo, il sorriso e il pianto come strumenti per comunicare il suo stato emotivo all’adulto, creando quella particolare relazione di scambio che viene definita da Stern ‘sintonizzazione affettiva’. Quando il bambino percepisce il volto della madre come inespressivo, si attiva per intensificare le sue espressioni comunicative, finalizzate alla condivisione e all’interazione con l’altro. Lo scambio emotivo madre bambino, avvia il primordiale sviluppo della competenze emotiva, dal quale il bambino imparerà prima a riconoscere le emozioni nell’altro e in seguito a riconoscerle in se stesso. Inutile sottolineare quanto in questo processo il ruolo del genitore sia fondamentale, la qualità del legame di attaccamento risulta decisiva nella costruzione del meccanismo di regolazione emotiva e nella rappresentazione di se come efficace nei suoi tentativi comunicativi.

L’analfabetismo emozionale che ancora oggi dilaga sui banchi di scuola e di riflesso nella società, è figlio della difficoltà della maggior parte delle persone di esprimere, decodificare e comunicare agli altri le proprie emozioni. Sebbene la cultura di riferimento rappresenti un varco tra le modalità socialmente accettabili di esprimere le emozioni e le proprie fragilità, è erroneamente diffusa l’idea che l’intelligenza emotiva sia una competenza di serie B. Essa può essere coltivata nel corso di tutta la vita e ci allena ad una elasticità nei confronti degli altri e degli eventi della vita.

Malgrado molti siano tentati di nascondere e reprimere le emozioni negative, Inside out rivoluziona e insegna a grandi e piccini che per vivere appieno la gioia è necessario sperimentare e conoscere la tristezza. Accettare le difficoltà che la vita ci presenta, esprimendo senza timori la propria tristezza, permette di manifestare all’altro il proprio stato d’animo, elicitando l’empatia, l’ascolto e la condivisone.

Inside out, oltre a dare un nome alle emozioni, attribuisce volto e caratteristiche salienti, aiutando i bambini a dare una collocazione precisa a quelle sensazioni che a tutte le età sentiamo nel cuore e nella pancia. Possedere un vocabolario emotivo consente al bambino di esprimere a parole il suo stato d’animo, esternarlo e quindi condividerlo. Nel difficile compito dell’educazione emotiva, John Gottman suggerisce a genitori e insegnanti di indossare i panni degli allenatori, accettando e ascoltando le emozioni dei figli, interessandosi alle loro vite, imparando a riconoscere e regolare i comportamenti prima che si trasformino in una crisi.

Al termine del film il primo passo per conoscere le proprie emozioni potrebbe essere quello di immaginarle, disegnarle, chiedendosi ad esempio di che colore è la paura? Cosa indossa la vostra tristezza? Insomma, che faccia hanno le vostre emozioni?  Questo film riesce con apparente semplicità a spiegare alcuni intricati meccanismi della nostra mente, ma qualcosa sembra mancare, secondo Keltner, consulente scientifico del film, grande assente in Inside out è l’amore. Su questo tema la letteratura é controversa, poiché l’amore non é consistentemente considerato un’emozione. Poeti, filosofi e scienziati hanno tentato di definirne contorni, composizione e generalità, forse tale sfida era troppo ardua anche per la genialità della Pixar o forse l’assenza dei tumulti dell’amore fanno presagire un seguito, nella stagione della massima confusione emotiva, l’adolescenza.

 

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BIBLIOGRAFIA:

  • Bonomi A., Borgna E., (2011) Elogio della depressione, Einaudi.
  • Di Pietro M.(1992), Educazione razionale-emotiva, Erickson, Trento.
  • Gottman J., De Claire J., Intelligenza emotiva per un figlio, La Feltrinelli.
  • Stern D. N (2004), trad.it. Il momento presente, Milano, Raffaello Cortina, 2005
  • Tronick E.Z. (1989), Le emozioni e la comunicazione affettiva nelle prime relazioni, trad.it in Riva Crugnola, C.(a cura di), La comunicazione affettiva tra il bambino e i suoi partner, Milano, Raffaello Cortina, 1999
  • Tronick E.Z.(2007), The neurobehavioural and socio-Emotional development of infants and children, New York, Norton&Company
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