expand_lessAPRI WIDGET

Quando il corpo parla: l’emicrania in Psicosomatica

L’emicrania è collegata al pensiero psicosomatico e alla diade inscindibile mente-corpo, come dimostrato da ricerche in neuroscienze ed in ambito clinico. %%page%%

Di Elena Maggio

Pubblicato il 12 Ott. 2015

Aggiornato il 02 Ott. 2019 15:40

Elena Maggio – OPEN SCHOOL Studi Cognitivi Milano

L’emicrania è strettamente collegata al pensiero psicosomatico e alla diade inscindibile mente-corpo, aventi validità scientifica dimostrata da ampie ricerche in neuroscienze ed in ambito clinico.

L’emicrania dal greco hemikranion, un lato del capo, è una cefalea primaria episodica caratterizzata dalla combinazione di sintomi psicologici, gastrointestinali e neurovegetativi, è un tipo di mal di testa, spesso molto intenso. Una prima differenziazione è quella tra cefalee primarie e secondarie.

Le forme primarie vengono suddivise in 4 grandi assi diagnostici:

 

Cefalee di tipo emicranico:

Sono quelle vascolari e hanno un’incidenza del 34%. Le più comuni forme di cefalea vascolare sono l’emicrania classica, l’emicrania comune, l’emicrania emiplegica e quella oftalmoplegica. Durante una crisi di emicrania classica si può avere la cosiddetta ‘aura’ che è caratterizzata da una serie di sintomi neurologici focali (disturbi visivi, senso di intorpidimento, debolezze in un lato del corpo, tremori, brividi, afasia transitoria, difficoltà di parola, vertigini e pallore), i quali scompaiono in 15-30 minuti e che sono generalmente premonitori della crisi anche se talvolta compaiono durante la fase della cefalea. Comprendono anche sintomi neurologici transitori che precedono la comparsa del dolore (disturbi visivi quali luci lampeggianti, figure che si muovono nel campo visivo e linee parallele zigzaganti, e disturbi sensitivi come i formicolii). Gli attacchi emicranici si presentano con una frequenza molto variabile (da pochi attacchi in un anno ad attacchi 2-3 volte alla settimana).

Si differenzia dall’emicrania comune, perché in quest’ultima la fase di vasocostrizione non è apparentemente abbastanza intensa da provocare un’aura o deficit neurologici focali, che possono però presentarsi come ‘equivalenti emicranici’ negli intervalli tra le crisi. L’emicrania oftalmoplegica è meno comune ed è caratterizzata dalla paralisi dei nervi oculomotori. L’emicrania emiplegica, invece, è data oltre che dal sintomo, da un deficit motorio a carico di un arto.

Nella dinamica clinica dell’attacco cefalgico si hanno modificazioni sia nei vasi intracranici che periferici, corrispondenti a tre momenti: l’iniziale vasocostrizione (che nell’ emicrania classica provoca i sintomi dell’aura), la vasodilatazione e l’infiammazione sterile (che provocano dolore), l’edema e l’abnorme sensibilità durante la fase post cefalgica. L’attacco di emicrania può essere associato a vari disturbi quali nausea, vomito, inappetenza, intolleranza alla luce e al rumore, brividi e pallore e può a volte essere preannunciato da disturbi, come irritabilità, stanchezza, sonnolenza e tendenza a cambiare umore. Gli attacchi sono di solito unilaterali e associati con anoressia, nausea e vomito.

 

Cefalee di tipo tensivo:

sono un disturbo molto comune, spesso definito anche cefalea muscolare o da tensione. Si possono distinguere le forme acute, in genere occasionali, causate da episodi sporadici di cefalee da contrazione che possono anche non venir mai sottoposti all’attenzione del medico, ed essere controllati facilmente con i farmaci da banco. Le forme subacute sono, invece, caratterizzate da attacchi della durata di un giorno anche 2 o 4 episodi settimanali. Molto spesso queste acquistano con il tempo un andamento cronico, divenendo così cefalea quotidiana. Questa cefalea muscolo – tensiva cronica determina un dolore diffuso costante, non pulsante, una sensazione di costrizione bitemporale, occipitale, una morsa che stringe la testa a casco, il famoso ‘cerchio’, di irrigidimento del collo o della parte superiore del dorso. E’ la forma più diffusa di mal di testa. Può essere episodica (meno di quindici giorni al mese) oppure cronica (per più di quindici giorni al mese). Il dolore che caratterizza la cefalea tensiva si localizza spesso nella parte posteriore, media e inferiore del cranio ed è bilaterale. Generalmente è di lieve intensità e non pregiudica le normali attività. Così come l’emicrania, anche la cefalea tensiva interessa, in genere, più le donne che gli uomini. Affligge le persone che trascorrono molte ore sedute in posizioni scorrette o accumulano stress e tensione. Questo tipo di cefalea viene raramente associato a nausea, vomito o fastidio per la luce e il rumore.

Cefalea a grappolo:

non è comune, è tipica del sesso maschile, inizia nell’età matura. Non dura più di due ore, ma può manifestarsi con attacchi ravvicinati. Il dolore è molto intenso, localizzato intorno agli occhi e allo zigomo, può essere accompagnato da arrossamenti, lacrimazioni, chiusura della narice della parte colpita, generalmente monolaterale. E’ una forma di mal di testa abbastanza rara ma molto dolorosa. L’espressione a grappolo si riferisce a crisi che avvengono in determinati periodi dell’anno (primavera, autunno e periodi di cambiamento climatico) separati da periodi con assenza di crisi, raggruppati in ben definiti periodi del giorno. Durante il grappolo si possono avere da un minimo di una crisi ogni due giorni, ad un massimo di otto crisi nelle 24 ore. L’attacco inizia in maniera rapida, raggiungendo la massima intensità entro 15 minuti e può durare fino a tre ore.

 

Cefalee: Le forme non associate a lesioni strutturali.

Le cefalee secondarie, così come classificate dall’IHS (International Headache Society),sono invece sintomo di un’altra malattia. Si manifestano come conseguenza di: traumi cranici o lesioni del capo; malattie o disfunzioni dei vasi sanguigni della circolazione celebrale,per esempio ischemia, trombosi, aneurisma ed emorragia cerebrale; malattie del cervello o delle strutture circostanti, come tumori o meningiti; assunzione di sostanze come alcool, caffeina, oppiacei; infezioni virali o batteriche; malattie del metabolismo, come diabete o malattie renali; dolori facciali legati a patologie del cranio, del collo, delle orecchie, del naso, dei denti, della bocca; nevriti e nevralgie craniche.(G.C.Manzoni, P.Torelli)

Le cause dell’emicrania non si conoscono del tutto, nell’anamnesi di pazienti emicranici è presente di frequente una familiarità per il disturbo in uno o in entrambi i genitori con percentuali che vanno dal 50-60% (Lance Anthony, 1966) al 73% di uno studio effettuato da Dalsgaard-Nielsen nel 1965 su pazienti di sesso femminile. La ricerca fra i parenti di primo grado con sintomatologia e storia naturale similare a quella del paziente cefalgico ha fatto sospettare la trasmissione genetica del disturbo. L’ipotesi di una familiarità genetica è sostenuta da diversi autori, sebbene questa ipotesi non trovi molto accredito. E’ possibile infatti che esista un terreno biologico predisponente che, in particolari condizioni ed in risposta a certi stimoli, possa facilitare l’insorgenza del disturbo. L’emicrania presenta un’elevata predisposizione familiare (circa nel 50% dei casi) e colpisce più le donne che gli uomini, in un rapporto dì circa 3 a 1. Di contro, recenti studi condotti su popolazioni infantili sembrerebbero indicare che la trasmissione del disturbo non è, in alcuni casi, tanto genetica, quanto comportamentale (Pisani R.,Arzilli A., 1994).

La difficoltà nel rintracciare con sicurezza le cause del mal di testa risiede nel fatto che la cefalea può configurarsi essa stessa come vera e propria malattia oppure come sintomo di altre patologie. È perciò importante distinguere tra cause e fattori scatenanti: mentre per cause si intendono quelle alterazioni di fattori fisiologici interni al nostro organismo (alterazioni di tipo vascolare, nervoso, muscolare, ormonale) che sono responsabili dell’insorgere del dolore, i fattori scatenanti sono rappresentati dall’insieme di elementi e situazioni in grado di indurre le modifiche funzionali che causano il dolore, quali stress, l’esercizio fisico, l’insonnia, il cioccolato, il glutammato monosodico, il vino rosso e altri alimenti, la disidratazione, la fame, le allergie, i cambiamenti meteorologici, l’altitudine, una postura scorretta (specie al computer), l’esposizione alle luci al neon, l’esposizione a particolari fattori ambientali, il fumo, l’alimentazione inadeguata, il consumo eccessivo di alcool.

Emicranie e cefalee sono un incubo per milioni di individui, che si trovano a fronteggiare una malattia sottovalutata e spesso mal curata. In uno studio basato sulla popolazione in Svezia, Anu Molarius, Ake Tegelberg et all nel 2006 spiegano perché i disturbi di emicrania costituiscano un notevole problema di salute pubblica, abbiano conseguenze diffuse tra coloro che ne soffrono e rappresentino i sintomi più frequentemente riportati nella popolazione generale.

E’ stato provato che i disturbi di emicrania sono associati ad un peggioramento della qualità di vita, all’aumentata incidenza della depressione, al dolore muscolo-scheletrico, all’inabilità, così come all’incremento dell’uso dei farmaci. Anche se i disturbi di emicrania conducono al ricorso frequente delle cure mediche, ad una grande percentuale di coloro che ne soffrono non è mai diagnosticata o curata regolarmente. Il tipo di farmaco più delle volte usato è l’analgesico. E’ stato rilevato che meno del 20% dei sofferenti di emicrania e circa il 40% delle persone affette da cefalea da tensione ha segnalato che la loro emicrania è stata completamente alleviata dal farmaco usato, mentre, per la maggioranza di coloro che soffrivano di mal di testa, il dolore è stato alleviato solo parzialmente. Notevole è l’effetto dei disturbi di emicrania sulla prestazione a lavoro nella popolazione generale. In questo studio, il 43% degli impiegati con emicrania e il 12% dei soggetti impiegati con cefalea da tensione risultavano assenti da lavoro per uno o più giorni a causa del mal di testa, la maggior parte di essi perdevano 1 su 7 giorni lavorativi all’anno. Lo studio sulla distribuzione demografica della popolazione per genere e età ha rilevato che la diffusione generale di mal di testa ricorrente/emicrania era il 10% fra gli uomini e il 23% fra le donne e che la diffusione dell’emicrania era più alta fra la fascia che comprendeva i 35 e i 49 anni.

Inoltre, i soggetti con mal di testa ricorrente/emicrania riportavano più spesso di aver avuto bisogno di assistenza medica senza poi cercarla. Il motivo più comune era non ottengo comunque alcun aiuto. Per quanto riguarda il carico socio-economico dei disturbi di emicrania, viene spiegato che essa comprende entrambi i costi diretti connessi all’utilizzo delle cure mediche ed i costi connessi al mancato lavoro dovuto all’ assenza per malattia. Notevoli, quindi, sono i costi che gravano sulla società, costi dovuti all’alta prevalenza dei disturbi di emicrania nella popolazione generale.

Cefalee dal punto di vista psicosomatico

Relativamente al punto di vista della medicina psicosomatica, l’ipotesi alla base è l’unità funzionale psiche e soma. Il termine psicosomatico viene storicamente associato ad una serie di malattie psicosomatiche, nella cui eziologia e patogenesi è stata dimostrata una significativa presenza di fattori mentali, quali esperienze emozionali stressanti, fattori di personalità e condizioni conflittuali di ordine psicologico (Gala, Colombo, 1996).

L’American Psychiatric Association definisce come psicosomatico tutto ciò che fa riferimento a una costante e inseparabile interazione della psiche e del soma (APA, 1980). La medicina psicosomatica attribuisce notevole rilievo alle correlazioni tra aspetti somatici e psichici considerati all’interno della concezione unitaria dell’individuo. A tal proposito il modello epistemologico della Complessità bio-psico-sociale di Morin (Fulcheri M.,2005) sostiene che le malattie psicosomatiche devono essere studiate in un’ottica complessa che possa coinvolgere non solo fattori medici, ma anche varie relazioni psicologiche e sociali che incorrono tanto nello sviluppo quanto nell’etiopatogenesi della malattia. Pertanto il disturbo psicosomatico segue un modello di complessità di fattori che determinano l’insorgenza del problema, spiegando come il disturbo sia causato da fattori di tipo somatico e genetico, e da fattori interpersonali e ambientali.

Con F. Alexander e altri allievi di Freud nel 1938 si è costituita la ‘American Psychosomatic Society’ che si è rapidamente diffusa in tutto il mondo. Oggi, vi sono diverse visioni della psicosomatica stessa, quello cognitivo-comportamentale, familiare, psicoanalitico, neurofisiologico. L’approccio psicosomatico, con qualsiasi tipo di paziente si instauri e in qualsiasi forma specifica di intervento esso si manifesti, è essenzialmente basato sulla relazione interpersonale a più livelli, ovvero si propone di studiare e aiutare l’essere umano nei suoi aspetti psicologici e in quelli corporei.

Il paziente psicosomatico spesso rimugina, mette dentro, ingoia, è un uomo caratterizzato da bocconi amari e dai sentimenti ingoiati. Il corpo sostituisce la parola e dice, con la sua malattia, ciò che la parola non sa e non può comunicare. In effetti, è il soggetto stesso ad aver rinunciato alla parola: forse, egli ha constatato che, in diverse situazioni, la parola si è rivelata inutile, pericolosa, paradossale, e così è ricorso ad una forma di comunicazione, quella dei sintomi somatici che, sebbene più dolorosa e ambigua, proprio per la sua ambiguità offre, nel momento in cui il soggetto vi si ritira, maggiori garanzie al suo equilibrio psicologico (Agresta F., 2002). Una caratteristica degli psicosomatici è infatti spesso l’alessitimia (Agresta F., 2002), definita per la prima volta da P. Sifneos che attraverso l’analisi delle trascrizioni letterali di colloqui , insieme ad altri colleghi nel MIT di Boston, riscontrò nella maggior parte dei pazienti un’ evidente difficoltà a descrivere i propri sentimenti, accompagnata da un’attività immaginativa povera. Definì questa condizione ‘alessitimia’ che letteralmente significa emozione senza parola (o mancanza di parole per esprimere le emozioni).

L’alessitimia coinvolge sia la sfera affettiva che quella cognitiva, cioè l’incapacità di riconoscere ed esprimere le proprie emozioni, ma soprattutto di verbalizzarle. Nella sfera cognitiva si assiste al pensiero operativo e concreto, tendenza all’agito, e all’inibizione della fantasia. Nella sfera affettiva emerge incapacità a verbalizzare i sentimenti, incapacità di specificare bene tra emozioni spiacevoli e piacevoli, vocabolario povero riguardo alla possibilità di esprimere emozioni e descrivere i sentimenti. Le risposte stesse sono descrizioni delle azioni che compiono in quelle circostanze, spesso accompagnate da irritazione. Per quanto riguarda la percezione del corpo in questi pazienti è vissuto come parte scissa dalla mente, c’è un tipo di rappresentazione disturbata dello schema corporeo ed è inadeguatamente connesso a sé.

 

Cefalee e stati emotivi

Entrando nel fulcro del problema, verrà ora spiegato in che modo un’emozione, un atteggiamento emotivo possano produrre un attacco emicranico o uno stato cronico.

La testa è la struttura organica sede della coscienza, del pensiero e della ragione. La testa è la sede di tutte le attività cognitive come il pensiero, l’immaginazione, la ragione, infatti, l’attività mentale in preda a un attacco di cefalea, è inibita alla radice, non si riesce più a ragionare, si ha una sorta di black out della mente. Pensare fa molto male. In questo modo si esprime il desiderio inconsapevole di tenere lontani pensieri troppo invadenti o che possono turbare. Perciò il mal di testa può essere visto come una difesa rigida che blocca sul nascere la presa di coscienza. Secondo P. Marty, la cefalea rappresenterebbe una dolorosa inibizione dell’ atto del pensare (Marty P., 1951).

Parlare di personalità del cefalgico può sembrare a prima vista troppo generalizzante, dato il gran numero di persone che ne soffrono e la molteplicità di forme del sintomo stesso. Tuttavia, pur tenendo conto che ogni malattia è legata ad una storia personale che insorge in relazione a vissuti estremamente soggettivi, si può notare qualche somiglianza tra coloro che ne soffrono. Esistono alcuni tratti di personalità che li accomunano, una matrice comune che si divide poi in molteplici sfaccettature.

N. Hendler (1981), per mezzo dell’ MMPI, sottolinea come questi soggetti abbiano una tendenza a somatizzare i pensieri disturbanti. Le caratteristiche di personalità sembrano evidenziare una particolare reattività allo stress, per cui queste persone riferiscono di sentirsi sotto pressione sia in casa che a lavoro e di avere pochissime occasioni per rilassarsi o distrarsi.

Secondo P. Marty in caso di emicrania siamo di fronte ad una difesa di emergenza verso un determinato pensiero, mentre nel caso delle cefalee croniche persistenti l’intera funzione del pensiero risulta costantemente inibita. Molti autori hanno studiato questi sintomi. H . G . Wolff, per esempio, è stato uno dei primi autori ad occuparsi della correlazione tra cefalea e personalità (1937). Egli osservava come rigidità, perfezionismo ed ambizione fossero tratti caratteriali molto comuni nei pazienti emicranici, considerando la cefalea come una conseguenza dell’inibizione della propria aggressività. Per O. Knopf questi soggetti sono ambiziosi, riservati, dignitosi, dominatori, sprovvisti di senso umoristico. A. Wolf rivela altre caratteristiche: perfezionismo, ambizione, rivalità esagerata, rigidità, incapacità ad affidare ad altri compiti di responsabilità. Si rileva, in questi pazienti, un atteggiamento di risentimento che deriva dall’incapacità di sostenere le responsabilità assunte per autocostrizione, di mantenersi al livello richiesto della loro ambizione di perfezione (Atti XI Congresso Nazionale Della S.I.M.P.,Vol. XI Fasc. 1-2-1989).

Pertanto da numerosi studi condotti da un punto di vista psicosomatico sulle cefalee ed emicranie emergono tre aspetti che accomunano questi pazienti. La contrapposizione tra ragione ed emozione: la F. Reichmann, ritiene che i pazienti emicranici rappresentino l’espressione di un’ opposizione tra razionalità e sentimento(emozione), che proverrebbe dalla vita in famiglie ligie alle convenzioni e con forte orgoglio e rigidità. In queste famiglie sono severamente puniti i sentimenti di ostilità con l’espulsione dal gruppo e quindi con la perdita della protezione familiare. Il paziente quindi deve controllare i suoi atteggiamenti aggressivi e quando l’aggressività aumenta cerca di scaricarla in un attacco di emicrania. I sintomi cefalgici appaiono cioè quando un atteggiamento di ostilità viene diretto in particolare verso individui emotivamente vicini al soggetto e il senso di colpa che si genera di conseguenza va a scaricarsi sul paziente stesso con il risultato del dolore (Reichmann F., 1937).

Un secondo filone vede invece nell’ attacco cefalico-emicranico il risultato di un atteggiamento cronico di controllo dell’ aggressività che non può esprimersi all’esterno e che viene rivolta verso di sé.

Infine è stata rilevata la sopravvalutazione della funzione del pensiero e la sua inibizione durante l’attacco cefalgico, per cui nei soggetti affetti da cefalea ed emicrania esiste una sopravvalutazione delle attività logico-razionali nella gestione dei problemi e in generale nell’interazione con la realtà esterna. Pensare è la facoltà più usata e maggiormente valutata, il blocco del pensiero realizza la difesa della coscienza da contenuti sentiti come dannosi.

 

ARTICOLO CONSIGLIATO:

Sogno o realtà? La sindrome di Alice nel Paese delle Meraviglie

 

BIBLIOGRAFIA:

  • Bussone-Casucci-Frediani-Manzoni-Bonavita: Le cefalee: manuale teorico-pratico,Ed. Springer.
  • Alexander F. (1951) Medicina Psicosomatica. Giunti Barbera, Firenze.
  • Fulcheri M. (2005) Le attuali frontiere della psicologia clinica,Centro Scientifico Editore.
  • Agresta F. (2002). Problemi di Psicologia generale e clinica,Ed. Nuove Prospettive in Psicologia.
  • Agresta F. (2007) Problemi di Psicosomatica Clinica,Ed Quaderni del CSPP, n.3.
  • Gala C. Colombo E. (1996) Disturbi psicosomatici. In Invernizzi G, ed Manuale di psichiatria e psicologia clinica Milano: McGraw-Hill, 1996.
  • Marty P. (1955): Les cephalalages. Enc. Med. Chir., 10.
  • Molarius, A., Tegelberg, A. (2006) Recurrent headache and migraine as a public health problem – a population-based study in Sweden, Headache; 46(1):73-81.
Si parla di:
Categorie
ARTICOLI CORRELATI
WordPress Ads
cancel