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Mindfulness, imagery e la creazione di falsi ricordi

Se gli stimoli immaginati si avvicinano molto alle esperienze reali si possono avere difficoltà nel determinare se un ricordo sia reale o immaginato

Di Redazione

Pubblicato il 23 Set. 2015

Irene Rossi

 

Quando i ricordi di esperienze immaginate si avvicinano molto alle esperienze reali si possono avere difficoltà nel determinare quale sia un ricordo reale e quale immaginato, portando in questo modo alla creazione di falsi ricordi.

La mindfulness è un concetto ormai largamente usato in ambito accademico, clinico e sociale. Può essere definita come una modalità di prestare attenzione, momento per momento, al qui ed ora, in modo intenzionale e non giudicante, al fine di ottenere una maggiore consapevolezza della propria esperienza immediata.

Da tempo è stato dimostrato come la pratica della mindfulness sia associata a numerosi benefici per la mente e il corpo, tuttavia una nuova ricerca, pubblicata su Psychological Science, ha messo in evidenza un’inattesa conseguenza di tale pratica: può portare ad una riduzione dell’accuratezza della memoria con difficoltà nel distinguere eventi realmente accaduti da quelli solo immaginati. Alcune memorie originano da fonti esterne, ovvero da esperienze effettive e concrete come potrebbe essere ad esempio mangiare un piatto di pasta; mentre altre originano da fonti interne, come accade se si immagina di mangiare un piatto di pasta.

Quando i ricordi di esperienze immaginate si avvicinano molto alle esperienze reali si possono avere difficoltà nel determinare quale sia un ricordo reale e quale immaginato, portando in questo modo alla creazione di falsi ricordi. Per indagare se la mindfulness possa portare a confusione sull’origine di un ricordo i ricercatori hanno condotto una serie di 3 esperimenti.

Nei primi due, i partecipanti sono stati selezionati in modo casuale per partecipare a un particolare esercizio guidato della durata di 15 minuti. I soggetti del primo gruppo erano istruiti a focalizzare la loro attenzione sul respiro, senza alcun giudizio, secondo la metodologia mindfulness, mentre a quelli nel secondo gruppo era richiesto di pensare a qualsiasi cosa venisse loro in mente nell’arco di 15 minuti da trascorrere in silenzio. Nel primo esperimento, dopo l’esercizio guidato, ai partecipanti è stata fatta studiare una lista di 15 parole legate semanticamente al concetto di spazzatura, nonostante la lista non includesse propriamente la parola “spazzatura”. Ai partecipanti è poi stato chiesto di richiamare più parole possibili tra quelle studiate. I risultati hanno rivelato che il 39% dei partecipanti al gruppo mindfulness avevano maggiori falsi ricordi, in quanto riportavano tra gli stimoli anche la parola “spazzatura”, riportata solo dal 20% dei soggetti del secondo gruppo.

Nel secondo esperimento i partecipanti hanno completato un compito di richiamo sia prima di sottoporsi all’esercizio guidato di mindufuless o di “pensiero libero”, sia dopo. I dati hanno mostrato che i partecipanti avevano più facilità a rievocare erroneamente la parola critica “spazzatura” dopo la mindfulness piuttosto che prima.

Nel terzo esperimento i soggetti dovevano determinare se una parola era già stata presentata in una lista di parole cui erano stati esposti precedentemente: alcune delle parole erano state effettivamente già presentate mentre altre non lo erano ma erano legate semanticamente con le parole presentate. Sia i partecipanti che avevano svolto la seduta di mindulness che quelli che non l’avevano svolta hanno mostrato un’alta accuratezza nel riconoscere le parole che erano state effettivamente presentate.

Tuttavia i partecipanti avevano una maggior tendenza a fare falsi riconoscimenti per le parole non presentate dopo aver completato l’esercizio di mindfulness. Tutti questi risultati suggeriscono quindi che la mindulness può ostacolare i processi cognitivi che contribuiscono ad identificare correttamente la sorgente dei ricordi. Dopo la mindfulness i ricordi per esperienze solo immaginate diventano più simili a memorie di esperienze effettive, in questo modo le persone hanno più difficoltà a discriminare se le esperienze siano reali o meno.

 

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