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Trattare il dolore cronico: dalla CBT Standard ai nuovi approcci di Terza Ondata

Gli approcci di Terza Ondata si basano sull’ accettazione del dolore cronico, piuttosto che sul controllo di esso, migliorando così il benessere emotivo. %%page%%

Di Elena Lo Sterzo

Pubblicato il 28 Set. 2015

Aggiornato il 23 Mag. 2016 11:39

Elena Lo Sterzo – OPEN SCHOOL Studi Cognitivi Modena

Nota le sensazioni, le emozioni, i pensieri via via che sorgono: ascoltali come ascolti la radio.
Fa attenzione alla qualità della sensazione dolorosa, a come pulsa, alla sua temperatura, a come si modifica,
osservandola attentamente e in profondità attimo per attimo nel suo manifestarsi cosicché forse è possibile
sperimentare che non è un qualcosa di enorme, fisso e spaventoso, ma un
processo in continua trasformazione. Togli l’etichetta «dolore», limitati a
sentirlo profondamente, senza attaccarti ad esso.
nota la rabbia, la paura che sorge e fai esperienza di queste, di come esse si
manifestano nella mente e nel corpo, non come la “mia rabbia/paura” che
porterebbe automaticamente a giudicarsi, a negarla, reprimerla o agirla
contro sé o gli altri, ma come fenomeni che sorgono, occupano uno spazio
temporale e svaniscono. Puoi dire: «questo sono io che ho paura»

J. Kabat-Zinn

A differenza della CBT standard, gli approcci di Terza Ondata si basano sulla promozione dell’accettazione del dolore cronico, piuttosto che sulle strategie per controllare il dolore, così migliorano il benessere emotivo e il coinvolgimento in obiettivi personali non legati al dolore.

Il dolore ricopre la funzione biologica essenziale di segnalare una disfunzione o un danno nel corpo, proteggendoci dai danni che potrebbero conseguire dall’uso eccessivo delle aree colpite, e di promuovere l’omeostasi fisiologica. Quando il dolore, per diversi motivi, diventa cronico, perde le sue funzioni adattive.

Gli interventi psicologici attualmente utilizzati nel trattamento del dolore cronico sono idealmente concepiti come trattamento complementare a quello medico, e si pongono diversi obiettivi: il funzionamento fisico, la gestione dell’assunzione di farmaci antidolorifici, l’umore, gli schemi cognitivi, e la qualità della vita. Il cambiamento nell’intensità del dolore percepito invece, è un obbiettivo secondario.

Per capire le modalità di azione delle terapie psicologiche, è importante mettere a fuoco in quali modi il dolore può influenzare il funzionamento psicologico. Il dolore persistente può contribuire allo sviluppo di pensieri disfunzionali e di comportamenti controproducenti, che peggiorano il funzionamento quotidiano e che a loro volta possono prolungare l’esperienza del dolore. Le persone che soffrono di dolore cronico tendono ad avere una maggiore vulnerabilità a diversi disturbi psichiatrici, tra cui la depressione, l’ansia e il disturbo post-traumatico da stress. Tuttavia, la relazione tra dolore e depressione è bidimensionale: la presenza di un disturbo depressivo maggiore è stata identificata come un fattore di rischio chiave nella transizione da dolore acuto a dolore cronico.

Quali sono i meccanismi psicologici associati allo stress dolore-correlato che sono risultati essere adeguati target di trattamento?

  • La catastrofizzazione del dolore: uno schema mentale cognitivo ed affettivo negativo caratterizzato dall’amplificazione degli effetti negativi del dolore, dalla ruminazione e dal rimuginio sul dolore, e da sentimenti di impotenza nell’affrontarlo. Coloro che tendono a catastrofizzare il dolore risultano avere una minore percezione di controllo del dolore, un funzionamento sociale ed emotivo peggiore, e una peggiore risposta ai trattamenti medici. Trattare i pensieri catastrofici legati al dolore migliora il funzionamento fisico e psicologico nel breve termine ed aumenta la probabilità di ritornare a lavoro nonostante la presenza di dolore persistente.
  • La paura del dolore: riflette un timore di procurarsi una lesione o il peggioramento della condizione fisica, svolgendo attività che possono scatenare dolore. La paura del dolore è associata ad una maggiore intensità del dolore percepito e ad una maggiore disabilità. La paura del dolore contribuisce alla disabilità favorendo dei comportamenti passivi o di evitamento che contribuiscono al decondizionamento fisico e al dolore. Se non viene trattata, può rallentare o bloccare il recupero conseguente alla riabilitazione fisica. La paura del dolore, oltre ad essere un importante target di trattamento, sembra essere un buon predittore della risposta al trattamento stesso: i soggetti che lo temono maggiormente, all’inizio di un trattamento multidisciplinare del dolore, mostrano maggiore responsività alla tecnica dell’esposizione in vivo.
  • Molta attenzione viene data recentemente al modello della flessibilità psicologica, che va oltre il modello paura-evitamento del dolore cronico, ponendo l’accento sull’ accettazione del dolore. La flessibilità psicologica è stata definita come un abilità di impegnarsi nel momento presente, a livello emotivo, cognitivo e comportamentale, nel modo che è più in linea con i propri valori e scopi. Come l’accettazione psicologica, che favorisce un atteggiamento non giudicante verso i propri pensieri e le emozioni stressanti, l’accettazione del dolore è definita come un processo di riconoscimento non giudicante del dolore, di interruzione dei tentativi disfunzionali di controllo del dolore, e di apprendimento a vivere la vita con pienezza, nonostante il dolore. L’accettazione del dolore influenza il funzionamento psicologico attraverso due distinti meccanismi: una disponibilità a provare dolore, che riduce le reazioni emotive negative al dolore, e un continuo impegno in attività importanti per la persona, nonostante la presenza del dolore, che sostiene le emozioni positive. L’accettazione del dolore disgiunge la presenza dei pensieri catastrofici relativi al dolore dalla seguente sofferenza emotiva, e riduce il ricorso a strategie di fronteggiamento basate sul controllo o sull’evitamento, così liberando le risorse cognitive ed emotive per il perseguimento di obbiettivi più gratificanti per la persona. L’accettazione del dolore ha dimostrato di avere associazioni positive con il funzionamento cognitivo, emotivo, sociale ed occupazionale nelle persone che soffrono di dolore cronico. Inoltre, predice livelli inferiori di catastrofizzazione del dolore e una maggiore presenza di emozioni positive, le quali a loro volta riducono l’associazione tra l’intensità del dolore e le emozioni negative.

La terapia cognitivo-comportamentale (CBT) per il dolore cronico ha come target le risposte disfunzionali comportamentali e cognitive al dolore e le contingenze sociali e ambientali che possono modificare la reazione al dolore. La CBT per il dolore sviluppa le abilità di fronteggiamento utili a gestire il dolore e migliorare il funzionamento psicologico, come il rilassamento strutturato, l’attivazione comportamentale e la programmazione di attività piacevoli, la comunicazione assertiva, e la regolazione del comportamento allo scopo di evitare il prolungamento o il peggioramento degli attacchi di dolore. A differenza degli approcci esclusivamente comportamentali, la CBT tratta anche i pensieri disfunzionali riguardo al dolore e la catastrofizzazione del dolore attraverso l’uso formale della ristrutturazione cognitiva: l’identificazione e la sostituzione dei pensieri irrealistici o non utili riguardo al dolore, con pensieri orientati ad un comportamento adattivo e ad un funzionamento positivo.

Secondo una recente metanalisi (Hoffmann et al., 2012) la dimensione dell’effetto della CBT per il dolore cronico è da lieve a moderata in diversi ambiti: ha effetti sul dolore percepito e sul funzionamento nella vita quotidiana comparabili a quelli dei trattamenti medici standard, ma si dimostra superiore nel ridurre la tendenza alla catastrofizzazione del dolore, con miglioramenti a lungo termine della disabilità. I cambiamenti conseguenti al trattamento CBT nel senso di impotenza e nella catastrofizzazione sono gli unici predittori dei successivi cambiamenti nell’intensità del dolore percepito e nell’interferenza del dolore sul funzionamento quotidiano.

Il modello cognitivo-comportamentale è stato recentemente ampliato grazie a due nuove modalità di trattamento: la Mindfulness-Based Stress Reduction (MBSR, Kabat-Zinn, 1990) e l’ Acceptance and Committment therapy (ACT, Hayes et al., 1999). A differenza della CBT, questi approcci si basano sulla promozione dell’accettazione del dolore cronico, piuttosto che enfatizzare le strategie per controllare il dolore, così migliorando il benessere emotivo e il coinvolgimento in obiettivi personali non legati al dolore. Anche se questi interventi agiscono entrambi sull’accettazione del dolore, differiscono nella loro implementazione e nell’approccio alla meditazione e alla pratica quotidiana.

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Mindfulness-based stress reduction

Questo approccio cerca di separare l’aspetto sensoriale del dolore dai suoi aspetti valutativi ed emotivi, e di promuovere una consapevolezza distaccata delle sensazioni somatiche e psicologiche del corpo. Attraverso la consapevolezza mindful e la meditazione, i pensieri relativi al dolore possono essere visti come eventi discreti piuttosto che come indicatori di un problema sottostante a cui bisogna dare una risposta immediata. Gli interventi MBSR sono tradizionalmente stati strutturati come sessioni settimanali di 2 ore, per 10 settimane, che sviluppano la consapevolezza del corpo e dei segnali propriocettivi, la consapevolezza del respiro e delle sensazioni fisiche e lo sviluppo di attività mindful (come mangiare e camminare). La MBSR promuove la mindfulness attraverso pratiche di meditazione quotidiana, che sono un requisito fondamentale del trattamento: il tasso di aderenza a queste pratiche sembra essere lievemente superiore a quello delle tecniche di gestione comportamentale del dolore. I meccanismi sottostanti agli interventi MBSR efficaci sono simili alla desensibilizzazione del dolore, in quanto le meditazioni prevedono esercizi da seduti, senza movimento, che espongono i partecipanti a sensazioni dolorose, sperimentando l’assenza di conseguenze catastrofiche. Gli interventi MBSR possono quindi funzionare come l’esposizione in vivo ma con l’obiettivo aggiuntivo di aumentare la tolleranza alle emozioni negative, per favorire risposte più adattive al dolore. Una differenza sostanziale con la CBT è che questa lavora al raggiungimento di obiettivi, come ad esempio un maggiore rilassamento o una diversa reazione emotiva o comportamentale, mentre la MBSR non prescrive obiettivi specifici, volendo raggiungere una condizione di osservazione non giudicante.

La MBSR si è dimostrata efficacie nel trattare i sintomi medici e psicologici, l’intensità del dolore, nel migliorare le strategie di fronteggiamento dello stress e del dolore, e tali benefici possono durare fino a 4 anni dopo l’intervento. Questo approccio ha dato buoni risultati in diversi gruppi di pazienti con dolore cronico, come ad esempio soggetti con la sindrome del colon irritabile, con dolore al collo, emicrania, fibromialgia, e dolore muscolo scheletrico cronico. Riduce inoltre i sintomi depressivi in soggetti con fibromialgia, e potenzia l’effetto dei trattamenti multidisciplinari nel ridurre la disabilità, l’ansia, la depressione e la catastrofizzazione. Gli studi di metanalisi evidenziano da lievi a moderati effetti di questo approccio sull’ansia, sulla depressione e sullo stress psicologico in pazienti con dolore cronico.

Acceptance and commitment therapy (ACT)

La ACT adotta un approccio teorico secondo cui i pensieri non devono essere affrontati o cambiati: piuttosto, le risposte ai pensieri possono essere modificate in modo da minimizzare le loro conseguenze negative. Gli interventi ACT migliorano il benessere attraverso la conoscenza ed il riconoscimento sostanziale e non giudicante degli eventi mentali (pensieri ed emozioni), promuovendo l’accettazione di questi eventi, ed aumentando le abilità dell’individuo di rimanere presente e consapevole dei fattori psicologici e ambientali rilevanti per il sé; nel fare ciò, le persone sono capaci di regolare il loro comportamento in modo che esso sia in linea con i loro scopi e valori, piuttosto che focalizzarsi sul sollievo immediato dalle sensazioni fisiche, dai pensieri e dalle emozioni spiacevoli. Nel trattamento del dolore, l’ACT propone il raggiungimento di una consapevolezza ragionata e dell’ accettazione del dolore, riducendo l’attenzione alla diminuzione del dolore o ai contenuti dei pensieri e piuttosto impiegando energie per mettere in atto dei comportamenti funzionali e soddisfacenti. L’ACT condivide molti concetti teorici della MBSR, poiché entrambe hanno l’obiettivo di promuovere una mentalità mindful e l’accettazione del dolore ma la differenza è che l’ACT non utilizza meditazioni quotidiane: si focalizza piuttosto sull’identificazione dei valori e degli scopi della persona, che devono servire per guidare il suo comportamento. I trattamenti basati sull’ACT hanno mostrato dei benefici su diversi fattori psicologici (senso di auto-efficacia, depressione, ansia) in molti gruppi di pazienti con dolore cronico. Alcuni studi di interventi ACT per il dolore cronico hanno riportato una dimensione dell’effetto da moderato a grande nel migliorare l’ansia e lo stress legati al dolore e la performance fisica, e nel ridurre la disabilità e il numero di visite mediche, con minori effetti invece sull’intensità del dolore percepito e sulla depressione.

Un recente ricerca di Akerblom e colleghi (2015), ha indagato se il fattore accettazione del dolore fungesse da mediatore nel determinare l’esito di un trattamento multidisciplinare di approccio CBT per pazienti con dolore cronico. Sono stati valutati anche altri tre importanti mediatori, spesso considerati come variabili di processo nei trattamenti CBT: il senso di controllo sulla propria vita, lo stress emotivo e il supporto sociale. E’ emerso che l’accettazione del dolore non era associata all’intensità del dolore percepito post-trattamento, ma costituiva invece il mediatore più forte dell’esito, misurato come interferenza del dolore e depressione, controllando per i suddetti mediatori valutati. Interessante notare questa importante influenza del fattore accettazione, pur non essendo stato il target esplicito di trattamento.

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Trattare il dolore cronico dalla CBT Standard ai nuovi approcci di Terza Ondata - Vignetta Cavezzali
M. Cavezzali: I dolori del giovane Werther

 

I professionisti coinvolti nel trattamento del dolore cronico devono essere consapevoli della importante eterogeneità dei pazienti con questa problematica, così come dei molti diversi fattori che possono predire la risposta al trattamento. Turk (2005) ha proposto ha individuato 3 sottogruppi di soggetti che presentano diversi pattern di risposta al trattamento: i pazienti ‘disfunzionali’, che riportano alti livelli di interferenza del dolore e dello stress ad esso associato nella vita quotidiana; i pazienti ‘stressati a livello interpersonale’, che riportano una mancanza di supporto dalle persone care nel fronteggiare il dolore; e gli individui che sono ‘funzionali’ nel fronteggiare il dolore, che riportano livelli sensibilmente più alti di funzionamento e supporto sociale percepito e livelli inferiori di disfunzioni legate al dolore. Da studi successivi è emerso che i pazienti ‘disfunzionali’ dimostrano una maggiore risposta al trattamento multidisciplinare che preveda anche un percorso psicologico, rispetto ai soggetti ‘stressati a livello interpersonale’. Può essere quindi utile identificare a quale sottogruppo di pazienti appartiene il soggetto da prendere in carico, utilizzando strumenti come il Multidimensional Pain Inventory (Ferrari et al., 2000) e tramite un assessment dettagliato dell’intensità del dolore percepito e della disabilità ad esso connessa. Inoltre, la disponibilità e prontezza del paziente ad adottare un approccio di auto-gestione del dolore cronico, sembra avere una ricaduta significativa sull’esito del trattamento. I pazienti che sono in ancora in una fase di precontemplazione (facendo riferimento alla Ruota del Cambiamento di Prochaska e Di Clemente, 1984) possono beneficiare maggiormente di terapie basate sull’insight, diversamente da quelli che sono in una fase di azione, che possono ricavare maggior beneficio da tecniche basate sul rilassamento e altre strategie attive di fronteggiamento. Un questionario utile per valutare questa disposizione del paziente è il Pain Stages of Change Questionnaire (Monticone et al., 2014).

La combinazione tra diverse modalità di trattamento psicologico e con altri interventi di tipo medico, può costituire il passo logico successivo nel migliorare gli esiti dei trattamenti per il dolore cronico. La creazione di un approccio flessibile e orientato ad obbiettivi precisi, come ad esempio l’ACT, può incrementare il coinvolgimento e l’aderenza al trattamento nella CBT. Inoltre, la combinazione dell’esposizione graduale in vivo con l’ACT può portare maggiori benefici nel trattare la paura del dolore e i conseguenti sintomi ansiosi (Bailey et al., 2010).

 

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Elena Lo Sterzo
Elena Lo Sterzo

Specializzanda in Psicoterapia Cognitiva e Cognitivo-Comportamentale. Specialista in Neuroscienze

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