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Scelte altruistiche: cosa accade a livello cerebrale?

Quando si compie una buona azione nel cervello si attivano le aree legate alla ricompensa, le quali sono anche implicate nel decision making - Neuroscienze

Di Laura Pancrazi

Pubblicato il 04 Set. 2015

E’ stato recentemente sviluppato un modello computazionale in merito alle modalità con cui una scelta altruistica è compiuta a livello cerebrale, il quale sarebbe in grado di predire i casi in cui una persona si comporterà generosamente in una situazione che richiede il sacrificio di denaro. Il lavoro, condotto dai ricercatori dell’Istituto di Tecnologia della California e pubblicato sulla rivista Neuron, aiuta a comprendere perché a volte essere generosi risulta così difficile.

Attualmente, la questione del perché si è altruisti è molto dibattuta tra gli accademici: c’è chi dice che siamo egoisti per natura e che l’altruismo non deriva che da una forma di autocontrollo, c’è chi è più positivo e pensa che per gli esseri umani essere generosi sia di per sé una forma di ricompensa. Il modello Caltech sembra invece dimostrare che nessuna tra queste due ipotesi è corretta: sia l’egoismo che l’altruismo possono essere facili e di semplice applicazione, la scelta dipende dalla persona e dal contesto.

[blockquote style=”1″]Abbiamo preso un modello di decision making semplice, come quelli utilizzati per gli esperimenti percettivi -ad esempio pensiamo che quel punto si muoverà a destra oppure a sinistra?- e lo abbiamo adattato alle scelte, egoistiche oppure altruistiche[/blockquote] afferma Cendri Hutcherson, che ha condotto questo lavoro come tesi di dottorato presso l’Università della California.

[blockquote style=”1″]Abbiamo scoperto che la scelta in atto non è un fatto di autocontrollo, ma semplicemente dipende da quanto si stia empatizzando con le necessità altrui. Se si crede che altre persone siano più bisognose di noi tenderemo ad essere generosi, se si pensa di essere noi stessi in maggiore difficoltà si effettuerà una scelta egoistica[/blockquote] aggiunge la ricercatrice.

Sulla questione se un atto altruistico sia da considerarsi di per sé una forma di ricompensa per chi lo compie resta ancora da fare chiarezza. L’esperimento avrebbe infatti dimostrato che quando si compie una buona azione nel cervello si attivano effettivamente le aree legate alla ricompensa, tuttavia le stesse aree potrebbero attivarsi nel momento in cui si prende una decisione. Dunque il fatto che si attivino in seguito ad un atto altruistico potrebbe semplicemente indicare che è in corso un elaborato processo di decision making.

L’esperimento analizza, tramite tecniche di neuroimaging, le reazioni di 51 maschi che compiono delle scelte sulla base di una versione modificata del Dictator Game. In questo gioco, ogni partecipante viene messo in coppia con uno sconosciuto e, in differenti situazioni, gli viene chiesto di scegliere se sacrificare una piccola somma di denaro perché questa persona mai vista prima possa guadagnare una cifra significativa (ad esempio un giocatore perde 25 dollari per farne guadagnare 100 all’altro). Le decisioni da prendere sono 180 in totale, e il denaro utilizzato è vero.

L’analisi dell’attivazione cerebrale suggerisce che le scelte autocentrate sono correlate con l’attività del nucleo caudale, un’area coinvolta nei processi di ricompensa. Le scelte eterocentrate sono invece connesse all’attivazione della zona temporo-parietale, coinvolta invece nei processi di empatizzazione. Secondo la dottoressa Hutcherson questo dimostrerebbe che tendiamo ad essere altruisti se riusciamo ad immedesimarci nella condizione altrui e capire l’importanza del guadagno che l’altro potrebbe trarre dal nostro piccolo sacrificio.

Forse non ci stupisce, ma la maggioranza dei soggetti coinvolti nell’esperimento tendeva a compiere scelte egoistiche. La cosa strana, invece, è che anche le persone più avide facevano qualche volta una scelta generosa. I ricercatori hanno interpretato questo risultato non nella direzione di una decisione compiuta esercitando autocontrollo e razionalità, ma piuttosto esso sarebbe dovuto al fatto che i partecipanti in alcuni casi compivano degli errori, tendendo a sottostimare le proprie perdite.

Questi errori suggerirebbero che la fretta e il fatto di avere poco tempo a disposizione porterebbero a volte a mettere in atto comportamenti fuori dal comune, non in linea con la personalità dei soggetti, comportando però perdite economiche significative.

[blockquote style=”1″]I risultati suggeriscono che le persone non sono felici quando commettono questo tipo di errori, tuttavia se potessimo aumentare l’empatia delle persone nei confronti degli altri, diminuiremmo gli errori legati alla sottovalutazione del problema, a favore però di scelte generose che siano anche ragionate e consapevoli[/blockquote] afferma Hutcherson.

 

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Laura Pancrazi
Laura Pancrazi

Psicologa clinica. Specializzanda in Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale.

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