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Il DSM 5 e la diagnosi di Depressione Maggiore: dove è finito il diritto di soffrire?

Diagnosi di Depressione Maggiore in concomitanza al lutto era fatta, nel DSM-IV, con sintomi aggiuntivi elencati nel criterio E. Cosa è cambiato nel DSM 5?

Di Barbara Valenti

Pubblicato il 22 Dic. 2015

Aggiornato il 02 Ott. 2019 15:48

La diagnosi di depressione maggiore in concomitanza al lutto era fatta, nel DSM-IV, con sintomi aggiuntivi elencati nel criterio E. Cosa è cambiato nel DSM 5?

Barbara Valenti – OPEN SCHOOL – Studi Cognitivi Modena

Considerate il seguente esempio:

Il signor Mario Rossi si presenta al colloquio lamentando umore depresso, perdita di interesse e piacere, riduzione dell’appetito, insonnia e problemi di concentrazione, difficoltà nel portare a termine i compiti richiesti al lavoro e ridotti contatti interpersonali. Questa situazione è iniziata circa un mese fa, dopo la morte della compagna alla quale era legato da molti anni.

Sulla base delle informazioni fornite, come valutereste la situazione del signor Mario Rossi?

Un clinico nella sua valutazione farebbe riferimento al Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM), un sistema di classificazione ampiamente diffuso in ambito clinico, basato su un modello ateorico e categoriale che classifica i disturbi ricorrendo a precisi criteri diagnostici.

Ritornando all’esempio, se confrontassimo le difficoltà indicate dal signor Mario Rossi con le indicazioni del DSM arriveremmo a conclusioni profondamente diverse a seconda della versione. Nel 2013 è infatti uscita l’ultima edizione del manuale, il DSM 5, che rispetto a quella precedente, il DSM IV-Tr, presenta importanti differenze.

Il DSM IV-Tr nella definizione di Depressione Maggiore indicava:

dopo la perdita di una persona amata, anche se i sintomi depressivi sono sufficienti per durata e per numero a soddisfare i criteri per l’Episodio Depressivo Maggiore, essi dovrebbero essere attribuiti al Lutto (DSM IV-Tr, 2000).

La diagnosi di Depressione Maggiore in concomitanza al lutto veniva contemplata solo in presenza di specifici sintomi aggiuntivi elencati nel criterio E:

  • una durata equivalente o maggiore a due mesi
  • una compromissione marcata del funzionamento
  • ideazione suicidaria, sintomi psicotici o rallentamento psicomotorio (DSM IV-TR, 2000).

Il razionale di queste indicazioni è quello di differenziare una reazione considerata normale – il lutto – da una condizione psicopatologica – la Depressione Maggiore.

Il DSM 5 ha eliminato questa discriminazione e al suo interno non c’è traccia del criterio E, sostituito da una nota che suggerisce al clinico di valutare con attenzione se in caso di eventi legati alla perdita (come lutto, gravi problemi economici, disastri naturali, grave malattia o disabilità) il soggetto presenta i sintomi di un Episodio Depressivo Maggiore (EDM) in aggiunta alla reazione naturale – senza specificare cosa si intenda per ‘naturale’. Il paragrafo introduttivo sui disturbi depressivi ricorda inoltre che la compresenza di lutto e sintomi depressivi si associa a prognosi peggiore, e che in questi casi il trattamento con antidepressivi può facilitare ricovero (DSM 5, 2013).

In sostanza, per il DSM IV-Tr il signor Rossi sarebbe in lutto mentre per il DSM 5 si tratterebbe di un caso di Depressione Maggiore.

Questo rilevante cambiamento di prospettive è stato accompagnato da un acceso dibattito in letteratura. Secondo gli autori favorevoli all’eliminazione del criterio E tale scelta si basa su evidenze scientifiche e già nel 2001 Zisook evidenziava l’utilità del bupropione nel trattamento di Episodio Depressivo Maggiore immediatamente successivi alla perdita di una persona cara (es: lutto), sostenendo che la capacità del farmaco di ridurre la sintomatologia depressiva e insieme le manifestazioni lutto correlate sfiderebbe le indicazioni del DSM-IV di non trattare farmacologicamente i casi di lutto (Zisook et al, 2001).

Ricerche successive (Zisook e Kendler, 2007; Zisook, Shear & Kendler, 2007; Lamb et al, 2010) mettono in dubbio la validità del Criterio E sulla base dell’assenza di differenze significative tra Episodio Depressivo Maggiore lutto correlati e Episodio Depressivo Maggiore non lutto-correlati. Anche Corruble et al (2009) sostengono questa posizione, arrivando a concludere che i soggetti del loro campione classificati come ‘lutto’ presentavano sintomi depressivi più gravi rispetto ai soggetti con depressione maggiore, inclusi maggiore ideazione suicidaria e senso di inutilità.

Un ulteriore argomento che depone a favore dell’eliminazione del criterio E sarebbe l’assenza di differenze significative tra condizioni di lutto e sintomi depressivi non severi conseguenti ad altri tipi di eventi stressanti (Kendler, Myers & Zisook, 2008). Infine Kendler (2010), riassume le ragioni a favore dell’eliminazione del criterio E aggiungendo quanto segue:

  • il criterio E, che impedisce la diagnosi di depressione maggiore in caso di lutto recente, è stato inserito nel DSM IV-Tr sulla base dei lavori di un unico autore;
  • l’International Classification of Dieseases (ICD, l’altro principale sistema di classificazione dei disturbi) non prevede nessun criterio E nella diagnosi di Depressione Maggiore;
  • il termine generico ‘depressione’ spesso usato per indicare il lutto non va confuso con il concetto diagnostico di Depressione Maggiore;
  • la diagnosi in psichiatria non implica necessariamente il trattamento, un bravo psichiatra di fronte a un Episodio Depressivo Maggiore lutto correlato parte da un’accurata valutazione diagnostica e, quando i criteri per la depressione maggiore sono soddisfatti, valuta se adottare la tecnica del ‘guardare e aspettare’ oppure se, a causa di ideazione suicidaria, marcata compromissione del funzionamento o un sostanziale peggioramento clinico, i benefici del trattamento sono superiori ai limiti.

Ad un’analisi più attenta, l’evidenza scientifica a sostegno di questo cambiamento si è dimostrata fallace.

Riprendendo nell’ordine gli articoli finora citati: un articolo pubblicato da Whoriskey (2006) sul Washington Post denuncia lo scarso rigore scientifico nella ricerca di Zisook e colleghi (2001), che nonostante un campione di soli 22 soggetti, la loro mancata randomizzazione e l’assenza di un gruppo di controllo pretendeva di sfidare l’indicazione del DSM IV-Tr di non fare ricorso al trattamento farmacologico in caso di lutto (Whoriskey, 2006). Wakefield e First (2012) hanno analizzato nel dettaglio vari articoli favorevoli all’eliminazione del criterio E soffermandosi su un errore di concetto che ricorre sia nella prima ricerca di Zisook e Kendler (2007) che quella successiva (Zisook, Kendler e Shear; 2007): esprimersi a favore dell’eliminazione del criterio E sulla base dell’assenza di differenze significative tra le varie forme di Depressione Maggiore non ha niente a che fare con il criterio E in sé, il cui fine è quello di distinguere tra una condizione patologica e una non patologica (Wakefield & First, 2012).

Va aggiunto che gli stessi Zisook, Kendler e Shear (2007) riconoscono di aver misclassificato la condizione di lutto nella loro ricerca, inserendovi anche casi di Episodio Depressivo Maggiore, ma ignorano questo dettaglio nelle loro conclusioni.

Un simile errore di concetto è stato compiuto da Lamb e colleghi (2010) che hanno incluso nelle loro analisi una ricerca di Kessing et al (2010) dove nella condizione lutto rientravano anche pazienti ricoverati, i 2/3 del gruppo, e pazienti con ideazione suicidaria, il 73% (Wakefield e First, 2012). Allo stesso modo, Corruble e colleghi (2009) hanno considerato lutto anche quelle situazioni in cui i pazienti presentavano ritardo psicomotorio (70.5%), sentimenti di inutilità (66.8%) e ideazione suicidaria (36%), tutti elementi che vengono inclusi nel criterio E come indici di una probabile Depressione Maggiore (Wakefield & First, 2012). Rispetto all’argomento sostenuto da Kendler, Mayers e Zisook (2008), ovvero la somiglianza tra lutto e sintomi depressivi non severi conseguenti ad altri tipi di eventi stressanti, altri autori sulla base di simili dati sono arrivati all’opposta conclusione di mantenere il criterio E ed estenderlo alle altre situazioni di perdita (Wakefield et al, 2007). Infine, anche le ragioni elencate da Kendler (2010) sono opinabili:

  • dichiarare che il criterio E impedisce la diagnosi di Depressione Maggiore in caso di lutto non corrisponde a verità, questa è possibile a patto che vengano soddisfatti specifici sintomi aggiuntivi (DSM IV-Tr, 2000). Con il lavoro di un unico autore Kendler sembra riferirsi alle pubblicazioni di Clayton (Clayton, Desmarais & Winokur, 1968; Clayton, Halikas, & Maurice WL, 1972; Clayton, Herjanic & Murphy, 1974) che ancora oggi forniscono evidenze persuasive circa l’utilità del criterio E (Wakefield e First, 2012).
  • Nelle linee guida dell’ICD-10 il lutto viene riconosciuto come una reazione normale, solitamente non superiore ai 6 mesi, non codificabile come disturbo mentale se appropriata alla cultura di riferimento dell’individuo (WHO, 1992). Inoltre, anche se l’ICD-10 non menziona il lutto nella diagnosi di Depressione Maggiore è probabile che questo venga incluso nella prossima versione, l’ICD-11 (Maj, 2012). Includere l’assenza del criterio E nell’ICD tra le ragioni a favore della sua esclusione nel DSM 5 perde quindi di significato.
  • È proprio la confusione che spesso si crea tra i termini depressione e lutto a rafforzare la necessità di una chiara distinzione tra i due, soprattutto considerando che nel mondo reale, la maggior parte delle prescrizioni saranno fornite da medici di medicina generale che hanno 6 minuti per ogni paziente, non conoscono accuratamente i criteri diagnostici e desiderano la soluzione più veloce (Frances, Pies & Zisook, 2010).
  • Quest’ultimo punto ben evidenzia il rischio di sovradiagnosticare, ora che il criterio E è stato eliminato si suggerisce al clinico di segnare – in ogni caso – la presenza di psicopatologia, e di ricorrere al farmaco solo se i sintomi sono sufficientemente gravi.

In sostanza la validità del criterio E viene negata ricorrendo alla sua stessa indicazione, ovvero quella di trattare farmacologicamente le condizioni patologiche che presentano sintomi molto simili rispetto a quelli suggeriti da Kendler (ideazione suicidaria, marcata compromissione del funzionamento o un sostanziale peggioramento clinico).

In accordo con il sito del DSM 5 le modifiche apportate sarebbero basate su evidenze scientifiche e finalizzate al miglioramento delle pratica clinica (DSM web site, 2014). Ad un’osservazione più accurata dei dati emerge tuttavia che la scelta di eliminare il criterio E è in contraddizione con quanto sostenuto, sia perché le ricerche scientifiche si sono rivelate inconsistenti, sia perché le nuove indicazioni potrebbero rivelarsi controproducenti per la pratica clinica, aumentando il rischio di diagnosticare erroneamente il lutto come patologia – e quindi di trattarlo farmacologicamente (First, 2011).

Ma se alla base di questa scelta non troviamo né evidenza scientifica né evidenza clinica, qual è il razionale che la sostiene? Il dubbio è che l’interesse non sia tanto quello di favorire il benessere dei pazienti bensì quello delle case farmaceutiche, basti pensare che otto degli undici membri della commissione APA (American Psychiatric Association) che hanno votato a favore di questo cambiamento riportano connessioni di ordine economico con le industrie farmaceutiche (Whoriskey, 2012). Sidney Zisook, il consigliere principale della commissione, è stato relatore e consulente per diverse case farmaceutiche oltre che primo autore nella ricerca che sostiene l’impiego del bupropione nel trattamento del lutto – ricerca sponsorizzata dalla Glaxo (Whoriskey, 2012).

Per prevenire ulteriori critiche a partire dal 2007 l’APA ha istituito una politica di divulgazione obbligatoria per i suoi membri, a cui viene richiesto di segnalare la presenza di eventuali conflitti di interesse e limitare ad un massimo di 10.000 dollari il compenso annuo ricevuto dalle industrie (APA, 2007). Nonostante questa richiesta il 69% dei membri appartenenti alla commissione che ha lavorato al DSM V ha dichiarato legami con le case farmaceutiche, e tale percentuale aumenta tra i membri che si sono occupati di disturbi per i quali i farmaci sono indicati come trattamento di prima scelta, nello specifico: l’83% dei membri della commissione dedicata ai Disturbi dell’umore ha dichiarato una qualche forma di legame con le industrie, o le compagnie associate alle industrie, che producono i farmaci segnalati per il trattamento (Cosgrove & Krimsi, 2012).

Ritornando all’esempio iniziale, alla luce di quanto finora citato la miglior conclusione che può essere tratta è quanto sostenuto da Allen Frances (2012), professore presso il Dipartimento di psichiatria della Duke University e a capo della task force che aveva prodotto il DSM IV-Tr:

il lutto diventerà Disturbo Depressivo Maggiore, quindi le nostre prevedibili e necessarie reazioni emotive alla perdita di una persona cara saranno medicalizzate e banalizzate, sostituendo con pillole e rituali medici superficiali le consolazioni profonde derivate dalla famiglia, dagli amici, dalla religione e dalla resilienza che viene con il tempo e con l’accettazione delle limitazioni della vita.

 

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