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La psicologia degli esclusi e dei reietti: la necessità di avere un capro espiatorio

Secondo Girard e Fornari gli individui sono in agonismo e competono per posizioni di rango; per questo necessitano di una vittima su cui concentrare l'odio.

Di Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 26 Giu. 2015

Articolo pubblicato da Giovanni Maria Ruggiero su Linkiesta del 21/06/2015

Questa situazione di continuo conflitto tuttavia alla lunga è intollerabile. Ecco allora la necessità della vittima, una vittima su cui concentrare l’odio, l’escluso su cui radunare il rancore e in questo rancore condiviso ritrovare un minimo di armonia. Questo rancore finisce spesso per concretizzarsi in condotte linciatorie.

Non spessissimo la psicologia si è occupata della psicologia degli esclusi e delle vittime, degli umiliati e degli offesi, dei reietti e degli ultimi di questo mondo. Raccolta intorno allo studio della sofferenza esistenziale e borghese dei benestanti, la scienza psicologica tace di fronte ai rifiutati, ai vagabondi, ai poveri. La loro sofferenza è primitiva e primordiale, e finisce per essere oggetto delle riflessioni dell’antropologia e della sociologia. Chi mi legge sa che in questo campo mi riferisco spesso alle teorie sul capro espiatorio di Renè Girard e di Giuseppe Fornari. In questa teoria i rapporti umani sono concepiti come tendenzialmente conflittuali e rivalitari. Gli individui sono in agonismo perenne e competono per posizioni di rango in cui si sentano riconosciuti, ammirati, abbiano accesso alle risorse materiali e, soprattutto, destino ammirazione, seguito e imitazione.

Questa situazione di continuo conflitto tuttavia alla lunga è intollerabile. Ecco allora la necessità della vittima, una vittima su cui concentrare l’odio, l’escluso su cui radunare il rancore e in questo rancore condiviso ritrovare un minimo di armonia. Questo rancore finisce spesso per concretizzarsi in condotte linciatorie. Anzi, secondo la teoria del capro espiatorio, tutte le culture del pianeta si fondano su un linciaggio fondatore.

Questi linciaggi, naturalmente, col tempo sono stati censurati e sublimati. Complice anche il benessere dell’ultimo secolo, è stato possibile evitare l’odio verso la vittima e l’escluso. C’è da chiedersi tuttavia se si stia tornando a ere più feroci e spietate. Uno degli episodi più significativi di questa spietatezza delle ere antiche verso il diverso, il vagabondo, l’escluso, lo troviamo nell’episodio della lapidazione di Efeso narrato da Flavio Filostrato nel suo testo “Vita di Apollonio di Tiana“. Apollonio di Tiana era una figura tipica dell’età ellenistica, un sapiente a cavallo tra filosofia e magia. Nel libro dell’erudito Flavio Filostrato (l’erudito, altra figura tipica dell’ellenismo) sono raccolti gli episodi più significativi della vita di questo filosofo/mago del II secolo dopo Cristo.

Girard è affezionato a questo racconto, e vedremo perché. Egli racconta la lapidazione di Efeso in molti dei suoi libri, come paradigma del meccanismo vittimario in cui una tensione sociale è risolta concentrando l’odio verso una tipica figura di escluso: un mendicante. La lapidazione di Efeso fu un fatto storico, sia pure di non grande risonanza, che avvenne in un periodo di tensione sociale altissima, dovuta a una pestilenza terribile che mieteva moltissime vittime tra i cittadini. Si trattava di una crisi non solo sanitaria ma sociale che metteva in pericolo la sussistenza della stessa comunità efesina. Leggiamo l’episodio.

La popolazione di Efeso per risolvere la terribile pestilenza si rivolge ad Apollonio, sperando nel suo aiuto materiale di mago e nella consolazione della sua saggezza. E cosa fa Apollonio? Così egli risponde alla popolazione: ” -Fatevi coraggio, perché oggi stesso metterò fine a questo flagello- (la pestilenza). E con tali parole condusse (Apollonio) l’intera popolazione al teatro, dove si trovava l’immagine del dio protettore. Lì egli vide quello che sembrava un vecchio mendicante, il quale astutamente ammiccava gli occhi come se fosse cieco, e portava una borsa che conteneva una crosta di pane; era vestito di stracci e il suo viso era imbrattato di sudiciume. Apollonio dispose gli Efesi attorno a sé, e disse: -Raccogliete più pietre possibili e scagliatele contro questo nemico degli dei-. Gli efesini si domandarono che cosa volesse dire, ed erano sbigottiti dall’idea di uccidere uno straniero così palesemente miserabile, che li pregava e supplicava di avere pietà di lui. Ma Apollonio insistette e incitò gli efesini a scagliarsi contro di lui e a non lasciarlo andare. Non appena alcuni di loro cominciarono a colpirlo con le pietre, il mendicante che prima sembrava cieco gettò loro uno sguardo improvviso, mostrando che i suoi occhi erano pieni di fuoco. Gli efesini riconobbero allora che si trattava di un demone e lo lapidarono sino a formare sopra di lui un grande cumulo di pietre. Dopo qualche momento Apollonio ordinò loro di rimuovere le pietre e di rendersi conto di quale animale selvaggio avevano ucciso. Quando dunque ebbero riportato alla luce colui che pensavano di aver lapidato, trovarono che era scomparso, e che al suo posto c’era un cane simile nell’aspetto a un molosso, ma delle dimensioni di un enorme leone. Esso stava lì sotto i loro occhi, spappolato dalle loro pietre, e vomitando schiuma come fanno i cani rabbiosi. A causa di questo la statua del dio protettore, Eracle, venne posta proprio nel punto dove il demone era stato ammazzato”.

L’episodio lascia abbastanza sbigottiti. È evidente che Apollonio, un saggio dell’età ellenistica, è caduto preda di una superstizione che per la nostra sensibilità moderna appare intollerabile. Un medicante, un vagabondo che forse –come fanno spesso i mendicanti- occupava da anni una postazione fissa dove raccogliere le elemosine è scelto come capro espiatorio. Scambiato per un demone, è linciato senza tanti complimenti. Non è dato sapere fino a che punto Apollonio fosse preda o manipolatore della sua stessa superstizione magica. Qui però l’obiettivo è riflettere sul meccanismo psicologico della concentrazione dell’odio su un reietto, su un escluso, sul quale la società ritrova la sua momentanea riappacificazione.

Il brano di Filostrato racconta come in seguito ad una situazione di grave crisi, la pestilenza, la folla si fa plagiare da colui che in teoria è un saggio, Apollonio, al quale sono attribuiti strani poteri magici. Apollonio –come molti individui carismatici di tutte le età- sembra conoscere molto bene il funzionamento del sistema del capro espiatorio e convince la gente che uccidendo un singolo individuo, scelto per la sua condizione di outsider, di escluso, i problemi sarebbero scomparsi. Non a caso il capro è un mendicante straniero, vestito di stracci, sporco e cieco. Rappresenta l’emarginato mal visto da tutti.

Una volta scelta la vittima Apollonio riesce facilmente a far vedere alla folla quello che egli stesso vuole che sia visto, ovvero che non si tratta di un uomo ma di un demone responsabile della pestilenza. In un primo momento gli efesini, più innocenti di Apollonio, non capiscono perché debbano ammazzare barbaramente e senza prove il mendicante e rimangono increduli. Eppure le parole di Apollonio che parlano del mendicante come nemico degli dei cominciano a convincere qualcuno, qualcuno che scaglia la prima pietra.

È interessante notare come questi movimenti della folla, spesso sono innescati da minoranze. Che l’azione sia della maggioranza è solo illusorio. Basta una persona, o poche, che scagliano le primissime pietre, e la folla segue, iniziando il terribile atto del linciaggio. E infatti a questo punto tutti gli efesini, imitando il modello, diventano sicuri della colpevolezza del mendicante e vedono nei suoi occhi il fuoco, un segno demoniaco che accresce ancor più i sospetti. Chi sa, forse il mendicante era davvero un falso cieco, come talvolta accade. E purtroppo questa eventuale colpa del mendicante, lungi dal generare una solidarietà umana e una consapevolezza comune della responsabilità che è di tutti e non di un unico colpevole come nell’episodio simile e opposto dell’adultera e di Gesù, è utilizzata da Apollonio per scatenare definitivamente la lapidazione. Vedete? Non è un cieco, i suoi occhi sono vivi e pieni di fuoco. È un demone. E dopo la lapidazione gli efesini, ormai preda di un’allucinazione collettiva non riconoscono più il mendicante ucciso, vedendo al suo posto un animale/mostro.

Siamo al ribaltamento del detto evangelico di non scagliare la prima pietra. Qui è il profeta che invita tutti alla lapidazione e alla morte di un debole, anzi del debole per eccellenza, il mendicante. Speriamo che non sia questo il destino di una nuova epoca e che non siano questi i profeti che l’annunciano. Speriamo di non essere tornati a questo cuore di pietra.

 

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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