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Attualità in tema di trattamento psicoterapico delle psicosi

Nel congresso si evidenzia l'importanza di adottare un approccio integrato comprensivo di trattamento farmacologico e psicoterapia individuale e familiare

Di Redazione

Pubblicato il 10 Giu. 2015

Aggiornato il 12 Giu. 2015 07:52

Carmela Mento, Amelia Rizzo

Una pietra miliare su cui la comunità scientifica sembra aver raggiunto un pacifico accordo superando vecchie rivalità è l’importanza dell’approccio integrato, che prevede cioè il trattamento farmacologico, la terapia individuale e la terapia familiare.

La psicosi schizofrenica, come sappiamo, ha un tasso di incidenza nella popolazione di circa 1 – 1,5 casi su 1000 abitanti. Spesso, per la gravità dei sintomi con cui si manifesta, rappresenta per i clinici una vera e propria sfida.
In questo senso l’evidence based medicine e gli studi clinici, hanno contribuito ad incrementare una serie di conoscenze da tradurre nella pratica clinica. Ad esempio, negli ultimi decenni si è sottolineata abbondantemente l’importanza dell’identificazione precoce della fase pre-psicotica, in cui l’intervento tempestivo costituisce un fattore fondamentale nel decorso della patologia agendo efficacemente sulla riduzione dello sviluppo di sintomi positivi, sui sintomi negativi e sul funzionamento globale (Ruhrmann, Shultze Lutter e Klosterkotter, 2007).

Un’altra pietra miliare su cui la comunità scientifica sembra aver raggiunto un pacifico accordo superando vecchie rivalità è l’importanza dell’approccio integrato, che prevede cioè il trattamento farmacologico, la terapia individuale e la terapia familiare.

Nel 2008 sono stati pubblicati i primi risultati di un’indagine sul territorio nazionale (il progetto SIEP DIRECT’S) coordinata dal gruppo di ricerca di Lora, Semisa e Ruggeri, Università di Verona, e promosso dalla Società Italiana di Epidemiologia Psichiatrica allo scopo di verificare l’effettiva applicazione delle conoscenze scientifiche nei protocolli di cura dei pazienti schizofrenici.
Questo gruppo di ricercatori ha raccolto dati su 19 Dipartimenti di Salute Mentale rispetto a 41 parametri. Sarebbe interessante elencarli tutti, ma per rispondere al quesito in particolare sull’identificazione precoce e l’approccio integrato ci basta sapere che:
dei pazienti che si presentano ai Servizi di Salute Mentale ai primi segni di psicosi il 50% riceve cure inappropriate, il 28% riceve cure generiche, il 22% riceve le cure indicate dalle linee guida NICE (National Institute for Clinical Excellence), e solo il 16% viene preso in carico da personale ad hoc.

Le linee guida NICE prevedono infatti paramentri specifici quali:
(1) il monitoraggio dello stato di salute fisica del paziente (esami di medicina generale) – dal 26 al 50% sono monitorati per pressione arteriosa e glicemia, meno del 10% per colesterolo ed ECG;
(2) protocolli per pazienti multiproblematici (che hanno avuto più ricoveri, abbandonano il trattamento e vivono in condizioni di disagio sociale) – più del 50% riceve un piano specifico di assistenza sociale;
ma anche
(3) interventi psicologici individuali;
(4) attività rivolta alla famiglia;
(5) trattamenti farmacologici;
(6) schizofrenia resistente al cambiamento;
(7) il lavoro.

In particolare, come psicologi clinici, abbiamo voluto approfondire il peso degli interventi psicoterapici nel trattamento della psicosi osservando, grazie agli autori dell’indagine, che i pazienti che ricevono cure psicoterapiche nel nostro territorio sono ancora pochi. Il 60% dei centri infatti ha dichiarato che i pazienti non vengono trattati con psicoterapie individuali, mentre il restante 40% dei centri di Salute Mentale dichiara di trattare meno del 10% dei pazienti con psicoterapie individuali sia a breve termine, ovvero con almeno 3 sedute l’anno o a lungo termine cioè con 10 o più sedute l’anno.

Ci auguriamo che dal momento dell’indagine i dati siano cambiati, anche perchè negli ultimi cinque anni, gli strumenti a disposizione degli operatori di salute mentale come Psichiatri e Psicologi si sono moltiplicati, offrendo un più ampio ventaglio di possibilità di intervento.
Dagli studi più recenti infatti sono state dimostrate le evidenze di efficacia di trattamenti psicoterapici individuali di diversi orientamenti e che agiscono a differenti livelli, di cui faremo una breve carrellata, citandone i più rappresentativi.

Un primo cluster di studi riguarda la psicoterapia focalizzata sul benessere.
Uno study protocol pubblicato nel 2014 da Schrank, ad esempio, ha dimostrato sperimentalmente l’efficacia della WELLFOCUS – POSITIVE PSYCHOTHERAPY. La Psicoterapia positiva, già proposta da Seligman nel 2006, nasceva infatti come trattamento per la depressione e si è sviluppata dall’osservazione clinica sulla maggiore efficacia dell’incremento di emozioni positive, del coinvolgimento e dell’attribuzione di senso rispetto all’intervento sui sintomi depressivi.

Il tentativo di Schrank è stato quello di valutare se questo tipo di intervento potesse essere altrettanto valido per le psicosi ottenendo che, in un campione di 80 pazienti psicotici, il gruppo sperimentale otteneva alla valutazione finale maggiori livelli di benessere ma anche livelli più elevati di sollievo dai sintomi, emozionalità positiva, forza dell’Io, coerenza e significato.
Brownell (nel 2015) ha trovato inoltre che in un gruppo di 11 settimane, i pazienti psicotici apprendevano ad incrementare le esperienze piacevoli rafforzando i loro punti di forza, focalizzandosi su esperienze come il perdono e la gratitudine.

Un secondo cluster si è concentrata invece sugli aspetti cognitivi e metacognitivi.
Un recente studio (2015) di Mènon e colleghi ha affrontato quei casi di schizofrenia resistente al cambiamento in cui il trattamento farmacologico dimostra purtroppo una scarsa efficacia. L’autore ha sperimentato sia la Cognitive Behavioural Therapy for Psychosis sia il Meta-cognitive Training ottenendo un miglioramento nel funzionamento globale dovuto alla maggiore comprensione da parte del paziente dei meccanismi psicologici legati ai sintomi come deliri ed allucinazioni, attraverso l’incremento di strategie di esame di realtà e valutazione critica delle credenze. Anche Bargenquast (2015) in uno studio su caso singolo, con una psicoterapia individuale durata due anni, ha ottenuto che il miglioramento delle capacità di metacognizione hanno agito su una maggiore coerenza del senso del sé, diminuendo, fra le altre cose, la frequenza dei ricoveri.

Un terzo cluster si è concentrato invece sugli aspetti simbolici e di relazione.
Knafo (2015) sottolinea ad esempio su Psychoanalitic Psychology, come sia importante evitare che il trattamento sia medicalizzato. L’importanza data ai sintomi del paziente ed alla sua realtà di sofferenza sarebbe di per sé un atto terapeutico, nel riconoscimento dello stato emotivo e nella credibilità data alla realtà del soggetto.

Uno dei modelli psicoterapici contenuti in un volume pubblicato recentemente intitolato INNOVATION IN PSYCHOSOCIAL INTERVENTIONS FOR PSYCHOSIS, suggerisce infatti l’importanza di alcuni incontri preparatori alla psicoterapia, per facilitare il coinvolgimento e la motivazione del paziente al trattamento ed espone un modello di trattamento psicoterapico incentrato sulla Compassione. La Compassion Focused Therapy sarebbe infatti uno strumento elettivo nel ridurre i sentimenti di vergogna e la tendenza autocritica che caratterizzano l’esperienza psicotica.

In conclusione, il vantaggio di questi cluster di studi consiste indubbiamente nell’ampliamento delle possibilità terapeutiche del clinico, ma come tale non deve trasformarsi in un’ arma a doppio taglio. L’adesione rigida ad un protocollo o ad un’area esclusiva, sia essa affettiva, cognitiva o simbolica, rischia di incrementare proprio quella scissione su cui si cerca di intervenire.
Il clinico, come tale, è quindi il primo a dover compiere uno sforzo di integrazione, non solo come modello di lavoro (ovvero con l’intervento integrato) ma anche in quanto sano processo psichico.

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BIBLIOGRAFIA:

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