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Indagine su un’epidemia. Lo straordinario aumento delle disabilità psichiatriche nell’epoca del boom degli psicofarmaci – Recensione

Il libro contiene un’analisi della pratica clinica psichiatrica americana. Al centro dell’inchiesta, come principali indiziati, ci sono gli psicofarmaci.

Di Gaspare Palmieri

Pubblicato il 04 Giu. 2015

Robert Whitaker si distingue da altre voci, compiendo un’analisi davvero attenta della pratica clinica psichiatrica americana, studiando a fondo la letteratura scientifica e intervistando medici e pazienti.  Al centro dell’inchiesta, come principali indiziati, ci sono loro, gli psicofarmaci, croce e delizia di ogni psichiatra.

Durante la specializzazione in psichiatria, mi ci è voluto un po’ di tempo per rendermi conto che è raro che gli psichiatri facciano una qualche lettura critica. 

E’ quanto sostiene nell’introduzione di un capitolo il Professore di Psichiatria texano Colin Ross.

Credo che il termine lettura critica sia particolarmente azzeccato per questo libro scritto da un giornalista americano (una sorta di Gabanelli d’Oltreoceano…), specializzato in inchieste sulla salute mentale. Non che nel mondo manchino le critiche alla psichiatria (si pensi ai tentativi di sabotaggio a scopo di lucro di Scientology o ai più romantici movimenti antipsichiatrici), ma Robert Whitaker si distingue da altre voci, compiendo un’analisi davvero attenta della pratica clinica psichiatrica americana, studiando a fondo la letteratura scientifica e intervistando medici e pazienti.  Al centro dell’inchiesta, come principali indiziati, ci sono loro, gli psicofarmaci, croce e delizia di ogni psichiatra.

Il libro parte proprio con la storia della scoperta e della diffusione delle medicine per la psiche. Chi lavora in psichiatria sa che per valutare ogni intervento terapeutico è assolutamente necessario conoscere la storia del paziente e, allo stesso modo, conoscere la storia delle armi usate nella cura può avere sicuramente un suo senso.

Viene messo in evidenza come gli effetti psicotropi delle principali medicine utilizzate nella pratica clinica (neurolettici, benzodiazepine, antidepressivi) siano state scoperte più o meno per caso (come gli antibiotici in realtà) e non da una ricerca basata su ipotesi precise sul funzionamento o malfunzionamento del cervello. Questo fatto getta un’ombra sulla reale possibilità di conoscere davvero a fondo il loro meccanismo d’azione, gli effetti terapeutici e i possibili effetti collaterali a lungo termine, ma soprattutto fa fortemente traballare il modello meramente biologico della malattia mentale, che prevede che i disturbi siano il frutto di squilibri biochimici completamente correggibili farmacologicamente.

In base all’analisi compiuta sulla letteratura, l’autore non nega che gli psicofarmaci siano utili o addirittura indispensabili nelle fasi acute del disagio psichico, ma mostra come un loro uso troppo prolungato possa contribuire alla cronicizzazione del quadro morboso, con una paradossale maggiore facilità di ricaduta nella malattia.

Su questo punto si potrebbe obiettare che l’autore è un giornalista e non è un ricercatore specializzato nell’analisi di studi sull’efficacia dei farmaci, ma i dati che presenta sono comunque impressionanti, soprattutto per quanto riguarda la risposta al placebo negli studi controllati randomizzati, che non si discosta poi di molto dall’efficacia del farmaco (tipo risposta al placebo 31%, risposta al farmaco 41%). Nel libro viene anche raccontata la strana epidemia del disturbo bipolare che si è manifestata negli ultimi anni (anche da noi in Italia ha colpito alcune prestigiose Scuole di Specializzazione in psichiatria).

L’aumento di queste diagnosi potrebbe essere legato ad un uso eccessivo di antidepressivi (soprattutto tra gli anni ottanta e novanta, sull’onda dell’entusiasmo per l’immissione sul mercato degli SSRI), ma non si può neanche escludere che le stesse case farmaceutiche, per favorire la prescrizione di neurolettici di nuova generazione (che chiaramente trovano indicazione nel disturbo bipolare) abbiano incoraggiato tramite laute ricompense e regalini vari gli opinion leaders della psichiatria a divulgare l’epidemia, che non risparmia neanche i minorenni. Alcuni capitoli sono infatti dedicati all’aumento esponenziale delle diagnosi di disturbo bipolare e depressione nei bambini e negli adolescenti, diventati forti consumatori di antidepressivi, e alla dilagante epidemia dell’ADHD, per il quale si prescrive il metilfenidato (amfetamina stimolante), che può indurre a sua volta stati psicotici e maniacali.

L’autore racconta poi alcune storie di pazienti che testimoniano come abbiano tratto beneficio dalla sospensione dei farmaci e parla ampliamente degli studi del dottor David Healy, controverso psichiatra gallese, che tra i primi ha giustamente lanciato l’allarme del possibile aumento del rischio suicidiario legato all’assunzione di antidepressivi (minando una sfolgorante carriera accademica, ma ottenendo che il rischio sia stato segnalato sul bugiardino).

Certi estremismi prescrittivi e altri aspetti della situazione clinica descritta da Whitaker (come il sistema sanitario assicurativo e la questione dell’invalidità dilagante per disturbi depressivi) paiono comunque molto legati alla realtà americana, tanto che alla fine del libro come esempio di psichiatria più umana viene portato quello di una comunità terapeutica finlandese, in cui i farmaci vengono usati quando servono e si lavora molto a livello psicoterapico e interpersonale. Una volta tanto che non dobbiamo imparare tutto dagli americani!

 

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