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Il controverso caso dell’esperimento carcerario di Stanford

L'esperimento di Zimbardo ha avuto esiti drammatici, recentemente però sono state sollevate critiche su procedure e pertinenza delle inferenze proposte...

Di Chiara Manfredi

Pubblicato il 17 Giu. 2015

Quello di Stanford è uno degli esperimenti che tutti gli addetti agli psicolavori hanno studiato nel corso dell’Università, è uno dei più conosciuti nell’ambito della psicologia sociale, e in sintesi si proponeva di indagare il comportamento delle persone sulla base del proprio gruppo di appartenenza. I risultati dell’esperimento furono drammatici.

Quello di Stanford è uno degli esperimenti che tutti gli addetti agli psicolavori hanno studiato nel corso dell’Università, oltre ad avere avuto una buona risonanza nell’ambito non accademico, ispirando diversi film tra cui The Experiment di Scheuring del 2010.

L’esperimento è uno dei più conosciuti nell’ambito della psicologia sociale, e in sintesi si proponeva di indagare il comportamento delle persone sulla base del proprio gruppo di appartenenza.

La procedura ha previsto l’assegnazione casuale di 24 studenti metà al ruolo di guardia e metà al ruolo di carcerato. In seguito, tutti i ragazzi furono inseriti in una prigione artificiale collocata nell’Università di Stanford, seguendo in modo preciso le procedure adottate nelle prigioni del Texas sia la per quanto riguarda la costruzione dello stabile che le pratiche di arresto. Le guardie non ricevettero alcuno specifico addestramento e furono istruite a fare tutto ciò che ritenevano fosse utile a far osservare le regole, mentre i detenuti furono informati delle condizioni che li aspettavano in termini di umiliazione e violazione della privacy.

I risultati dell’esperimento furono drammatici e nonostante la durata prevista fosse di due settimane, portarono all’interruzione prematura dopo soli 6 giorni a causa del forte impatto psicologico che la situazione ebbe sugli studenti: in pochissimi giorni le guardie divennero sadiche e maltrattanti e i prigionieri mostrarono evidenti segnali di stress e depressione.

Se nell’immediato questi esiti furono interpretati come una riprova del forte impatto della categoria di appartenenza sulla condotta dei singoli, recentemente sono state sollevate diverse critiche alle procedure seguite e alla pertinenza delle inferenze proposte.

In particolare, nonostante le conclusioni tratte riguardino quello che succede quando le persone si identificano in una categoria di appartenenza nella vita di tutti i giorni, il contesto dell’esperimento non era rappresentativo della quotidianità, ma era altamente influenzato dall’elevato livello di brutalità e depersonalizzazione indotta.

In secondo luogo, le umiliazioni protratte dalle guardie nel periodo di carcere sono state probabilmente legittimate dal modo brutale in cui i carcerati sono stati arrestati. In questo senso, ci può essere stato un tacito consenso o addirittura un incoraggiamento implicito a utilizzare sui carcerati procedure violente e spietate, che hanno appunto portato alla conclusione anticipata della procedura.

Ancora, i critici delle procedure notano come le guardie non fossero in realtà del tutto autonome nei loro comportamenti e nella loro linea di condotta, dal momento che erano presenti dei supervisori (uno dei quali rappresentato dallo stesso Zimbardo, artefice dell’esperimento): è possibile che anche in questo caso la tacita accettazione dei comportamenti violenti da parte dei supervisori abbia funzionato come approvazione, portando a perpetuare le violenze e le umiliazioni.

Inoltre, una delle guardie ha dichiarato di aver volontariamente calcato la mano, impersonando un ruolo sadico e violento, come era solito fare nella sua attività di attore di teatro, parlando della capacità di assumere un’altra identità prima di iniziare a recitare; inoltre, ha dichiarato:

stavo svolgendo un piccolo esperimento personale all’interno dell’esperimento di Stanford, testando quanto potessi forzare la mano e quanto tempo avrebbero impiegato gli altri prima di dirmi di smettere.

Ancora, l’arruolamento dei partecipanti è avvenuta attraverso un annuncio che proponeva di partecipare a uno studio psicologico sulla vita carceraria, e questo potrebbe aver selezionato i partecipanti in una determinata direzione. In uno studio del 2007, Carnahan e McFarland hanno indagato meglio questo aspetto, pubblicando due diversi annunci: mentre uno riportava le esatte parole originali dell’esperimento di Stanford, il secondo ometteva la specifica sulla vita carceraria: gli autori hanno confermato come, una volta sottoposti a test psicometrici, i soggetti che avevano risposto al primo annuncio ottenessero punteggi significativamente più elevati in aggressività, autoritarismo, narcisismo, dominanza sociale e punteggi significativamente inferiori in altruismo e empatia rispetto a quelli che avevano risposto al secondo, confermando l’ipotesi di una particolare selezione di persone anche nell’esperimento di Zimbardo.

Infine, la portata dei comportamenti violenti sembra essere stata sopravvalutata, dando maggiore attenzione a quelle guardie che avevano sviluppato comportamenti sadici e tralasciando che due terzi delle guardie (come traspare da un report scritto al tempo da Zimbardo stesso) non avevano sviluppato comportamenti tirannici.

In conclusione, ci sono alcune questioni controverse che hanno bisogno di maggiore chiarezza, anche alla luce del grande impatto che l’esperimento di Stanford ha avuto sull’opinione pubblica.

Il Prof. Philip Zimbardo, primo autore dell’esperimento originale e responsabile delle procedure, sarà ospite della Sigmund Freud University domenica 11 luglio e terrà due talk in lingua inglese dal titolo My journey from Evil to Heroism e The secret power of Time in our lives.

Tutte le informazioni relative all’evento sono disponibili a questo link

Zimbardo SFU 2015

 

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Chiara Manfredi
Chiara Manfredi

Teaching Instructor presso Sigmund Freud University Milano, Ricercatrice per Studi Cognitivi.

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