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Dipendenze. Innovazioni per dirigenti e operatori – Report dal Convegno (Parte I)

Il convegno si è svolto a Trento e ha affrontato il tema delle dipendenze patologiche con particolare attenzione ai cambiamenti posti dal DSM-5.

Di Martina Volcan

Pubblicato il 08 Giu. 2015

Aggiornato il 15 Lug. 2015 09:13

 

Il primo convegno “Dipendenze. Innovazioni per dirigenti e operatori” si è svolto a Trento, presso il Centro Studi Erickson, nelle giornate del 22 e 23 maggio 2015. Il convegno ha visto la partecipazione di circa un centinaio di partecipanti con 40 relatori che hanno portato il loro contributo.

Dopo una breve introduzione di Giorgio Dossi, presidente Erickson, la prima sessione plenaria del convegno si è aperta con la presentazione della giornata da parte dei due membri del coordinamento scientifico: Gian Paolo Guelfi (Motivational Interviewing Network of Trainers) e Valerio Quercia (Nucleo Operativo Tossicodipendenze e Presidente dell’Associazione Italiana Colloquio Motivazionale). Il discorso introduttivo di Guelfi si è incentrato sulla diffusione del problema dipendenze, che ormai non è solo ascrivibile all’uso di sostanze; inoltre, è stato posto l’accento sulla relazione come tema centrale e filo conduttore del convegno. Valerio Quercia ha introdotto le novità subentrate nella diagnosi delle dipendenze con il DSM-5, dipendenze che ora sono suddivisibili in base alla gravità: lieve, moderata e grave.

Come è noto, è stata inoltre inserita la dipendenza da gioco d’azzardo e in questo senso si assiste alla prima introduzione di una dipendenza comportamentale nel manuale diagnostico. Viene nuovamente posto l’accento sull’importanza della relazione, un fattore aspecifico, e pertanto comune ai diversi approcci, che influisce sulle caratteristiche dinamiche dell’utente (autoefficacia, motivazione, speranza di riuscire, valore del cambiamento) e che quindi lavora nella direzione della collaborazione e dell’alleanza per il successo terapeutico. L’intervento di Quercia si conclude con una citazione: [blockquote style=”1″]Ciò che le persone hanno veramente bisogno è di essere ascoltate bene[/blockquote] M.L. Casey.

Il primo contributo della giornata è di Stefano Canali (SISSA Trieste, area Neuroscienze) e verte sui contributi delle neuroscienze al tema delle dipendenze. Anche Canali sottolinea come nel DSM-5 si assista ad uno slittamento delle dipendenze verso criteri sempre più “comportamentali” (motivazioni, scelte, relazioni e uso del tempo). La dipendenza secondo il relatore è considerabile come un disturbo cognitivo, o meglio, come la perdita del controllo cognitivo volontario del comportamento. Il contributo di Stefano Canali è molto interessante e ricco di spunti provenienti da studi neuroscientifici, che vanno a evidenziare due temi importanti: la dipendenza come scelta e la dipendenza come risultato patologico di un condizionamento operante. Canali sottolinea come: [blockquote style=”1″]per capire le dipendenze bisogna uscire fuori dalla scatola cranica.[/blockquote]

Anche l’intervento di Lorenzo Somaini (SerT Cossato e ASL Biella) è costruito attorno al concetto di relazione. Il relatore definisce la dipendenza come una malattia complessa dell’apprendimento e della memoria, che però coinvolge tutte le strutture cerebrali. Secondo Somaini, non vi è nessuna terapia senza relazione: anche la terapia farmacologica non si ferma alla sola somministrazione ma è veicolata dalla relazione, che ha lo scopo di motivare l’utente e sostenerlo nel percorso di cura. Comunicare con l’utente è molto importante anche per poter definire insieme quali possono essere gli obiettivi del percorso terapeutico: la cessazione dell’uso, la riduzione dei sintomi, avere una vita? L’intervento di Somaini si conclude con alcune “mosse vincenti” per la relazione e per la terapia: la destigmatizzazione del processo terapeutico, la semplificazione delle terapie e lo scopo ultimo dell’autonomia di vita dell’utente. [blockquote style=”1″]Non più una relazione di cura ma una relazione che cura[/blockquote]

L’approccio ecologico sociale secondo il metodo Hudolin è invece presentato da Luigino Pellegrini (Servizio di Alcologia, Rovereto). Si tratta di un tipo di approccio che si focalizza sulla persona, sulla famiglia e sulla comunità, piuttosto che sul concetto di disturbo; sono infatti presenti in gran numero sul territorio le comunità multifamiliari, intese come gruppi di famiglie con difficoltà e fragilità che si sostengono a vicenda. Questo metodo porta avanti due idee importanti: il fatto che la dipendenza sia uno stile di vita appreso, e com’è stato appreso si può anche disapprendere; ed il fatto che il cambiamento sia possibile e anzi sia un’opportunità per tutte le persone. Gli obiettivi dell’approccio ecologico sociale sono così riassumibili: superare i concetti di normale/deviante, demedicalizzare/depsicologizzare, sostituire l’idea di “dipendente da” con quella di “attaccato a”.

Roberta Potente (Sezione Epidemiologia e Ricerca sui Servizi Sanitari, IFC-CNR) incentra la sua presentazione sui dati di due ricerche, IPSAD (Italian Population Survey on Alcohol and other Drugs) e EPSAD Italia (European School Survey Project on Alcohol and Other Drugs). Lo studio IPSAD si basa su un campione nazionale di età compresa tra 15 e 64 anni mentre EPSAD Italia si basa sugli studenti delle scuole medie superiori (15-19 anni). Senza entrare nel merito delle cifre, in generale si può affermare che nell’ambito delle droghe è diminuito l’uso sperimentale delle stesse a favore di un consumo frequente. La cannabis rimane la sostanza maggiormente utilizzata dai giovani, anche se la prevalenza è aumentata dal 2012 ad oggi. Un dato molto interessante riguarda l’aumento del consumo di psicofarmaci senza prescrizione medica che, soprattutto i giovani, acquistano online oppure trovano in casa. E’ stata inoltre indagata la dipendenza da gioco d’azzardo che vede una maggiore prevalenza nei paesi del Sud Italia, di pari passo ad alcuni macroindicatori demografici e sociali legati al territorio in questione (PIL inferiore, maggior tasso di disoccupazione).

L’ultimo intervento della mattinata è quello di Mauro Croce (ASL VCO Verbania e SUPSI, Lugano). Il suo contributo molto interessante parte dall’assunto che la nostra è una società additiva. Croce porta numerosi esempi di pubblicità e spot che vanno nella direzione di favorire l’addiction e di creare disinibizione nelle persone. L’addiction è ormai sdoganata dalla sua connotazione negativa e questo è uno tra i motivi per i quali è avvenuto uno spostamento, negli ultimi anni, dalle vecchie alle nuove dipendenze: da usi illeciti e disapprovati socialmente si è passati ad usi/abusi/dipendenze da comportamenti socialmente approvati e soprattutto incentivanti (sesso, acquisti, internet, gioco, lavoro, amore..). Il relatore prosegue dicendo che ad oggi non esiste più una barriera tra lecito ed illecito, e questo per gli operatori del settore dipendenze deve essere uno spunto per rivedere i paradigmi dell’addiction. L’obiettivo del trattamento delle nuove dipendenze, infatti, non potrà mai essere l’astinenza, come invece poteva accadere per le vecchie dipendenze: com’è possibile astenersi completamente da sesso, amore, acquisti , ecc.?

La mattinata si conclude con un proficuo e partecipato dibattito con il pubblico in quanto purtroppo la partecipazione di Antoni Gual Solé (Unidad de Alcohologia, Hospital Clinic de Barcelona) dal titolo “L’intervento sui problemi alcolcorrelati: una visione europea” non ha avuto luogo a causa di assenza per problemi personali del relatore.

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