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Binge Eating Disorder: il grasso come mezzo di comunicazione

I pazienti con BED si definiscono perdenti e non hanno stima di sé e all’ interno delle proprie famiglie sono etichettati e si percepiscono come falliti

Di Redazione

Pubblicato il 04 Giu. 2015

 Giorgia Vacchini

Il BED, Binge Eating Disorder (American Psychiatric Association). Traducendo il termine in italiano facciamo riferimento al comportamento delle abbuffate, di un’alimentazione che è quindi incontrollata.

Si tratta di una condizione di grave sovrappeso causato da fattori psicologici in assenza di cause mediche o genetiche.

Quando parliamo di Disturbi del Comportamento Alimentare siamo soliti pensare all’anoressia, a corpi magri ed emaciati per le eccessive restrizioni ed esercizi fisici che mirano alla perdita di peso, difficilmente ci vengono in mente corpi enormi e grassi.

All’interno della categoria rientra però anche un altro tipo di disturbo: il BED, Binge Eating Disorder (American Psychiatric Association). Traducendo il termine in italiano facciamo riferimento al comportamento delle abbuffate, di un’alimentazione che è quindi incontrollata. Si tratta di una condizione di grave sovrappeso causato da fattori psicologici in assenza di cause mediche o genetiche.

Che cosa fanno in concreto coloro che soffrono di questo problema? Possiamo dire che mangiano in un periodo di tempo circoscritto, in mezz’ora circa, una quantità di cibo molto superiore a quella che la maggior parte delle persone mangerebbe nello stesso periodo di tempo. I soggetti perdono il controllo sull’atto di mangiare, riferiscono ad esempio di non riuscire a smettere, di non riuscire a controllare cosa e quanto stiano mangiando.

Gli episodi di abbuffate compulsive sono associati ad almeno tre dei seguenti caratteri:

– Mangiare molto più rapidamente del normale;

– Mangiare fino ad avere una sensazione dolorosa;

– Mangiare grandi quantità di cibo pur non sentendo fame;

– Mangiare in solitudine a causa dell’ imbarazzo per le quantità di cibo ingerite;

– Provare disgusto di sé, intensa colpa o disagio dopo aver mangiato troppo;

Non vengono usati comportamenti compensatori come ad esempio il vomito autoindotto.

I pazienti che ho incontrato e che lamentano questo comportamento raccontano ovviamente storie diverse, sofferenze diverse che li portano ad abbuffarsi e a stare male, a vivere emozioni contrastanti.

 

Ma quale significati assume il grasso del quale si caricano?

Per alcuni è un mezzo di difesa, un muro oltre il quale non si può andare, rappresenta quindi una sorta di barriera protettiva per il soggetto che si sente al riparo dagli altri. Spesso un corpo grasso e poco attraente viene evitato, le persone si privano così anche di aspetti legati alla sfera relazionale e sessuale.

In situazioni diverse il cibo viene usato per colmare un vuoto, per riempirsi e sentire di esistere, attraverso di esso ci si può finalmente sentire “una persona di peso” che ha una posizione e un ruolo, che grazie alla sua massa enorme finalmente viene vista dagli altri.

Ancora, il cibo può essere usato come strumento di autoaggressione, di punizione: l’iperalimentazione suscita fantasie distruttive, si mangia fino a voler scoppiare e stare male.

Se le storie sono diverse e il grasso viene “usato” per motivi diversi ho potuto constatare che c’è qualcosa che ritorna all’ interno delle narrazioni di questo tipo di persone. Si definiscono perdenti e non hanno stima di sé, all’interno delle proprie famiglie sono etichettati e si percepiscono come falliti e succubi, davanti alle sfide della vita preferiscono scegliere la resa, le emozioni che li caratterizzano sono la vergogna e l’inadeguatezza (Ugazio, 2012).

Due sono le idee che guidano quotidianamente il mio lavoro:

La prima è l’idea che ogni comportamento sia una comunicazione, un messaggio per qualcuno (Watzlawick, Beaven, Jackson, 1971).

In questo caso il corpo è il mezzo di comunicazione per eccellenza. Coloro che soffrono di un disturbo del comportamento alimentare come quello che ho descritto assumono il peso di una posizione che li ha resi visibilmente invisibile, in altri termini ciò che si vede è sempre più il grasso e sempre meno la persona.

La seconda idea che guida il mio lavoro è che i sintomi, o comportamenti definiti problematici, siano la soluzione migliore che la persona ha trovato per poter risolvere un altro problema (Gandolfi & Martinelli, 2008).

Per meglio comprendere questo aspetto faccio riferimento ad alcuni studi pionieristici nell’ambito dell’obesità infantile (Molinari, Genchi,Valtorta, Compare,2012).

I bambini obesi con condotte di alimentazione incontrollata provengono spesso da famiglie in cui è avvenuta una separazione difficile o un lutto, ad esempio di un genitore. Il bambino con il suo corpo grasso, se da una parte presentifica il genitore assente (nella maggior parte dei casi anche esso obeso), dall’altra parte sposta l’attenzione su di sè e la distoglie dal problema della separazione o lutto del quale non si può parlare.

Nella maggior parte dei casi i contesti dai quali provengono questi bambini sono poveri dal punto di vista comunicativo, l’unico modo per comunicare è quindi attraverso il corpo. Mentre per l’anoressia e la bulimia l’età di insorgenza è intorno ai 12-18 anni, i dati ci dicono che si sta abbassando in riferimento al BED; è possibile trovare già bambini di 7 anni con questo problema.

Che cosa fare?

Come gli altri Disturbi del Comportamento Alimentare, anche il BED, necessita di un intervento multidisciplinare che coinvolga medico, dietista e psicologo. Trascurare l’importanza della psicoterapia è un grave errore, perché l’attenzione si concentra sugli effetti invece che sulla causa del problema e le ricadute in questo caso non sono infrequenti.

La terapia della famiglia sembrerebbe il trattamento d’elezione per le problematiche di minori: i bambini non chiedono aiuto a uno psicologo, il loro universo affettivo è rappresentato dalla famiglia, dipendono in tutto dai genitori; la scelta più ovvia sarebbe affrontare i problemi nel loro contesto familiare.

 

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