expand_lessAPRI WIDGET

Effetti persistenti del trauma: i meccanismi ormonali e molecolari – Report dal Convegno SOPSI

Alcuni studi sui figli dei supersistiti dell'Olocausto hanno dimostrato come essi siano stati influenzati dalle esperienze traumatiche vissute dai genitori.

Di Giuseppina Di Carlo

Pubblicato il 14 Mag. 2015

Il trauma è la reazione ad un evento che interrompe la continuità esistenziale, un’esperienza in cui il soggetto avverte una minaccia alla propria vita o alla vita di quelli che lo circondano, senza la possibilità di fronteggiarla.

Ormai è noto che trauma e stress sono due fenomeni distinti. Nella vita quotidiana viviamo molti eventi stressanti, sono parte della nostra esistenza, ad esempio un trasloco o il matrimonio, ma le conseguenze sull’ organismo sono a breve termine, gli effetti dello stimolo stressante (stressor) terminano quando cessa lo stimolo. Diversamente il trauma è la reazione ad un evento che interrompe la continuità esistenziale, un’esperienza in cui il soggetto avverte una minaccia alla propria vita o alla vita di quelli che lo circondano, senza la possibilità di fronteggiarla. Gli effetti del trauma non terminano quando l’esperienza traumatica si conclude e possono durare anche tutta la vita.

La ricerca negli ultimi trent’anni ha cercato di rispondere alla domanda se gli effetti a lungo termine siano una continuazione della risposta o qualcosa di diverso. Dall’esperienza clinica sappiamo che il trauma opera una trasformazione profonda nel superstite, di tipo persistente e perdurante. I paradigmi classici dello stress non sono d’aiuto per spiegare questi processi. Grazie alla biologia molecolare e all’epigenetica ovvero lo studio delle alterazioni genetiche che modificano il funzionamento del gene stesso, abbiamo scoperto che il trauma influenza il DNA, l’espressione genica, la struttura cerebrale, gli ormoni, la cognizione, la personalità, il comportamento e le future risposte allo stress.

E’ solo a partire dagli anni Ottanta che si incomincia a parlare di Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD): un disturbo in cui gli effetti dello stress perdurano in assenza dello stressor. Le conoscenze che si hanno sul trauma fino a quel momento provenivano dalla cura dei reduci del Vietnam. Con l’apertura dell’ambulatorio per il trattamento dei PTSD presso il Mount Sinai Hospital di New York nel 1983, iniziano ad arrivare all’attenzione clinica della dr.ssa Yehuda e della sua equipe, i superstiti dell’Olocausto, ma anche i loro figli, questi ultimi presentavano sintomi riconducibili a un trauma come flashback, incubi, problemi relazionali e la pressione a dover compensare le perdite subite dai genitori. I sintomi, non venivano collegati direttamente, dai soggetti, con l’ Olocausto. Al contrario, riferivano che l’argomento era spesso oggetto di tabù nelle famiglie. Secondo i pazienti l’origine dei loro problemi era attribuibile all’ essere stati allevati da persone “danneggiate”, con problemi mentali.

Gli studi condotti sui superstiti e la loro prole confermano l’esperienza clinica: se è vero che non tutti quelli esposti al trauma sviluppano un PTSD è ormai accertato che gli effetti di un trauma possono essere intergenerazionali. Fino al 1983 la letteratura su ebrei e olocausto non si soffermava sulle conseguenze che l’esperienza aveva sulle generazioni successive, pochi erano gli studi in cui si sottolineava un legame tra l’essere sopravvissuti all’Olocausto e lo sviluppo di un PTSD, dalla letteratura emergeva solo la resilienza di questi superstiti e il successo sociale e lavorativo delle generazioni successive. La professoressa Yehuda ipotizza che, per gli ebrei, condividere quel dolore e i danni psicologici derivanti dall’internamento, avrebbe potuto costituire un’altra vittoria per il nazismo, la cosiddetta “politica della vittimizzazione”. Ma non si può lodare SOLO la resilienza, minimizzando le cicatrici che il trauma lascia.

Da allora sono state condotte diverse ricerche sui figli dei superstiti all’Olocausto. I quesiti a cui hanno cercato di rispondere la professoressa Yehuda e la sua equipe sono diversi: i figli dei superstiti vanno incontro a più disturbi mentali rispetto la popolazione generale? La vulnerabilità ai disturbi psichiatrici è qualcosa che viene trasmesso ai figli biologicamente oppure è il comportamento di questi genitori che ha modificato il genotipo dei figli rendendoli più vulnerabili verso le malattie mentali? Un trauma può portare modificazioni biologiche nel figlio, anche se non sono manifestate nel genitore?

I risultati delle ricerche sembrano confermare che i figli dei sopravvissuti all’Olocausto sono stati influenzati in molti modi dall’esperienza dei genitori.

Da uno studio condotto dalla dr.ssa Yehuda nel 1998 la probabilità di PTSD nei figli dei superstiti risulterebbe tre volte maggiore e presenterebbero una probabilità di sviluppare un disturbo d’ansia maggiore del 50% rispetto alla popolazione generale. In un altro studio condotto in Ohio, su un gruppo di superstiti all’Olocausto, è stata rilevava una prevalenza del 50% di PTSD a 50 anni dall’evento, ma diversamente ai risultati del 1998, i figli di questi sopravvissuti presentavano il disturbo solo se uno dei due genitori aveva la stessa diagnosi, con un tasso di corrispondenza del 100%.

Per cercare di capire se le risposte acute al trauma sono universali o dipendono anche da caratteristiche soggettive, la dr.ssa Yehuda ha studiato i livelli di cortisolo in soggetti con PTSD. Il cortisolo è un ormone glucocorticoide, prodotto dalle ghiandole surrenali ed è coinvolto nel contenimento della risposta allo stress di tipo adrenalinico. Le ricerche hanno effettivamente mostrato una disregolazione in soggetti con PTSD dell’asse ipotalamico, da cui dipende il rilascio di questo ormone. In uno studio del 1998 è emerso che più bassi livelli di cortisolo dopo un trauma correlano con l’esordio del PTSD, perché non essendo contenuto l’arousal dal cortisolo, lo stato di eccitazione del sistema nervoso perdura nel tempo. I livelli di cortisolo nei campione testato sono stati significativamente più bassi, rispetto al campione di controllo (soggetti che avevano subito un trauma, ma non avevano sviluppato il PTSD). Nel 2000 lo stesso studio è stato replicato sui discendenti dei sopravvissuti all’Olocausto: anche questi soggetti mostravano livelli più bassi di cortisolo anche senza PTSD, ma solo nel caso in cui il genitore aveva avuto un PTSD.

I soggetti testati nelle interviste cliniche riferivano di essersi sentiti trascurati durante l’infanzia, un dato che in letteratura risulta essere associato a livelli di cortisolo più bassi. Per stabilire quanto i livelli di cortisolo siano influenzati dall’esposizione all’ambiente (cioè un genitore con disturbo mentale) o siano dovuti ad un’alterazione biologica, la dr.ssa Yehuda ha condotto uno studio dopo la caduta delle Torri Gemelle su un campione di donne incinte. In follow up a 7 mesi dal parto i neonati di madri che avevano sviluppato un PTSD dopo l’11 settembre, avevano più bassi livelli di cortisolo. Ne deriverebbe che secondo questo studio il trauma influenza i figli prima della nascita.

Nel 2015 uno studio prospettico su superstiti dell’Olocausto e sopravvissuti all’11 settembre ha cercato di stabilire se il fenotipo per il PTSD sia trasmesso solo dalla madre o anche dal padre. I risultati mostrerebbero che effettivamente il fenotipo è diverso a seconda che il PTSD lo abbia la madre o il padre.

Le conclusioni a cui i ricercatori sono arrivati è che nello sviluppo di un PTSD abbiano un ruolo preponderante i meccanismi epigenetici, più che quelli genetici, non essendovi differenze a livello cromosomico, ma solo nella programmazione dei glutocorticoidi e che la programmazione epigenetica avvenga già nell’utero. Da ciò, conclude la dr.ssa Yehuda, non si sottintende che la madre abbia tutte le responsabilità, ma che anche il padre influisce nella trasmissione epigenetica, solo in maniera diversa, tramite meccanismi di modellamento durante lo sviluppo del bambino.

Questi studi si sono rivelati essenziali per la comprensione dei meccanismi alla base del trauma, mettendone in luce la natura epigenetica. Riuscire a capire l’interazione tra biologia ed esposizione ambientale potrebbe essere la chiave per definire il trattamento del disturbo in maniera più efficace.
Non possiamo cambiare il nostro DNA, ma possiamo cambiare il modo in cui funziona.

ARTICOLO CONSIGLIATO:

Trauma prolungato e dissociazione: i più deserti luoghi (2015) di Silvana Gandolfi

Si parla di:
Categorie
ARTICOLI CORRELATI
WordPress Ads
cancel