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L’adolescente e il suo psicoanalista: i nuovi apporti della Psicoanalisi dell’adolescenza – Recensione

Il libro rappresenta lo stato dell'arte attuale sulla ricerca e cura in adolescenza e approfondisce le dinamiche del setting terapeuitico con adolescenti

Di Simona Meroni

Pubblicato il 28 Mag. 2015

Il testo ben evidenzia come gli adolescenti rappresentino la cartina di tornasole di un’epoca. La fragilità narcisistica, la rabbia e lo spaesamento che caratterizzano “i giovani di oggi” sono figli di un contesto che ha pian piano smantellato i propri garanti sociali (Stato, Chiesa, Partito) e modificato i propri riti di passaggio, con il rischio anche di annullare la distanza tra le generazioni.

L’Adolescenza per lungo periodo è stata considerata – per citare Anna Freud – “la Cenerentola della Psicoanalisi”. Nè bambini nè ancora adulti, gli adolescenti rappresentano una categoria a se stante e che forse sfugge alle regole di ogni qualsivoglia catalogazione. Recentemente, però, gli studi e i gruppi di ricerca si sono sempre più concentrati su questa fase specifica della vita, caratterizzata – come lo stesso R. Cahn sottolinea – da mutamenti e scombussolamenti che entrano nella stanza d’analisi e che quindi necessariamente mettono in gioco anche il terapeuta. Forse proprio perché gli adolescenti chiamano all’azione e spesso faticano a sostare in una condizione sospesa di attesa, sono “illustri sconosciuti” per buona parte dei terapeuti.

Le condizioni di disagio che nascono in adolescenza rischiano di cristallizzarsi in forme di pensiero o di comportamento patologiche, ma è anche vero – data la grande elasticità dell’apparato psichico in quel periodo di vita – che possono facilmente riorganizzarsi riscattando del tutto le sorti della persona. Adolescenza come seconda nascita è ormai un concetto piuttosto noto, ed è proprio su questo assioma che prende il via il libro curato da Cahn, ormai da decenni impegnato nel lavoro con gli adolescenti.

Lo psicoanalista sottolinea come nel rapporto di cura che si instaura con l’adolescente si debba e si possa essere garanti sì di un Setting, ma flessibile e adattabile il più possibile alla capacità riflessiva e comunicativa del ragazzo, pena la perdita del legame e la conseguente interruzione del percorso.

Il libro, scritto in modo chiaro e conciso, fornisce molte vignette cliniche puntuali che aiutano a “tradurre” la teoria in pratica. Il libro rappresenta anche a mio avviso un po’ lo stato dell’arte attuale sulla ricerca/cura in adolescenza. Non a caso, infatti, sono citati più volte e collegati tra loro autori italiani (Senise, Novelletto, solo per citarne alcuni) che hanno contribuito allo sviluppo della ricerca e del pensiero sulla clinica in adolescenza.

Ciò che accomuna la ricerca e la clinica sia italiana che francese (di cui Cahn può essere considerato uno dei maggiori esponenti) in adolescenza è la considerazione dell’esistenza di un processo specifico, con meccanismi a sè stanti, che necessariamente impongono un cambio nell’impostazione della cura e del percorso psicologico.

Essendo l’Adolescenza quella fase della vita in cui sono primari e prioritari i cambiamenti, ma forse sarebbe meglio dire gli sconvolgimenti, sia fisici (l’ingresso della pubertà, la nascita di spinte sessuali), sia mentali (la nascita del pensiero del futuro, la ricerca di una propria etica), sia sociali (l’uscita dallo status di bambini e la ricerca di una propria posizione nel mondo anche in contrapposizione con gli adulti di riferimento), come terapeuti ci viene richiesto di essere altrettanto mutevoli ma al contempo fermi in una posizione di adulto accogliente.

Il testo ben evidenzia come gli adolescenti rappresentano la cartina di tornasole di un’epoca. La fragilità narcisistica, la rabbia e lo spaesamento che caratterizzano “i giovani di oggi” sono figli di un contesto che ha pian piano smantellato i propri garanti sociali (Stato, Chiesa, Partito) e modificato i propri riti di passaggio, con il rischio anche di annullare la distanza tra le generazioni.

Cahn riflette e ci porta a riflettere sul ruolo terapeutico e genitoriale, che non devono essere confusi, ma che a volte siamo chiamati a difendere. Nelle vignette cliniche proposte viene evidenziato come il terapeuta debba rappresentare un adulto sufficientemente buono e saldo, presente ma contemporaneamente capace di farsi da parte quando necessario. L’adolescente, infatti, ha bisogno di incontrare qualcuno che dia voce alla sua sofferenza, che la accolga e la ascolti, senza necessariamente dare ad essa un’etichetta o un nome.

Potrebbe sembrare paradossale tale affermazione: fornire ad una persona alla ricerca di domande “solo” ascolto e non risposte. Si deve però sottolineare che ciò che serve al giovane non è un terapeuta muto e distante, l’analista-caricatura che “uccide” con il proprio silenzio, bensì un terapeuta umano, comunicativo e raggiungibile, che agisca come un adulto e che si assuma anche la responsabilità di prendere tempo, di far comprendere che su un’emozione, un dolore, una situazione si può anche sostare senza necessariamente agire.

Introdurre un pensiero, insomma. Una modalità relazionale nuova e che si adatta al canale comunicativo dell’adolescente che non sempre è in grado di distinguere l’extrapsichico dall’intrapsichico, e quindi a volte è puntato sul registro del fare più che del pensare.

Altro concetto chiave del testo e della teorizzazione di Cahn è il concetto di Soggettivazione, il compito più grande nel quale è impegnato l’adolescente. Farsi soggetto, costruire la propria identità potremmo dire, arredare una casa – per usare una metafora – in cui alle pareti rimangono appese fotografie del passato. Non avrebbe senso, nè sarebbe possibile, radere al suolo e costruire ex novo; il geometra adolescente va alla ricerca di un’armonia, è il terapeuta potrebbe aiutarlo in questo.

È importante sottolineare, infatti, che spesso la sofferenza dell’adolescente è rappresentato da un’incagliarsi del processo di soggettivazione, che comporta anche il coraggio e la possibilità di assumersi il rischio dei propri desideri, in un conflitto dialettico con le figure di riferimento, capendo che il confronto può essere costruttivo e liberatorio e non necessariamente annullante o distruttivo. Imprescindibile, ovviamente, il ruolo delle figure adulte che la persona incontra lungo il cammino. Ma niente è irreparabile e l’incontro con un terapeuta che agisce da adulto, occupandosi anche di “cose concrete” se necessario, può rappresentare una finestra su una modalità di essere e vivere differente e nuova.

Quello che infatti sembra emergere spesso nella seduta con l’adolescente, è il suo bisogno di “essere con”, di non sentirsi abbandonato, ma soprattutto di sentirsi capito. Imprescindibile per un ragazzo in consultazione o terapia è sentire la fiducia del terapeuta, la convinzione di non spaventarlo con pensieri o emozioni non capite è troppo forti.

Terapeutica, infatti, sembra essere la consapevolezza che il terapeuta reggerà agli scossoni, ammettendo anche la propria umanità. A tal proposito il libro fornisce anche spunti di riflessione sul mutamento del ruolo dello psicoanalista negli anni (da muta sfinge onnipotente a compartecipe attivo della seduta) fornendo così una interessante panoramica storica.

Per concludere, di questo testo ben scritto ma sicuramente specifico e tecnico e pertanto seppur chiaro poco adatto ai “non addetti ai lavori”, portiamo a casa il messaggio che per lavorare bene con un adolescente è opportuno non aver paura di ammettere di esserlo (o non esserlo) stati.

 

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