expand_lessAPRI WIDGET

Dopo il disastro aereo Germanwings: Aerofobia e Depressione

Il suicidio di Lubitz è una perversa protesta contro la vita e un modo di imporre al mondo la propria sofferenza, non comprensibile solo dalla depressione

Di Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 01 Apr. 2015

Il suicidio di Lubitz è una perversa protesta finale contro la vita, un modo di imporre al mondo la propria sofferenza che non è un congedo dalla vita.

 

Già ci hanno pensato sulle pagine de Il Post a chiarire che dare del “depresso” a Andreas Lubitz non ci aiuta a capire quel che è successo. Noi nella disgrazia del volo Germanwings vediamo piuttosto una grande perdita di controllo, non solo pratico, ma soprattutto emotivo. Un intervento che si fa spesso con chi ha la fobia degli aerei e del volo (aerofobia o aviofobia) con chi ci chiede un trattamento perché da anni non riesce più a prendere l’areo, è far notare come, in termini di sicurezza, l’aereo sia il mezzo di trasporto più sicuro. Viaggiare in auto è dalle quattro alle dodici volte più pericoloso, e un passeggero dovrebbe effettuare una media di circa 5,3 milioni di voli prima di imbattersi in un incidente (International Air Transport Association).  

Questo intervento razionalizzante ha senso a inizio terapia per familiarizzare con il cliente e iniziare a normalizzare l’ansia, ma raramente è questo l’intervento decisivo. La valutazione razionale dei rischi certamente aiuta. Il lato emotivo del problema però è un altro paio di maniche.

Sarà il distacco da terra, la situazione di clausura e di completo affidamento a degli estranei, il personale di volo. Chi soffre di aerofobia va incontro a due situazioni ansiose: il timore dei giorni precedenti il volo, o anche dei mesi precedenti, dalla decisione iniziale di volare ai giorni immediatamente precedenti. Oppure uno stato di ansia acuta durante il volo, legato alla sensazione di costrizione.

Il primo caso appartiene per lo più a un quadro di disturbo di ansia generalizzato o di agorafobia, il secondo a un disturbo di panico. Nel primo caso si ha più una focalizzazione cognitiva del pensiero sul timore di volare, nel secondo uno spavento acuto con forti aspetti fisiologici: battito cardiaco, sudorazione, tremore, perdita di sensi.

Il trattamento è più sulla gestione degli stati emotivi che sull’analisi razionale dei rischi. L’esposizione al volo, sia virtuale che poi concreta, è un momento fondamentale della terapia. L’esposizione virtuale può essere effettuata sia verbalmente dal terapista, sia utilizzando software con simulatori di volo e videogiochi. Si tratta di apprendere a gestire la sensazione di perdita di controllo e di allentamento dall’ambiente normale e sicuro (Triscari e Van Gerwen, 2011).

Tornando a Lubitz, su di lui si possono fare tutte le ipotesi psicologiche. La depressione non è sufficiente a comprendere un atto che ha coinvolto altre 149 persone, rendendole vittime del suo malessere. Per quanto in ogni suicidio ci sia un aspetto dimostrativo, il suicidio depressivo è un atto di definitivo congedo dalla vita, di definitivo nascondimento.

LEGGI ARTICOLI SUL TEMA DEL SUICIDIO / IDEAZIONE SUICIDARIA

Il suicidio di Lubitz, invece, è una perversa protesta finale contro la vita, un modo di imporre al mondo la propria sofferenza che non è un congedo dalla vita. Possiamo immaginare una personalità narcisista dietro l’estremo desiderio di lasciare dietro di sé una traccia così forte. O anche una personalità paranoidea, una tendenza a sentirsi perseguitato, osservato e deriso, che ha generato questa protesta finale.

 

ARTICOLO CONSIGLIATO:

Incidente aereo di Tenerife: le dinamiche di gruppo e l’influenza della cultura organizzativa

 

BIBLIOGRAFIA:

Si parla di:
Categorie
SCRITTO DA
Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

Tutti gli articoli
ARTICOLI CORRELATI
WordPress Ads
cancel