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I Disturbi del Comportamento Alimentare: Report dal congresso SOPSI 2015, Milano

Report dal congresso SOPSI 2015, Milano: I disturbi del comportamento alimentare, aspetti psicopatologici e clinici specifici e aspecifici - Psicoterapia

Di Giuseppina Di Carlo

Pubblicato il 01 Apr. 2015

Speciale SOPSI 2015

Report dal Corso ECM precongressuale:

I disordini del Comportamento Alimentare: aspetti psicopatologici e clinici specifici e aspecifici

 

Difficile, ancora, parlare di guarigione e il criterio di remissione più importante rimane il recupero del peso, ma non può essere l’unico dato, come conferma l’esperienza clinica. Il miglioramento deve essere anche funzionale: cognitivo, relazionale e sociale. Difficile anche parlare di dimissione e sospensione della terapia.

La psiconeuroendocrinologa F. Brambilla ha moderato il corso sui DCA che si è svolto la prima giornata del 19esimo Congresso della Società Italiana di Psicopatologia (SOPSI) tenutosi a Milano.

Le esposizioni hanno avuto come filo conduttore i fattori specifici e aspecifici che intervengono durante l’esordio, il decorso, il mantenimento e nella remissione dei Disturbi del Comportamento Alimentare, in un’ottica psicopatologica, neurobiologica, medica, cognitiva e terapeutica. A chiusura una review su un Disturbo Alimentare di cui si conosce ancora poco: l’Anoressia Riversa o Bigoressia.

G. Abbate – Daga, “La psicopatologia dei disordini del comportamento alimentare in relazione alle psicopatologie maggiori”.

Il rapporto tra DCA e psicopatologie è un rapporto complesso, influenzato dalla storia clinica del paziente, dal livello di malnutrizione e dal decorso. Dalla letteratura emergono dati preoccupanti: i sintomi precipitanti la diagnosi di DA sembrerebbero essere l’iperattività, l’abuso di diuretici e lassativi, la ritualizzazione dei comportamenti e il purging estremo. La qualità di vita in questa popolazione sarebbe compromessa al pari di quella di pazienti con patologie cardiovascolari e addirittura peggiore rispetto ai pazienti psicotici.

Non stupisce invece che i disturbi psicopatologici più significativamente rappresentati siano i disturbi dell’umore, seguiti da quelli di ansia. Considerati i diversi fattori coinvolti è difficile stabilire se gli aspetti psicopatologici che affiancano il DA siano un danno della malattia o la radice del disturbo. La ricerca non offre ancora certezze: a seconda degli studi, precederebbero l’esordio del DA dal 25 al 71% dei casi.

Tratti personologici del cluster B e C del DSM IV-TR inoltre, affiancano spesso i sintomi psicopatologi e in alcuni casi le convinzioni su cibo e forma corporea possono assumere carattere delirante. L’alta comorbilità ha serie implicazioni nel decorso e nell’esito dei DA: favorisce lo switch della diagnosi dal continuum restrittivo a quello del discontrollo degli impulsi, i sintomi psicopatologici non rispondono efficacemente ai farmaci d’elezione e spesso permangono anche dopo la remissione della sintomatologia alimentare, infine vi è una correlazione più alta col rischio suicidario. Ne consegue l’importanza di una valutazione che sia attenta alla gerarchia dei sintomi, in modo da far seguire un trattamento che integri i diversi modelli di intervento.

A. Tortorella, “Aspetti neurobiologici specifici e aspecifici dei DCA”.

La ricerca scientifica non ha ancora trovato evidenze definitive che confermino l’associazione tra determinati geni e DCA, tuttavia, sembra che i geni del recettore 5-HT2A e del fattore neurotrofico di derivazione cerebrale (BDNF) siano implicati nel determinismo della vulnerabilità biologica ereditaria dell’Anoressia Nervosa. Questi polimorfismi portebbero a un’iperstimolazione del meccanismo che riduce il senso di sazietà. I modulatori dei meccanismi genetici, inoltre, influirebbero anche sui livelli di ansia, sull’umore, sul comportamento impulsivo e sui processi cognitivi.

Dalle ricerche che utilizzano il Brain Imaging, sono emerse differenze funzionali a livello dei circuiti dopaminergici e serotoninergici, dovute ad alterazioni in differenti zone cerebrali, come la corteccia frontale, l’insula, l’amigdala e il nucleo striato. Rimane difficile, se non impossibile stabilire se queste alterazioni, per esempio quella evidenziata a carico del circuito della ricompensa nell’AN, siano una conseguenza del disturbo o se siano legati a fattori che precedono l’esordio, come ad esempio la malnutrizione, perchè l’espressione genetica è ambiente dipendente. Per quanto numerosi, i risultati attualmente non sono omogenei per una serie di criticità: la numerosità dei campioni, l’eterogeneità clinica delle diagnosi, le differenze metodologiche alla base delle ricerche, gli studi ormai datati, perchè mai replicati o ampliati.

F. Brambilla, “Complicanze organiche nei DCA”

Le alterazioni fisiche nei DA non influiscono solo sui parametri vitali, ma anche sulla strutturazione del pensiero, come illustrerà la dr.ssa Favaro nel suo intervento. Per questo è fondamentale intervenire sul sottopeso e la malnutrizione prima di poter intervenire con un intervento psicoterapeutico. I danni possono essere conseguenti alla malnutrizione sia quantitativa, che qualitativa: mentre le AN eliminano i cibi “ingrassanti”, BN e BED tendono a scegliere cibi che piacciano, piuttosto che cibi nutritivi. I danni organici possono essere anche una conseguenza dei comportamenti compensatori, che portano ad una compromissione nelle pazienti AN di tutti i sistemi, nelle BN più compromessi risultano il sistema elettrolitico, renale, cardiaco, gastoesofageo, dentale e polmonare. Nel BED, che a partire dal DSM 5 è entrato a far parte dei DA, i danni sono invece correlati all’obesità: diabete, patologie cardiovascolari, osteoartrosi, colelitiasi, insufficienza respiratorie e malattie neoplastiche. Più è precoce l’esordio, più frequenti sono le complicanze mediche. La mortalità è del 15-18%, nelle AN.

C. Segura Garcia, “Aspetti terapeutici specifici e aspecifici dei DCA”.

Le linee guida attualmente non offrono indicazioni su una terapia elettiva nel trattamento dei DCA. Il gold standard rimane l’integrazione di un intervento individuale associato alla possibilità di confronto di gruppo e a un intervento sulla famiglia, specie se l’età dei soggetti è giovane. Tra quelle utilizzate, si sono dimostrate più indicate la terapia cognitivo – comportamentale, la terapia interpersonale, quelle di stampo psicoanalitico e la terapia familiare.

Gli studi presenti in letteratura risentono comunque di varie criticità come la scarsità di studi randomizzati, la numerosità dei campioni, la durata delle terapia, i follow up e l’identificazione di criteri specifici della guarigione.
La terapia deve articolarsi su diversi livelli di trattamento a seconda della fase di malattia, della diagnosi e dell’età del soggetto, a partire dalla scelta del setting, forse l’aspetto più specifico nel trattamento dei DCA. La gestione ambulatoriale si è dimostrato il setting migliore dal punto di vista costo efficacia rispetto a quella ospedaliera, che però si rende necessaria in caso di frequenti condotte di abbuffate con purging, complicanze organiche o presenza di un ambiente sociale sfavorevole. Il ricovero (fino a 90 giorni) sembra essere più efficace all’esordio del DA, ma bisogna motivare adeguatamente il paziente ad affrontare questo tipo di percorso, dalle statistiche sui TSO si evidenzia, infatti, una risposta al trattamento peggiore nei due anni successivi. Il dato non stupisce: i soggetti risultano più gravi dal punto di vista psichiatrico, più complessi per un’elevata comorbilità con altri disturbi, hanno una rete sociale più povera e un maggiore tasso di mortalità a 5 anni dalla dimissione. Alla degenza è importante far seguire appuntamenti in regime di Day Hospital per mantenere una continuità terapeutica.

E’ di primaria importanza stabilizzare le pazienti AN con una terapia nutrizionale mirata, da somministrarsi, a seconda della necessità, attraverso pasti sorvegliati, integratori orali, sondino nasogastrico o nutrizione parenterale, che preveda un aumento graduale delle calorie, a cui affiancare terapie mediche specifiche per le complicazioni organiche a carico dei diversi sistemi. Un fattore aspecifico è sicuramente la terapia psicofarmacologica sui sintomi che precedono l’esordio del DCA. I farmaci impiegati sono gli SSRI, citalopram, fluoxetina e stabilizzanti dell’umore.

La psicoterapia rappresenta un altro intervento fondamentale per la cura dei DCA. Ogni intervento deve essere personalizzato, in considerazione della gravità clinica e delle caratteristiche personologiche. E’ necessario inoltre affiancare all’intervento individuale, una terapia gruppale, sia espressiva, che supportiva e il coinvolgimento dei familiari nel percorso terapeutico.

La dr.ssa Segura cita le tecniche più recenti impiegate nel trattamento dei DCA, buoni risultati sta ottenendo la Cognitive Remedation Therapy, volta al potenziamento di funzioni neurocognitive come: attenzione, memoria di lavoro, flessibilità cognitiva, pianificazione e delle funzioni esecutive connesse al funzionamento sociale, che nei DCA vanno incontro a compromissione.  Questo tipo di terapia viene impiegata con buoni risultati in soggetti con lesioni cerebrali e schizofrenici. E’ mportante anche la prevenzione primaria con interventi mirati su adolescenti che promuovano l’autostima, a partire dai 15 anni di età e che coinvolgano i soggetti in maniera interattiva.

A. Favaro, “Brain Imaging e funzioni cognitive nelle pazienti Anoressiche”.

Le funzioni cognitive nell’AN sono rigide e alterate, probabilmente a causa dello stato di malnutrizione, connesso all’atrofia cerebrale, in particolare della sostanza bianca. Le alterazioni sono numerose: vi è una difficoltà a disimparare qualcosa di imparato (reversal learning). E’ presente un deficit di coerenza centrale ovvero un’incapacità di pensare al globale, per una fissazione sul dettaglio. La memoria visiva è povera. Le capacità decisionali sono scarse, in particolare queste pazienti prediligerebbero la scelta di soluzioni che portano a ricompense nel breve termine, piuttosto che utilizzare strategie per ottenere un vantaggio maggiore a lungo termine. Le soluzioni al problema sono caratterizzate da perseveranza, non permettono quindi una curva di apprendimento.

Anche il ritiro sociale e le difficoltà relazioni sono aspetti connessi all’alterazione dei processi funzionali adattativi: non terrebbero conto, infatti, del contesto esterno, ma si baserebbero solo sul contesto interno, motivo per il quale è difficile arrivare a una ristrutturazione cognitiva in terapia. Vi è una carenza di empatia, determinata dalla malnutrizione, che porta a uno stile di pensiero top-down e una disfunzione libica significativa, anche se i risultati delle ricerche sono discordanti su quest’ultimo dato, che comunque rimane poco indagato. L’unico fattore ad essersi dimostrato predittivo rispetto al decorso dell’AN sarebbe quello della flessibilità cognitiva: ovvero la capacità di ristrutturare spontaneamente le proprie conoscenze in modo da adattarsi all’ambiente.

Per quanto alcune di queste funzioni, tendano a  migliorare con l’aumentare del peso, altre invece sembrerebbero essere indipendenti nell’AN e rimarrebbero compromesse, per un miglioramento bisogna utilizzare tecniche specifiche, come la già citata Remediation Therapy, che permette di modificare la metacognizione e migliorare la risposta al trattamento.

S. Bertelli, “I disordini del comportamento alimentare nel sesso maschile”

L’AN maschile, conosciuta anche come Anoressia Riversa o Bigoressia è un disturbo la cui prevalenza è in aumento. Fino al DSM IV-TR l’83 % di diagnosi di AN maschile ricadeva nella categoria NAS, nel nuovo manuale è stata fatta rientrare nella categoria “Disturbo Evitante/Restrittivo dell’assunzione di cibo” insieme al disturbo dell’Ortoressia.

I criteri indicati nel DSM V per il Disturbo Evitante/Restrittivo dell’assunzione di cibo sono i seguenti:

A. Una anomalia dell’alimentazione e della nutrizione (ad es. assenza di interesse per l’alimentazione o per il cibo; evitamento basato sulle caratteristiche sensoriali del cibo) che si manifesta attraverso una persistente incapacità di assumere un adeguato apporto nutrizionale e/o energetico associata con una o più delle seguenti:

1) Significativa perdita di peso o nei bambini incapacità a raggiungere il peso relativo alla crescita.

2) Significativa carenza nutrizionale

3) Dipendenza dalla nutrizione enterale o da supplementi nutrizionali orali.

4) Marcata interferenza col funzionamento psicosociale.

B. Il disturbo non è connesso con la mancanza di cibo o associato a pratiche culturali.

C. Il disturbo non si manifesta esclusivamente nel corso di anoressia o bulimia nervosa e non vi è evidenza di anomalia nel modo in cui è percepito il peso e la forma del proprio corpo.

D. L’anomalia non è meglio attribuibile a una condizione medica o ad un altro disturbo mentale. Se il disturbo alimentare si manifesta nel corso di un altro disturbo, la sua importanza supera quella del disturbo di base e richiede attenzione clinica.

A cui si aggiungono i criteri specifici per l’Anoressia Riversa:

– Autopercezione di gracilità, eminentemente maschile.

– Comportamento alimentare alterato.

– Abuso di integratori, anabolizzanti e diete iperproteiche.

– Esercizio fisico compulsivo.

L’esperienza clinica è su questo disturbo ancora scarsa, i soggetti non arrivano nei centri specializzati, forse a causa del doppio stigma: soffrire di un disturbo psichiatrico considerato femminile oppure per maggiore accettazione sociale. Dalla letteratura è emerso un aumento, negli ultimi anni, del 10%, di problemi legati alla nutrizione in bambini e adolescenti maschi. Rispetto alle femmine non sembra preponderante l’alterazione dell’immagine corporea o la ricerca della magrezza, quanto il desiderio di un corpo delineato e muscoloso e una riduzione della massa grassa. Ne deriverebbe un’alimentazione più selettività, che restrittiva o il digiuno.

L’insoddisfazione corporea si tradurrebbe in un attività sportiva intensa. I DCA differiscono tra uomini e donne anche per fattori di rischio, presentazione clinica e comorbilitá. Sui fattori causali, nell’esordio maschile, peserebbero maggiormente l’influenzamento da parte dei mass media e le esperienze di derisione.

Altri fattori di rischio nei maschi sarebbero parametri biologici come altezza, peso e pubertà. Il BMI ideale all’esordio sarebbe più basso. Vi sarebbero meno sintomi somatici, DOC e ansia, ma maggiori livelli di depressione e livelli di autostima più bassi. Tra le caratteristiche personologiche: alti punteggi nella Novelty Seeking e punteggi più bassi in Harm Avoidance, Reward Dependance e Cooperativeness. Sull’esordio potrebbe pesare anche un evento traumatico: nei veterani e persone con PTSD vi è, infatti, un’incidenza maggiore di DCA.

Anche se non è stata riscontrata nessuna differenza sui metodi di compensazione, la gravità clinica sarebbe maggiore, i dati sulla mortalità sembrerebbero comunque sovrapponibili. Studi recenti ipotizzano che uno dei fattori coinvolti potrebbe essere l’orientamento omosessuale o una difficoltà di orientamento sessuale, con una prevalenza che andrebbe dal 15 al 50% dei casi, ma il dato non è stato confermato in tutti gli studi. In misura maggiore rispetto al campione femminile ne risulterebbe negli uomini un calo di prestazione sessuale (anche autoerotica), che potrebbe essere però  legata all’uso di sostanze steroidee e anabolizzanti.

L’aumento della prevalenza del disturbo alimentare nel sesso maschile ha portato non solo a nuove categorie diagnostiche, ma anche alla necessità di codificare nuovi strumenti, visto che quelli attuali sono tarati sulla popolazione femminile. E’ del 2012 il primo strumento per porre la diagnosi nei maschi: l’Eating Disorder Assessment for Men EDAM; Stanford SC, Lamberg R.

Dal corso emerge una concordanza nel riconfermare la difficoltà e la complessità di cura di questi pazienti, che non rispondono adeguatamente ai farmaci, ma bisognano di un trattamento integrato che in contemporanea agisca sulla sintomatologia psicopatologica e sulla malnutrizione.

Difficile, ancora, parlare di guarigione e il criterio di remissione più importante rimane il recupero del peso, ma non può essere l’unico dato, come conferma l’esperienza clinica. Il miglioramento deve essere anche funzionale: cognitivo, relazionale e sociale. Difficile anche parlare di dimissione e sospensione della terapia. La prof. Brambilla conclude i lavori ricordando alla sala che la cura dei Disturbi della Condotta Alimentare richiede molta energia, molta passione e una grande tolleranza alla frustrazione.

 

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