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Il capro espiatorio in Girard e in Fornari: Dioniso e Cristo

Mentre Girard sembra aspirare a una purificazione completa dell’umanità dalla violenza, Fornari invece considera utili i conflitti rivalitari - Psicologia

Di Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 17 Apr. 2015

TEORIA DEL CAPRO ESPIATORIO IN GIRARD E FORNARI PT.4

Mentre Girard sembra aspirare a una purificazione completa dell’umanità dalla violenza, Fornari sembra invece additare un aspetto luminoso in questi conflitti rivalitari.

Nel mito di Dioniso tutti questi elementi convergono con chiarezza. Questo lo racconta bene soprattutto Fornari nel suo libro “Da Dioniso a Cristo. Conoscenza e sacrificio nel mondo greco e nella civiltà occidentale”, libro splendido la cui lettura raccomando.

Dioniso è, infatti, all’origine anche lui un semplice uomo capitato in una situazione di emarginazione e sospetto, uno straniero linciato, sacrificato e poi divinizzato. La cosa potrà sembrare strana a chi di Dioniso ha l’immagine di un dio simpatico e ubriacone. Ma c’è molto di più. Nella sua prima incarnazione, Dionisio Zagreo è ucciso e mangiato da un gruppo di persecutori che poi diventano adoratori, per la precisione un gruppo di marinai. In versioni successive e meno cruente del mito, Dioniso si salva, soccorso dai delfini. Ma non basta.

In tutte le varianti del mito di Dioniso il tema del sangue e del linciaggio è presente. Dioniso rischia la morte fin dall’inizio, quando sua madre Semele, indotta da Era gelosa a spiare il suo amante Zeus mentre lancia i fulmini, muore tra le fiamme come accade a qualunque mortale che osi guardare il padre degli dei mentre è intento a scatenare la tempesta. Il bimbo viene salvato da Zeus in persona che lo sottrae alle fiamme che divorano la madre e se lo inserisce nella coscia, in una sorta di gravidanza succedanea e divina che è anche una morte e resurrezione. Ma non è la sola volta che Dioniso rischia la vita da bambino.

In un altro mito Dioniso bambino è attirato dai Titani, la razza rivale degli dei olimpici, che lo vogliono linciare. Ed è attirato come si attirano i bambini, ovvero con dei giocattoli. E qui si gela il sangue, perché secondo Fornari una delle forme più antiche e terribili di sacrificio umano era il sacrificio di un bambino, attirato con dei giocattoli al centro del cerchio sacro dei linciatori. Ancora più terribile pensare che questo sacrificio era fatto per evitare il linciaggio di un re, di un adulto con un ruolo di potere. Su un bambino era stornata la violenza che rischiava di colpire un adulto. 

A questo punto diventa chiaro che anche le religioni ebraica e cristiana sono a loro volta forme di gestione di questa violenza di gruppo. Anche in questo caso Girard e Fornari vedono un passo avanti, addirittura una svolta decisiva. Secondo Girard il sacrificio nelle religioni pagane era stato sempre un passo avanti insufficiente perché il meccanismo linciatorio era rimasto nascosto dietro la divinizzazione dell’eroe sacrificato. Ad esempio, la memoria del linciaggio di Romolo rimane nascosta dietro la sua promozione a dio sotto il nome di Quirino. La sua morte cruenta è trattata in versioni apocrife del suo mito, tramandata in tradizioni minori.

Nella passione cristiana, invece, la morte cruenta come mezzo di riconciliazione è evidente, almeno secondo Girard. In tal modo il meccanismo espiatorio diventa consapevole ed è possibile superarlo, o almeno compiere un passo avanti nel suo superamento. Vero è che il superamento rimane parziale, e la violenza non è certo bandita da quel momento dalla storia umana, come purtroppo ben sappiamo. Inoltre nella passione cristiana si crea involontariamente un nuovo capro il cui linciaggio non è rappresentato e riconosciuto. Si tratta dello stesso popolo ebraico, che prende su di sé tutta la colpa della morte del Cristo, impedendo così che si completi il meccanismo del riconoscimento universale di tutti nella folla linciante, bollata invece come solo ebraica e non come universalmente umana.

Tuttavia, per Girard in quel momento comunque si insemina nell’umanità il senso dell’impossibilità di risolvere sempre la violenza facendola convergere su un unico colpevole che vien poi divinizzato. Una sorta di sacra rappresentazione in cui tutti possano riconoscere il proprio desiderio violento da scaricare su un innocente.

Girard, lungi dallo scaricare sugli ebrei questa tendenza, sostiene al contrario che il giudaismo aveva preceduto il cristianesimo in questa capacità di rappresentare senza infingimenti e veli la propensione umana alla violenza, fin dai racconti di Caino e Abele.
Tuttavia, la svolta cristiana ha il suo prezzo, la crescente espulsione dell’ aggressività dalla vita sociale, man mano che si realizza nei secoli, crea nuove difficoltà. La violenza espulsa tenta di rientrare attraverso esplosioni improvvise che di nuovo si travestono in qualcosa d’altro.

In Nietzsche si radunano i prodromi del ritorno della violenza repressa, l’evocazione del ritorno dell’orgia dionisiaca troppo repressa nelle controllate maniere borghesi. È proprio il superamento borghese della violenza che va in crisi, scrive Girard, un superamento che assume le forme dello sviluppo economico e dell’impegno di sé nel lavoro e nell’ affermazione di sé. In questa maniera, secondo Girard non vi è vero superamento dell’agonismo rivalitario, ma solo un suo travestimento in un agonismo ritualizzato nella competizione per il benessere materiale, l’affermazione di sé nel successo economico e sociale. Alla lunga il ritorno della violenza appare inevitabile, e dopo l’evocazione intellettuale di Nietzsche segue l’esplosione totalitaria della prima metà del novecento, condotta da Hitler e Stalin.

Su questo punto la posizione di Fornari diverge da quella di Girard. Mentre Girard sembra aspirare a una purificazione completa dell’umanità dalla violenza, Fornari sembra invece additare un aspetto luminoso in questi conflitti rivalitari. Non è solo agonismo, competizione e odio, scrive Fornari (2006). Si tratta anche di emulazione e ammirazione, non necessariamente degradata a invidia. In questo modo l’uomo sublima e supera davvero le sue tendenze conflittuali, senza negarle alla radice come sembra desiderare Girard.

La storia arriva fino ai giorni nostri, con una sua impasse tragica. La crisi militarista e totalitaria della prima metà del novecento è superata. Il cristianesimo, sfociato nella laicità liberale e illuministica, sembra in grado di lasciare il suo dono anti-violento. Al tempo stesso, però, il rischio di perdere la vitalità connessa con la radice rivalitaria e agonistica sembra a tratti ancora presente. L’interpretazione moderna di Nietzsche lo ha depurato delle sue passioni più feroci, della sua ossessione per la potenza e il dominio, il rango dei dominatori e la sopraffazione dei deboli, anzi dei “malriusciti”, come rudemente amava definirli Nietzsche. Nietzsche è interpretato oggi come un hippie abbastanza innocuo, che predica una liberazione anodina e inoffensiva. L’orgia dionisiaca è diventata un concerto rock in cui nessuno viene linciato, e la musica sostituisce il sangue, fortunatamente. Speriamo che il compromesso funzioni e duri, almeno per qualche tempo ancora.

 

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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