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Le arti marziali per il trattamento di disturbi correlati a traumi: il wing tsun kung fu quale tecnica elettiva nella (ri)definizione dei confini corporei e delle distanze interpersonali

Nel trattamento dei traumi, la pratica marziale sarebbe un potente strumento di cura ausiliario alla psicoterapia poiché agisce sulla dimensione corporea.

Di Redazione

Pubblicato il 20 Apr. 2015

Felice Scaringella

 

Le arti marziali per il trattamento di disturbi correlati a traumi: il wing tsun kung fu quale tecnica elettiva nella (ri)definizione dei confini corporei e delle distanze interpersonali.

Nel trattamento dei disturbi legati a traumi, la pratica marziale potrebbe diventare un potente strumento di cura ausiliario alla psicoterapia poichè in grado di sviluppare quelle abilità di difesa personale che andrebbero ad agire direttamente sulla dimensione sensoriale e corporea ristrutturando confini e distanze personali e interpersonali.

In una pubblicazione non troppo recente, Rosa Maria Di Stefano sottolineava un curioso parallelismo tra psicoterapia e arti marziali. In particolare, l’obiettivo di questo eccellente lavoro mirava a mettere in luce, attraverso un’ampia rassegna di studi, quanto queste discipline potessero rappresentare una valida integrazione alla terapia verbale di numerosi disturbi rientranti in un ampio spettro di psicopatologie (Di Stefano, 2005). Il primo parallelismo, e forse quello che rende maggiormente efficace la proposta, è quello che considera entrambe le pratiche (le discipline marziali e la psicoterapia) come delle vere e proprie forme di arte.

I benefici che la persona può trarre dalla pratica delle arti marziali sono stati confermati da lavori provenienti dall’integrazione degli approcci psicoterapeutici: molte patologie psichiche, oggi, vengono trattate facendo riferimento a diversi canali d’accesso al vissuto della persona, in particolare al canale corporeo in quelli che vengono chiamati approcci bottom-up (Ogden, Minton, Pain, 2006). Gli approcci psicoterapeutici bottom-up si sono dimostrati utili particolarmente nel trattamento delle memorie traumatiche e dei disturbi ad esse correlati, infatti, si è osservato che la semplice presa di coscienza del contenuto razionale relativo ai vissuti della persona non era sufficiente a favorire complete elaborazioni di emozioni e ricordi potenzialmente soverchianti.

Nello specifico dei disturbi correlati a traumi sono spesso riscontrabili fenomeni di dissociazione psichica e somatoforme che potrebbero incidere negativamente sul decorso della patologia in quanto le emozioni traumatiche continuerebbero a svolgere la loro azione a livello sensoriale dando luogo a ciò che viene identificato come dissociazione strutturale della personalità (van der Hart, Nijenhuis, Steel, 2006). Ne consegue che i clinici, oggi, siano più orientati ad integrare nella pratica terapeutica approcci quali l’EMDR, la Psicoterapia Senso-Motoria e gli interventi basati sulla Mindfulness (Di Donna, 2012; Giannantonio, 2013; Ogden, Minton, Pain, 2006).

Nel trattamento dei disturbi legati a traumi, con particolare riferimento a quegli eventi perturbativi della vita psichica facenti capo ad aggressioni, abusi fisici e sessuali (anche cumulativi), la pratica marziale potrebbe diventare un potente strumento di cura ausiliario alla psicoterapia poichè in grado di sviluppare quelle abilità di difesa personale che andrebbero ad agire direttamente sulla dimensione sensoriale e corporea ristrutturando confini e distanze personali e interpersonali, e facilitando ciò che Janet (cit. in Ellenberger, 1970) ha ritenuto essere una tappa necessaria finalizzata al raggiungimento dei progressi nella cura psicoterapeutica, ovvero, il processo di completamento delle azioni interrotte durante l’evento traumatico perturbativo a causa dell’attivazione delle difese dissociative.

Il Wing Tsun (in questo articolo faremo riferimento allo stile Wing Chun praticato nella scuola fondata dal GM Leung Ting – ultimo allievo del GGM Ip Man- e denominato Wing Tsun) potrebbe essere un’arte marziale fortemente indicata per gli scopi che abbiamo appena illustrato, infatti, i suoi principi di combattimento troverebbero applicazioni specifiche proprio in ciò che si è rivelato carente in pazienti che hanno subìto traumi da aggressioni. La disciplina è uno stile di Kung Fu sviluppatosi in Cina circa 400 anni fa quale derivazione diretta dello stile Shaolin. Secondo quanto trasmesso dal Great Grandmaster Ip Man, il sistema sarebbe stato messo a punto da una donna, una monaca buddista, che avrebbe insegnato le tecniche ad una ragazza di nome Yim Wing Chun (da qui il nome dello stile) la quale veniva continuamente tormentata da un bullo che voleva prenderla in sposa a tutti i costi.

Secondo la leggenda (si ricorda che le origini di questa arte marziale sono ignote), la ragazza ebbe la meglio in combattimento proprio perché le nuove tecniche non richiedevano lo sviluppo di grande forza fisica rispetto al Kung Fu tradizionale ma risultavano, al contrario, estremamente efficaci nello sconfiggere l’avversario a patto che ne venivano seguiti scrupolosamente i principi. Oggi il Wing Tsun risulta essere uno dei più efficaci e scientifici sistemi di difesa personale (Leung Ting, 1978). 

Affiancare la pratica del Wing Tsun alla psicoterapia dei pazienti ai quali è stato diagnosticato un disturbo post-traumatico conseguente ad aggressione, significa lavorare su ciò che potrebbe essere seriamente compromesso in queste persone, ovvero la capacità di definire e strutturare i propri confini personali e interpersonali (Giannantonio, 2013).

Definire i propri confini significa negoziare le distanze nel mondo intersoggettivo e il Wing Tsun risulta essere un’arte marziale in grado di accompagnare l’individuo traumatizzato verso il raggiungimento di questo obiettivo, infatti, una delle prime tecniche che vengono insegnate agli allievi riguarda la capacità di stabilire un’adeguata distanza interpersonale (che, ovviamente, varia da individuo a individuo) in modo da avere il tempo di poter avviare la negoziazione di un possibile tentativo di aggressione da strada attraverso ciò che viene chiamato pre-confronto (si ricorda che nel Wing Tsun non si ricerca lo scontro ma, al contrario, si cerca sempre di prevenire tale circostanza o, in caso di inevitabilità dell’attacco, di stroncarlo sul nascere).

Come sostiene Giannantonio (2013), l’abuso potrebbe risultare essere un fattore di rischio per il restringimento della cosiddetta finestra di tolleranza (Ogden, Minton, Pain, 2006). La psicoterapia e la pratica integrata del Wing Tsun permettono di lavorare al fine di aumentare l’ampiezza della finestra di tolleranza in quanto entrambe le arti lavorano ai limiti di quest’ultima, l’una attraverso gli stimoli forniti dal terapeuta nel setting della seduta fornendo quell’ambiente cosiddetto sicuro ma non troppo (Bromberg, 2006), l’altra attraverso la strutturazione di situazioni cosiddette borderline che simulano vere e proprie aggressioni inducendo nell’allievo lo stress limite per poter riconoscere, negoziare ed eventualmente affrontare efficacemente un possibile attacco. Secondo lo stesso Giannantonio (2013), il trauma potrebbe avere effetti destrutturanti sulle dimensioni relative ai confini individuali per cui praticare il Wing Tsun potrebbe agevolare i pazienti nella ristrutturazione degli stessi, agendo in particolare su:

  • Percezione: le difficoltà di percezione dei confini corporei riguardano i cosiddetti pazienti sovraconfinati che permettono l’intrusione dei propri aggressori assumendo atteggiamenti di sottomissione conseguenti a risposte dissociative di freezing, e pazienti sottoconfinati aventi marcate difficoltà nel riconoscimento e nell’interpretazione dei propri marcatori somatici (ad esempio, i segnali corporei relativi alla paura). La pratica del Wing Tsun, attraverso l’esercizio delle forme (Siu Nim Tau, Chum Kiu) e del Chi-Sao, aiuta la mente ad assumere un atteggiamento mindful oriented (Ogden, 2009) insegnando il corretto uso della respirazione e della sensibilità corporea in modo da poter riconoscere l’esistenza reale di un pericolo, non negando allo stesso tempo la normale reazione di paura che non viene dissociata ma utilizzata adattivamente al fine di allertare e orientare i sistemi d’azione di attacco e fuga.
  • Difesa: nei pazienti traumatizzati risulta pervasivo l’uso delle difese dissociative patologiche a scapito di meccanismi regolativi più adattivi. In altre parole, questa dissociazione innescherebbe, a fronte di nuove aggressioni, risposte che sembrano bypassare completamente i sistemi di difesa più maturi. Secondo Porges (2009), da una parte potrebbero attivarsi risposte di mobilizzazione mettendo in atto un attacco come risposta automatica ad uno stimolo condizionato che potrebbe non avere alcuna valenza di pericolo imminente, dall’altra si potrebbe innescare una risposta di immobilizzazione che potrebbe favorire l’aggressione in quanto l’individuo, pur avendo gli strumenti per difendersi (anche le tecniche di Wing Tsun), mostrerebbe un atteggiamento di rigidità corporea che potrebbe fargli subire un attacco al quale non ci sarebbe alcuna risposta difensiva se non quella di depersonalizzazione e anestesia somatica (Nijenhuis, 2004). Il Wing Tsun si propone di insegnare agli allievi strategie di regolazione emotiva più adattive in situazioni di elevato stress: attraverso il pre-confronto si invita l’allievo ad integrare il vissuto emotivo con il linguaggio simulando possibili aggressioni in cui il tono della voce risulta congruente con la rabbia che dovrebbe prendere il sopravvento sulla paura nel momento in cui si invita l’aggressore a desistere dalle sue malevoli intenzioni. Si insegna, perciò, ad utilizzare la condivisione sociale quale efficace strategia per evitare l’intrusione oltre i limiti dei propri confini personali.

Una naturale conseguenza della mancanza di definizione dei confini personali è la mancanza di capacità nel negoziare la distanza fisica. Come suggerisce Ogden (2013, p. 210):

pazienti che hanno vissuto un trauma relazionale sono raramente in grado di stabilire una distanza appropriata tra se stessi e gli altri

Ovvero, possono irrigidirsi, tirarsi indietro o bloccare il respiro nel momento in cui il terapeuta esegue movimenti di allontanamento/avvicinamento. Questi fenomeni in seduta vengono affrontati attraverso esercizi pratici di psicoterapia senso-motoria che sono molto simili agli esercizi che gli istruttori di Wing Tsun insegnano ai propri allievi: uno di questi consiste nello stoppare, attraverso il sollevamento delle braccia, l’eccessiva intrusione nei propri confini personali dopo aver superato la distanza ottimale individuale.

Concludendo, la pratica delle arti marziali potrebbe avere effetti facilitanti sulla riabilitazione individuale se questa viene inserita all’interno di un programma di trattamento più ampio ed integrato.

Gli effetti non riguardano solo l’incremento delle capacità di socializzazione o del controllo dell’aggressività. In questo lavoro, si è ipotizzato che proporre l’affiancamento della pratica del Wing Tsun alla psicoterapia dei disturbi post-traumatici potrebbe avere effetti positivi sulla definizione dei confini corporei e delle distanze interpersonali, nonché sull’integrazione dei vissuti traumatici e delle parti dissociate della personalità. Ciò non sta a significare che il Wing Tsun sia l’unica arte marziale in grado di adempiere a questo compito: come sottolinea la Di Stefano (2005), tutte le arti marziali hanno effetti positivi sulla mente dell’individuo, in particolare sull’autostima, purchè non vengano praticate al solo scopo di aumentare la potenza fisica ma studiando anche i principi filosofici caratteristici di ciascuna di esse.

Il Wing Tsun rappresenta, quindi, un caso particolare che presenta numerose somiglianze con i più recenti approcci alla psicoterapia. Inoltre, esso non è da considerarsi uno sport da competizione come il Karate o il Judo, ma una disciplina finalizzata esclusivamente all’autodifesa, capacità che nelle vittime di traumi cumulativi e complessi risulta essere seriamente compromessa. Sarebbe opportuno, in futuro, valutarne anche l’efficacia a livello empirico stabilendo degli indicatori oggettivi o misure indirette in grado di mostrare miglioramenti e progressi dell’allievo/paziente nella vita quotidiana, quindi progettando dei trial clinici o studi caso/controllo al fine di stabilire una possibile correlazione o l’esistenza di differenze statisticamente significative nelle differenti modalità di cura dei pazienti traumatizzati.

 

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