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La Terapia Metacognitiva Interpersonale (TMI) – Report dal corso di Firenze, 21-22 Febbraio 2015

Report della prima parte del Corso base di Terapia Metacognitiva Interpersonale (TMI) , svoltosi a Firenze il 21-22 Febbraio 2015 - Psicoterapia

Di Valentina Davi

Pubblicato il 04 Mar. 2015

Report:

Corso base di Terapia Metacognitiva Interpersonale (TMI) – I Parte

Firenze, 21-22 Febbraio 2015

 

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La TMI punta ad incentivare la narrazione di episodi autobiografici in modo tale che il paziente, bypassando il livello semantico, acceda alla memoria episodica facilitando l’accesso alle emozioni legate all’episodio narrato.

Contenuti o processi? Questo sembra essere uno dei dilemmi principali attorno a cui si sta focalizzando il dibattito all’interno della psicoterapia cognitiva, che negli ultimi anni ha visto prendere sempre più piede le cosiddette terapie di terza ondata che privilegiano gli interventi sui processi anziché sui contenuti. All’interno di questo filone si pone la Terapia Metacognitiva Interpersonale (TMI), modello volto al trattamento dei disturbi di personalità elaborato da Giancarlo Dimaggio, Raffaele Popolo e Giampaolo Salvatore. 

In un’ottica di continuo aggiornamento della propria offerta formativa, la Scuola Cognitiva Firenze ha organizzato il Corso di TMI Base (21-22 febbraio e 7-8 marzo) e il Corso di TMI Avanzato (23-24 maggio e 6-7 giugno) e noi di State of Mind siamo qui per raccontarvi se valga o meno la pena frequentare il corso (e la risposta è sì).

Quando in terapia lavoriamo sui contenuti (es. sulle credenze disfunzionali causa di disturbi emotivi), per poter avere una rappresentazione onesta della problematica del paziente dobbiamo evidentemente partire da ciò che il paziente ci racconta. È però esperienza comune trovare pazienti che hanno difficoltà nella narrazione, che faticano ad accedere ai propri stati interni o alla catena causale tra pensieri ed emozioni, e questa difficoltà nell’utilizzo delle funzioni metacognitive rende arduo l’utilizzo di strumenti standard CBT, come per esempio l’ABC, e di conseguenza la formulazione del caso.

Ciò accade in particolar modo, ma non solo, con pazienti con disturbo di personalità, caratterizzati da uno stile narrativo intellettualizzato, cioè che rimanda a concetti esterni, generali (es. “Perché è così!!” oppure “Tutte le persone sono…”), che non permette l’accesso agli stati interni. La TMI punta pertanto ad incentivare la narrazione di episodi autobiografici in modo tale che il paziente, bypassando il livello semantico, acceda alla memoria episodica facilitando l’accesso alle emozioni legate all’episodio narrato.

Una buona narrazione permetterà così al terapeuta di ricostruire quelli che sono gli schemi interpersonali disfunzionali del paziente, che saranno poi il bersaglio della promozione del cambiamento. Una buona memoria autobiografica, infatti, includerà informazioni da cui si potranno inferire lo scopo che spinge il paziente ad agire (che è legato alla rappresentazione che ha di sé), cosa ha fatto o pensato di fare per realizzare tale scopo, come gli altri hanno risposto e come lui ha reagito alle loro risposte. La TMI offre pertanto validi strumenti per lavorare sull’incremento delle funzioni metacognitive dei pazienti tramite la promozione della narrazione episodica.

Come suggerito dal nome stesso, nella TMI oltre alla componente metacognitiva è centrale la componente relazionale. Poiché le capacità metacognitive sono oscillanti, contesto-dipendenti e risentono della relazione, acquista un ruolo importante la gestione della terapia in chiave relazionale. La relazione terapeutica diventa fonte di informazione, strumento di cura e oggetto di cura attraverso la regolazione dei cicli interpersonali che emergono in seduta (cioè di ciò che accade nella realtà nell’interazione con l’altro) e la disconferma degli schemi disfunzionali del paziente.

Buona parte della formazione si focalizza pertanto sull’imparare a prestare attenzione a ciò che accade in seduta alla relazione terapeutica, per identificare eventuali marker di rottura della relazione (es. aumento delle reazioni difensive, assenza di cambiamenti degli stati emotivi a seguito degli interventi) e porvi rimedio.

Nella prima parte del corso Raffaele Popolo ha illustrato con estrema chiarezza la fase di Stage Setting del modello TMI, in cui si ricostruisce l’esperienza interna del paziente attraverso la memoria autobiografica, e la gestione della relazione terapeutica. Durante le lezioni sono stati presentati casi clinici, trascrizioni e registrazioni audio di spezzoni di sedute che sono stati commentati evidenziando di volta in volta i diversi tipi di interventi messi in atto dal terapeuta, fornendo un’idea chiara del lavoro che un terapeuta TMI svolge in seduta.

L’impressione avuta seguendo la prima parte del corso è che la TMI possa essere vista anche come una struttura per un trattamento integrato utilizzabile non solo con pazienti affetti da disturbo di personalità; un albero decisionale su cui impiantare altri interventi/tecniche a seconda del caso (ovviamente mantenendo sempre la consapevolezza della ratio che sta dietro tali interventi), e quindi un modello da conoscere in quanto potrebbe tornare utile in più occasioni nella propria pratica clinica.

Vedremo se durante la seconda parte del corso, in cui Giancarlo Dimaggio presenterà la fase relativa alla promozione del cambiamento, le nostre impressioni verranno confermate. Ci riaggiorniamo settimana prossima!

 

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Valentina Davi
Valentina Davi

Coordinatrice di redazione di State of Mind

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