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Le reti di Berna: prevenire il rischio di suicidio intervenendo sul contesto

Contro il suicidio, intervenire sui fattori contestuali che rischiano di portare un individuo vulnerabile al gesto estremo è necessario e sembra efficace.

Di Giancarlo Dimaggio

Pubblicato il 04 Feb. 2015

Una volta compiuto l’assessment del rischio suicidario si possono pensare, a fianco degli interventi terapeutici appropriati (sicuramente secondo le linee indicate da Mancini), interventi mirati sull’ambiente.

In un recente post su State of Mind, Francesco Mancini argomenta a favore di un approccio al paziente suicidario centrato sulla regolazione degli stati mentali antecedenti al suicidio. Sullo sfondo di una crisi economica drammatica, correlata ad un incremento dei suicidi da disperazione economica, Mancini propone che l’attenzione resti focalizzata sulla persona e di intervenire sui processi cognitivo/affettivi che rischiano di portare una persona a togliersi la vita.

L’articolo mi ha fatto pensare. L’argomento in sé è giusto, i clinici dovrebbero: 

assemblare protocolli psicoterapeutici in grado di modificare stabilmente gli stati mentali prossimi l’ideazione suicidaria

(Mancini, State of Mind, 2 Feb, 2015).

Come non essere d’accordo? Mi sono chiesto a lungo, e non mi sono dato una risposta, chi sia l’interlocutore a cui Mancini si rivolgeva scrivendo questo post. In assenza di risposta però ho riflettuto sulle sue implicazioni. Ripeto, non c’è parola della riflessione di Mancini che non condivida: per quanto siano presenti fattori di rischio, essi agiscono solo su persone precedentemente vulnerabili. Tre sarebbero i fattori predisponenti: non appartenenza, convinzione di essere un peso per gli altri, scarso timore del dolore e della morte. Da psicoterapeuta è logico, sensato e giusto intervenire sulle prime due convinzioni.

Ma mi sembra una risposta parziale, che rischia di portare gli psicoterapeuti a concentrarsi solo sugli interventi che compiono nella propria stanza, trascurando l’ambiente sociale e precludendosi la possibilità di intervenire su di esso.

 Ripenso ad un aneddoto. Sono stato più volte a Berna per lavoro. È una città bellissima, sviluppata su due livelli attorno alle anse del fiume Aar. Fuori città c’è il sinuoso Paul Klee Zentrum, di Renzo Piano. Malgrado le condizioni ambientali e architettoniche – e direi economiche – ottimali, a Berna si suicidano in molti. La prima volta che ci sono stato passeggiavo con dei colleghi, psicoterapeuti e ricercatori esperti. Attraversando uno dei ponti che concedono una vista splendida sul fiume e sulla parte inferiore della città, il collega commentò tra sé e sé, con tono severo: Non va bene, in questo punto non ci sono le reti. Le reti servirebbero a raccogliere chi si gettasse dal ponte, attività evidentemente diffusa in quella città, in modo da evitarne la morte per suicidio. Reagii internamente pensando: Questi sono fuori di testa. Le reti? Ma dai, se uno vuole uccidersi figurati se sarà una rete a dissuaderlo. L’unico effetto delle reti è che disturbano la bellezza architettonica della città.

BERN - SUICIDE BARRIER
Suicide barriers, Bern

Ci ripenso oggi e mi sento vagamente stupido. Anni dopo torno a Berna e passeggiando con un altro collega, di pari valore del primo, ci troviamo a osservare il campanile della Cattedrale, luogo storicamente prediletto da chi voleva togliersi la vita. Oggi ci sono le protezioni. Il collega mi spiega che l’effetto in termini di riduzione dei suicidi è stato significativo. Una persona va lì nel momento in cui l’impulso è forte e si sente pronto ad uccidersi. Trova la rete. Perde l’attimo. Gli passa la voglia. E spesso non ritrova le condizioni giuste. La sua vita è salva.

L’esempio viene ora seguito a San Francisco. (Si vedano i due link: link1 link2). L’effetto benefico non è solo la riduzione dei suicidi in sé, ma anche la riduzione di disturbi post-traumatici da stress in chi si trova passeggiando un cadavere o assiste in diretta all’evento tragico.

DISTURBO POST-TRAUMATICO DA STRESS (PTSD)

Dove voglio arrivare? Che intervenire sui fattori contestuali che rischiano di portare al punto di rottura un individuo vulnerabile è necessario e sembra efficace (manca qui una mia review della letteratura per dare corpo all’argomento). Una volta compiuto l’assessment del rischio suicidario si possono pensare, a fianco degli interventi terapeutici appropriati (sicuramente secondo le linee indicate da Mancini), interventi mirati sull’ambiente. Potenziamento della rete sociale per migliorare il senso di appartenenza alla comunità. Interventi familiari in modo da facilitare la percezione che gli altri non sentano un’eventuale situazione economica difficile come un peso dovuto al paziente. Sarebbe sensato per determinati individui immaginare anche condizioni di prestiti agevolati? Ovviamente solo su persone selezionatissime che realmente ne beneficerebbero.

Alla fine si tratta di applicare anche a questa categoria di atti impulsivi o premeditati quello che già si fa con le dipendenze. Tra psicoterapia, dodici passi, alcolisti anonimi e via dicendo, voi suggerireste ad un ex-alcolista di festeggiare il compleanno in un lounge bar? Direi di no. Ad un ex-gambler proporreste un weekend romantico a Las Vegas?

 

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Giancarlo Dimaggio
Giancarlo Dimaggio

Psichiatra e Psicoterapeuta - Socio Fondatore del Centro di Terapia Metacognitiva-Interpersonale

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