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SLA ed Emozioni: Impairment dell’espressività o deficit di capacità?

La ricerca indaga la relazione tra la compromissione dell’espressione mimica delle emozioni e la ridotta capacità di provare le stesse in pazienti con SLA

Di Redazione

Pubblicato il 15 Gen. 2015

Aggiornato il 02 Feb. 2015 11:22

Domenico Mauro

La pratica clinica quotidiana, da quattro anni, in contesto degenziale per disturbi neuromuscolari ha indotto l’autore a ipotizzare una possibile correlazione tra la compromissione del funzionamento della muscolatura coinvolta nell’espressione mimica delle emozioni e la ridotta capacità di provare le stesse da parte degli ammalati in fase avanzata di S.L.A

Introduzione

Il presente lavoro nasce dall’esperienza maturata dall’autore in ambiente clinico-riabilitativo per soggetti affetti da disturbi neuromuscolari, in particolare dal lavoro con persone affette da S.L.A. che, nel corso di circa quattro anni, si sono avvicendate nel ricovero in contesto residenziale, raggiungendo il numero di 43 unità. L’osservazione longitudinale di tali pazienti, tutti collocabili in stadi avanzati di malattia, rivela un particolare dato clinico: una peculiare compromissione della attivazione dei muscoli facciali coinvolti nelle espressioni emotive.

L’ipotesi del presente lavoro, supportata dall’indagine anamnestica diretta condotta sui pazienti osservati, è che esista una correlazione tra la perdita della suddetta funzionalità ed una diminuita capacità di provare emozioni. A sostegno di quanto supposto si fa riferimento al complesso teorico relativo all’attività dei neuroni specchio, ed in particolare ai concetti di “consonanza intenzionale” e “simulazione incarnata” (Gallese, V., 2003). Gli effetti conseguenti alla drastica riduzione dell’espressione mimica coinvolgono ed influenzano attivamente l’interlocutore, nella misura in cui, come è stato possibile osservare, determina in quest’ultimo una diminuzione dell’espressione e della comunicazione empatica di ritorno verso l’emittente.

Dal punto di vista psicologico, del resto, diversi studi, tra i quali quello di Lule D. et al. (2005), hanno rilevato un cambiamento nella risposta emotiva dei pazienti, da una maggiore verso una minore reattività a stimoli emozionali intensi con l’avanzare della malattia, fenomeno che è stato ipotizzato correlare con l’attivazione di sistemi di compensazione cognitiva intercorsi ovvero, in un’ottica più neurobiologica, con vere e proprie modifiche neuroplastiche (Ferullo C.M. et al., 2009).

Metodi

Il metodo utilizzato fa riferimento fondamentalmente all’osservazione ed ai colloqui psicologici con 43 soggetti, aventi età media di 59,74 anni, tutti affetti da SLA già pervenuta alle fasi di compromissione delle funzioni respiratoria e fonatoria.  La ricerca attuale rimanda ad eventuali steps di approfondimento, successivi e multidisciplinari, per gli intuibili aspetti non indagabili con metodo empirico, aspetti extra-osservazionali. Occorre precisare che gli interventi e le stesse interlocuzioni con gli interessati sono stati resi attuabili grazie all’ausilio dello strumento comunicatore a puntatore ottico in loro dotazione.

I contenuti del trattamento clinico

Nel corso dei colloqui periodici effettuati dall’autore con i soggetti affetti da SLA, tutti ricoverati in contesto degenziale full-time, sono emersi importanti dati in linea con l’ipotesi per cui la severa condizione di impairment della funzionalità muscolare, oltre ad inibire l’espressione della espressività mimica (minus ampiamente atteso in virtù della centralità dell’impatto della sclerosi sulla funzionalità dell’apparato muscolare nella sua globalità), possa compromettere la capacità di provare emozioni: in particolare il dato che sembra emergere con chiarezza è che, se non la capacità di provare in toto le emozioni, si verificherebbe una riduzione dell’autopercezione in ordine alla quali/quantità della risonanza della sfera emozionale in risposta a stimoli emotigeni esterni. Frequenti sono state in tal senso le asserzioni raccolte nel corso delle interlocuzione con i pazienti esaminati; una fra tante: “è come se badassi meno a certe emozioni”; “riesco a sentirne solo alcune … quelle più forti”; “certi stimoli non mi fanno più lo stesso effetto di prima…”

La dimensione inconscia

Il malato affetto da S.L.A. si trova a dover elaborare diversi e ripetuti “lutti” legati alla progressiva perdita di fondamentali funzioni e dimensioni esistenziali. Esiste un gamma riconoscibile di reazioni cui vanno incontro, mano mano che si instaurano e si consolidano le diverse inabilitazioni multiapparato e prende forma la prospettiva di un’aspettativa di vita limitata, reazioni che possono essere osservate in successione nello stesso individuo, in stretta relazione alla progressione del processo di consapevolizzazione che, dal rifiuto (non sono io), la rabbia (perché proprio io), il compromesso (si, io però vorrei), la depressione (sono disperato), conduce all’accettazione (riposo finale) (S.I.A.A.R.T.I., 2011).

Coerentemente con la teoria di Elisabeth Kübler-Ross (1969), si rilevano in sostanza i cinque stadi di reazione alla prognosi mortale:

1.    diniego

2.    rabbia

3.    negoziazione

4.    depressione

5.    accettazione.

L’utilizzo massiccio di difese quali la negazione e l’isolamento, attutirebbe, in questi pazienti, l’impatto emotivo devastante e destrutturante della malattia (Averill, A., J., et al., 2007). La riduzione della percezione delle emozioni, qualora fosse dimostrata, sarebbe coerente con la messa in campo di istanze difensive inconsce presenti, in particolare, nelle fasi di maggiore consapevolezza.

Il modello psicofisiologico di Ruggieri

Secondo Vezio Ruggeri (1988), autore dell’apprezzato omonimo modello psicofisiologico delle emozioni, l’individuo percepisce uno stimolo esterno o interno (ricordi, immagini, rappresentazioni mentali etc.) che, agendo su alcuni particolari centri nervosi (ipotalamo e sistema limbico) determina un’attività che impegna contemporaneamente il sistema muscolare ed il sistema neurovegetativo. Il sistema nervoso centrale, dunque, in risposta allo stimolo emotigeno, invia impulsi ai muscoli ed al sistema viscerale. Muscoli e visceri, a loro volta, segnalano al sistema nervoso centrale, mediante informazioni di ritorno, la presenza dell’attività prodotta dal sistema nervoso medesimo. Esso ordina tali informazioni di attività mettendo in atto un processo di “sintesi”.

In altri termini, la raccolta dell’informazione proveniente dalla periferia del corpo (muscoli e visceri), in questo caso, non rappresenta la base per operazioni percettive di tipo analitico ma per una sintesi unificante, globale, dell’esperienza sensoriale. Quando si parla di informazioni sensoriali ci si riferisce, oltre che alle informazioni sensoriali cutanee, visive o uditive, anche alle c. d. informazioni propriocettive, cioè alle informazioni provenienti dai muscoli e dai tendini.

Quando l’informazione di ritorno proveniente dall’attività di diverse aree corporee (diversi distretti muscolari) è stata sintetizzata, si produce quel particolare vissuto coincidente con il sentimento. Il sentimento è l’elemento essenziale del processo di risposta emotiva: esso rappresenta la fase terminale dell’intera sequenza ed ha il ruolo di auto segnale (Ruggieri, 2002).  In questo caso non è importante per il soggetto riconoscere la provenienza corporea delle informazioni sensoriali che generano il sentimento ma vivere un’esperienza unitaria di piacere o di dolore da collegare con lo stimolo o la situazione stimolo che l’ha provocata. In virtù dei meccanismi fisiologici dell’emozione, uno stimolo esterno è stato in qualche modo “trasformato” in un complesso di eventi corporei che assumono il significato di segnale. In altri termini il soggetto “legge” ciò che lo stimolo ha provocato realmente in lui.

Tali costrutti teorici sembrano proprio la giusta cornice per l’ipotesi, al momento sospettabile sul piano osservazionale, secondo cui, in soggetti con S.L.A. avanzata, il coinvolgimento della funzionalità muscolare appare in stretta relazione con quantità e qualità delle emozioni.

Cenni sulla Teoria dei Neuroni Specchio

I neuroni specchio sono, come è ormai noto, una particolare popolazione di neuroni la cui esistenza è stata documentata per la prima volta verso la metà degli anni ’90, ad opera del gruppo di lavoro del Prof. Giacomo Rizzolatti, presso il Dipartimento di Neuroscienze dell’Università degli Studi di Parma. Scoperti nei macachi, i ricercatori osservarono che alcuni gruppi di neuroni si attivavano non solo quando gli animali compivano una determinata azione, ma anche quando osservavano un altro soggetto compiere la medesima azione.

Studi successivi, effettuati nell’uomo con tecniche non invasive, hanno dimostrato la presenza di sistemi simili: sembra che essi interessino diverse aree cerebrali, comprese quelle del linguaggio, e costituiscano una componente fondamentale della complessa ed articolata base anatomo-funzionale della capacità dell’uomo di porsi in relazione con altri individui. Nel nostro cervello, nel momento in cui viene osservata una determinata azione, si attivano gli stessi neuroni che entrano in gioco quando si è in prima persona a compierla; in questo l’individuo può comprendere con facilità le azioni dei suoi simili (meccanismo comparativo con analoghe azioni compiute in passato).

Lo stesso riconoscimento delle emozioni si basa su questo “meccanismo a specchio”: è stato dimostrato sperimentalmente, infatti, che quando osserviamo negli altri una manifestazione di dolore si attiva il medesimo substrato neuronale collegato alla percezione in prima persona dello stesso tipo di emozione (percepiamo quindi la stessa emozione di chi la sperimenta in prima persona). Ormai è certo dunque che questo sistema ha tutto il potenziale necessario per fornire un meccanismo di comprensione delle azioni e per l’apprendimento attraverso l’imitazione e la simulazione del comportamento altrui.

Come afferma Gallese (2006b) l’individuo non è estraneo al significato delle azioni, emozioni, o sensazioni esperite dal proprio simile, in quanto gode di – come viene definita dall’autore – una “consonanza intenzionale” col mondo altrui. Ciò è reso possibile, continua l’autore, non solo dal fatto che con gli altri condividiamo le modalità di azioni, sensazioni o emozioni, ma anche perché, condividiamo alcuni dei meccanismi nervosi che presiedono a quelle stesse azioni, emozioni e sensazioni; grazie ai meccanismi di rispecchiamento e simulazione, l’altro è vissuto come un “altro se”. È stato evidenziato da studi del gruppo di Rizzolatti (Gallese, Keysers e Rizzolatti 2004; Gallese 2006) che le stesse strutture nervose coinvolte nell’analisi delle sensazioni ed emozioni, esperite in prima persona, sono attive anche quando tali emozioni e sensazioni vengono riconosciute negli altri.

Il meccanismo di simulazione appare essere, quindi, una modalità di funzionamento di base del nostro cervello quando siamo impegnati in una qualsivoglia relazione interpersonale. La psicologia sociale ha descritto e studiato il cosiddetto “effetto camaleonte” (Chartrand e Bargh 1997): mimiamo inconsapevolmente il comportamento non verbale altrui, e il mimarsi reciproco aumenta quanto più stretta è la relazione con l’altro, ciò a conferma dell’ipotesi che l’empatia è generata dal sistema dei neuroni specchio (come afferma ancora Gallese, da un certo punto di vista la simulazione incarnata può essere considerata come il correlato funzionale dell’empatia), il cui compito sarebbe quello di interpretare le emozioni altrui, facendo provare, di conseguenza, quelle stesse emozioni o sensazioni al soggetto in relazione.

I meccanismi di simulazione (che, nel caso in cui riguarda funzioni condivise con l’altro – una condivisione, cioè, di azioni, sensazioni o emozioni tra individui che interagiscono tra di loro – viene denominata simulazione incarnata), quindi, rappresentano lo “strumento” atto alla condivisione, a livello esperienziale, degli stati mentali altrui. Il concetto di consonanza intenzionale generata dai processi di simulazione incarnata sarebbe funzionale all’ipotesi, formulata nel presente lavoro, per la quale, venendo meno la capacità del soggetto con S.L.A. avanzata di operare adeguati livelli di simulazione dell’espressioni emotive (a causa della mancata funzionalità muscolare per la riproduzione della mimica), possa ridursi anche l’attitudine a sperimentare le stesse emozioni.

Il coinvolgimento dell’interlocutore

Gli effetti della mancata risonanza intenzionale si ripercuotono anche nella dinamica con l’interlocutore coinvolto nella relazione col paziente ammalato di S.L.A.: sovente è emerso, all’osservazione delle dinamiche relazionali nel contesto residenziale, una rilevante difficoltà a sostenere gli scambi conversazionali con tali soggetti oltre che per le intuibili “barriere” fonatorie, anche in relazione a componenti extrafonatorie.

Tale difficoltà si genera nell’interlocutore in parte in ragione della necessità di adattamento, non sempre agevole, a forme di comunicazione alternativa, per altri versi, conseguenza di alterati giochi di feedback con il paziente. Si osserva, infatti, un atteggiamento apparentemente disponibile da parte del collocutore che, tuttavia, è di fatto “distante” emotivamente, presente com’è la difficoltà a mettersi in “sintonia” con l’altro, a comprenderne, cioè, lo stato d’animo e a condividerne, quindi, gli stati emotivi. Interagire con una persona che non presenta espressioni mimiche, equivale, a livello della percezione istintiva, ad interfacciarsi con una persona che è senza emozioni: seppur la razionalizzazione subentri in tempi brevi, inevitabilmente la risposta empatica ne resta condizionata in senso negativo.

Conclusioni

Nel presente lavoro è stato approfondito, secondo una metodologia di indagine osservazionale e perciò adatta ad un primissimo livello di ricerca, il delicato tema delle emozioni in un campione di pazienti degenti ammalati di SLA in fase avanzata.

La pratica clinica quotidiana, da quattro anni, in contesto degenziale per disturbi neuromuscolari ha indotto l’autore a ipotizzare una possibile correlazione tra la compromissione del funzionamento della muscolatura coinvolta nell’espressione mimica delle emozioni e la ridotta capacità di provare le stesse da parte degli ammalati in fase avanzata di S.L.A. A supporto dell’ipotesi citata, si è fatto riferimento alla teoria dei neuroni specchio – con i concetti di “consonanza intenzionale” e “simulazione incarnata” – per mettere in evidenza il coinvolgimento della capacità di imitazione della mimica emotiva nel processo di sperimentazione intrapsichica delle emozioni. È stato illustrato, inoltre, il modello psicofisiologico delle emozioni di Ruggieri, al fine di sottolineare  l’implicazione della funzionalità muscolare nei processi emozionali. Nell’ultima parte del lavoro è stato posto l’accento sugli “effetti” della amimia dei pazienti con SLA sull’interlocutore, frequentemente esitanti in una riduzione della risposta empatica in quest’ultimo.

L’auspicio è che le parzialissime conclusioni su tali ipotesi sensibilizzino verso un maggiore approfondimento dell’inquadramento della relazione tra impairment muscolare ed impairment emotivo in corso di S.L.A., ai fini delle intuibili ricadute nella conoscenza del grave disturbo, nonché della maggiore finalizzazione dei programmi e degli interventi terapeutico-riabilitativi in questa popolazione di utenti, con particolare riguardo agli aspetti inerenti la qualità di vita di persone che devono convivere con uno dei maggiori “drammi” in sanità.

“Le emozioni sono il colore della vita” recita Giampaolo Perna nel suo libro “Le emozioni della mente” (Perna, 2010); in una vita dove prevale il “grigio” della sofferenza in tutte le sue possibili declinazioni, è doveroso tentare di reinfondere un po’ di “colore”.

Un ringraziamento speciale al dott. Valerio Lamberti, quale fondamentale collaboratore in termini di suggerimenti, pareri e riflessioni.

 

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BIBLIOGRAFIA:

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