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Disturbo Ossessivo-Compulsivo: dipende da scopi e rappresentazioni o da deficit cognitivi?

Francesco Mancini sulla Genesi del Disturbo ossessivo-compulsivo: dipende da scopi & rappresentazioni o da deficit delle funzioni esecutive? - Assisi 2014

Di Francesco Mancini

Pubblicato il 19 Gen. 2015

Aggiornato il 30 Mar. 2015 12:50

Nel 4° Meeting del SIG on OCD EABCT tenuto ad Assisi nel 2014 e organizzato da Barbara Barcaccia, si è svolto un confronto tra le due posizioni. I due paper, assieme ad altre presentazioni di grande interesse, sono state pubblicate nel Numero di Dicembre 2014 di Clinical Neuropsychiatry, tutto dedicato al Disturbo Ossessivo-Compulsivo, curato da Barbara Barcaccia e Francesco Mancini.

Il cognitivismo clinico, vale a dire l’approccio cognitivista ai disturbi mentali, include due settori, uno dedicato alla ricerca di terapie efficaci per i diversi disturbi e l’altro, la Experimental Psychopathology, allo studio  sperimentale dei processi che generano e mantengono la psicopatologia.

Nell’ambito della Experimental Psychopathology possiamo distinguere due ulteriori  orientamenti. Il primo intende spiegare genesi e mantenimento dei disturbi, o almeno di alcuni di essi e principalmente dei disturbi d’ansia, dell’umore, del disturbo ossessivo compulsivo e dei disturbi di personalità, utilizzando due categorie concettuali basiche: scopi (desideri, valori, bisogni, timori) e rappresentazioni (rappresentazioni mentali, sensoriali, credenze, intuizioni).

Le emozioni negative, le condotte, gli atteggiamenti e i flussi di pensiero che caratterizzano i pazienti, sono considerati dello stesso genere di quelli che si riscontrano in tutte le persone, le differenze sono quantitative; ad es., tutti soffrono se si rendono conto di aver fatto una brutta figura, cioè di aver compromesso lo scopo di dare una buona immagine di sé agli altri, ma, nel caso dei fobici sociali, la sofferenza appare esagerata e gli evitamenti e le altre soluzioni che il paziente mette in atto risultano anche dannosi e controproducenti. Questo primo orientamento include le cosiddette Appraisal Theories, e dunque riconduce la psicopatologia ai contenuti della mente del paziente.

Il secondo orientamento preferisce spiegazioni che non fanno riferimento al contenuto, agli  scopi del paziente, ai suoi piani, alle sue convinzioni, in una parola, ai suoi significati personali, ma fanno riferimento a distorsioni o deficit di alcune funzioni cognitive o metacognitive. Ad es., nel caso del disturbo ossessivo compulsivo sono stati proposti diversi deficit di alcune funzioni esecutive, come il deficit di inibizione, per cui le compulsioni dipenderebbero da una incapacità del paziente di inibire l’atto compulsivo e le ossessioni sarebbero una conseguenza delle compulsioni o una loro razionalizazzione.

Oppure l’oscillazione drammatica tra stati mentali opposti e incompatibili e la difficoltà a conciliarli, tipica del paziente Borderline, sarebbe dovuta, secondo alcuni, a un deficit della capacità di integrare stati mentali opposti. Oppure la depressione si mantiene e si aggrava per un eccesso di ruminazione su temi depressivi.

Questo secondo approccio è in risonanza con un più generale trend della psichiatria verso una interpretazione neurologica delle cause dei disturbi mentali. Infatti e ad esempio, la tesi che il DOC dipenda da un deficit di inibizione, o di altre funzioni esecutive, o della memoria, si concilia con l’idea che il DOC sia una malattia neurologica molto di più della tesi che il DOC dipenda dallo scopo assoluto di prevenire una colpa.

Nel cognitivismo clinico e più in generale nella Experimental Psychopathology  troviamo dunque due approcci fondamentali: Appraisal Theories (AT) e Deficit Theories (DT). Questi due approcci sono ben presenti nello studio del DOC.

Nel 4° Meeting del SIG on OCD EABCT tenuto ad Assisi nel 2014 e organizzato da Barbara Barcaccia, si è svolto un confronto tra le due posizioni. I due paper, assieme ad altre presentazioni di grande interesse, sono state pubblicate nel Numero di Dicembre 2014 di Clinical Neuropsychiatry, tutto dedicato al Disturbo Ossessivo-Compulsivo, curato da Barbara Barcaccia e Francesco Mancini: Advances in the understanding and treatment of Obsessive-Compulsive Disorder (SCARICA TUTTI GLI ARTICOLI).

Anholt e Kalanthroff hanno presentato una relazione (“Do we need a cognitive theory for Obsessive-compulsive disorder?”) in cui hanno argomentato contro le spiegazioni del DOC in termini di scopi e rappresentazioni, cioè di contenuti della mente del paziente, e a favore della teoria del deficit, in particolare del deficit di inibizione.

L’argomento principe contrario alle spiegazioni contenutistiche del DOC è che, da ricerche correlazionali svolte con questionari,  risulta che alcuni pazienti ossessivi hanno una propensione ai cosiddetti obsessional beliefs maggiore di altri tipi di pazienti, o addirittura di non pazienti, e che alcuni non ossessivi hanno una siffatta propensione maggiore dei pazienti ossessivi. A favore del deficit di inibizione hanno portato alcuni dati sperimentali, sostanzialmente in compiti di tipo go-no go i pazienti ossessivi tendono a commettere più errori quando si tratta di inibire la risposta.

Al contrario, Mancini e Barcaccia (“Do we need a cognitive theory of obsessive-compulsive disorder? Yes, we do”), in conformità a dati rigorosamente sperimentali, contestano le argomentazioni contrarie alle Appraisal Theories,. Innanzitutto, contrariamente a quanto sostenuto da Anholt e Kalanthroff , le AT  non prevedono che nei pazienti ossessivi vi sia una maggiore propensione ai cosiddetti obsessional beliefs. Infatti, non è raro il caso di pazienti, ossessionati dalla contaminazione di specifiche sostanze, ad esempio, lo zucchero o alcuni insetti come i pidocchi, ma che  non provano disgusto per altri tipi di contatto che sono però citati nei questionari che misurano la propensione al disgusto. In questi casi non stupisce che la propensione al disgusto possa essere bassa pur essendo il timore di contaminazione il contenuto delle ossessioni e la ragione delle compulsioni.

Non solo, ma diversi esperimenti dimostrano, ad esempio, che lo scopo di prevenire una colpa è una condizione necessaria e sufficiente per avere sintomi ossessivi. Ciò rende superfluo il ricorso a eventuali deficit come spiegazione del DOC. Inoltre, le ricerche sui deficit nel DOC hanno portato a risultati contraddittori, senza contare che spesso ciò che potrebbe apparire come conseguenza di un deficit in realtà è conseguenza degli stati mentali del paziente, ad esempio le funzioni esecutive possono essere disturbate dallo scopo, tipicamente ossessivo, di evitare errori, infatti, la performance dei pazienti scade se si mette loro fretta.

Altro esempio ben noto riguarda il presunto deficit di memoria. Un numero consistente di esperimenti ha dimostrato che nei pazienti ossessivi, ma anche in soggetti non clinici, se si attiva una forte motivazione a prevenire colpe connesse a mancati controlli o a performance scadenti, ne consegue una tendenza alla ripetizione che a sua volta implica sfiducia nel proprio ricordo, pur essendo il ricordo valido. È più corretto, quindi, parlare di valutazione della propria memoria che di deficit di memoria. Abbiamo un esempio quindi di come performance che possono apparire conseguenza di un deficit siano, a volte, conseguenza di scopi e rappresentazioni del paziente.

Il fatto che nel DOC le AT appaiano, allo stato attuale delle conoscenze, più euristiche delle Deficit Theories, non implica che per altri disturbi debba essere lo stesso. Ad esempio per spiegare l’autismo, sembra necessaria e sufficiente una teoria del deficit.  Nemmeno va sottovalutata la possibilità che, in alcuni disturbi, siano necessarie entrambe le spiegazioni e che nessuna delle due, da sola, sia sufficiente. Ma in questo caso, è indispensabile mostrare come deficit e contenuti interagiscono,  mentre sarebbe ingenuo contentarsi di identificare qualche correlazione e qualche mediazione statistica lasciando oscuri i processi psicologici della interazione fra deficit e contenuti.

 

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BIBLIOGRAFIA:

  • Anholt, G.E., & Kalanthroff, E. (2014). Do we need a cognitive theory for obsessive-compulsive disorder? Clinical Neuropsychiatry, 11 (6), 194-196. DOWNLOAD
  • Mancini, F., & Barcaccia, B. (2014). Do we need a cognitive theory of obsessive-compulsive disorder? Yes, we do. Clinical Neuropsychiatry, 11(6), 197-203. DOWNLOAD
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Francesco Mancini
Francesco Mancini

Medico chirurgo, Specialista in Neuropsichiatria Infantile e Psicoterapeuta Cognitivista

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