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Stress lavoro-correlato nei knowledge workers

Lo stress lavoro correlato nelle organizzazioni ad alta intensità di conoscenza si può prevenire con corsi di rilassamento o programmi specifici preventivi

Di Pantaleo Monterisi

Pubblicato il 17 Dic. 2014

 

L’obiettivo principale di questo articolo consiste nell’ individuazione delle opzioni organizzative in grado di prevenire lo stress legato alle organizzazioni ad alta intensità di conoscenza.

Introduzione

Nel contesto lavorativo contemporaneo, continuamente soggetto a modificazioni e caratterizzato da importanti processi quali la globalizzazione, la mobilità, la precarietà e la flessibilità occupazionale, la psicologia del lavoro e delle organizzazioni gioca un ruolo cruciale nella progettazione di interventi mirati alla promozione della salute e del benessere dei lavoratori. Tra i rischi psicosociali che scaturiscono dal panorama appena accennato, lo Stress Lavoro-Correlato (SLC) costituisce una delle maggiori conseguenze da prendere in considerazione. Nonostante esso riguardi tutte le tipologie di lavoro, indipendentemente «dalla dimensione dell’azienda, dal campo di attività, dal tipo di contratto o di rapporto di lavoro» (Accordo europeo sullo stress sul lavoro, 2004), pochi sono stati gli studi che si sono focalizzati sulla manifestazione di questo fenomeno nei cosiddetti knowledge workers.
Comunemente tradotta in lingua italiana come «lavoratori della conoscenza», la suddetta espressione indica quella categoria di ruoli professionali che non producono beni o oggetti, ma informazioni. Tale categoria comprende professioni collegate con le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, i consulenti, i docenti, gli avvocati, gli scienziati, in genere ruoli che in un determinato contesto operano e comunicano principalmente con la conoscenza.
L’obiettivo principale di questo articolo consiste nell’individuazione delle opzioni organizzative in grado di prevenire lo stress legato alle organizzazioni ad alta intensità di conoscenza. Si tratterà delle organizzazioni che Alvesson (1995, citato da Ipsen & Jensen, 2012) ha definito di conoscenza “pura”, ossia in cui gli individui stessi rappresentano i fruitori e i promotori della stessa (università, studi legali, società di consulenza ecc.).

1. Le caratteristiche del lavoro della conoscenza

Dato che la letteratura non è molto ricca sull’argomento, innanzitutto occorre inquadrare le caratteristiche dell’ambiente psicosociale delle organizzazioni in questione. Il lavoro di Ipsen e Jensen (2012) fornisce un prezioso contributo sulla determinazione di informazioni sul lavoro della conoscenza. Nonostante il loro studio sia mirato unicamente ad aziende di consulenza, può essere considerato come un interessante punto di partenza per studi futuri su questo campo. Attraverso interviste semi-strutturate e aperte è emerso che i lavoratori della conoscenza lavorano autonomamente, ma al contempo cooperano con i clienti e i colleghi per risolvere compiti specifici, al fine di sviluppare prodotti della conoscenza nuovi e accettabili. La stretta interazione con gli altri costituisce continuamente compiti nuovi, unici e complessi per affrontare e fornire nuove soluzioni. La conoscenza di ognuno è a disposizione di tutti, nel senso che ognuno condivide volentieri il proprio sapere con altri.
In altre parole, un’organizzazione ad alta intensità di conoscenza, fa affidamento sul capitale intellettuale al fine di soddisfare le richieste dei clienti e del mercato. Per questo motivo tali organizzazioni reclutano individui altamente competenti e il fattore umano rappresenta l’elemento centrale. In pratica la conoscenza è frutto di collaborazioni fra i lavoratori, di condivisione di saperi, di esperienze, di consigli, di rielaborazioni, di soluzioni, e il prodotto è rappresentato dalla professionalità di ogni individuo che partecipa al progetto o al task assegnato.

2. Lo stress lavoro-correlato nel lavoro della conoscenza

Una volta delineato un panorama generale dell’ambiente che caratterizza le organizzazioni ad alta intensità di conoscenza, bisognerebbe individuare le cause organizzative dei problemi di stress lavoro-correlato. In linea generale, l’ISPESL (2010), nel manuale in cui suggerisce una proposta metodologica sulla valutazione dello stress lavoro-correlato, fornisce una descrizione dettagliata delle caratteristiche del lavoro e delle condizioni che possono condurle a rappresentare dei fattori di rischio psicosociali per l’individuo e le organizzazioni stesse. I fattori stressogeni sono stati divisi in due grandi categorie: quelli relativi al contesto lavorativo (la cultura organizzativa, il ruolo nell’organizzazione, lo sviluppo di carriera, l’autonomia decisionale/controllo, le relazioni interpersonali e l’interfaccia famiglia/lavoro) e quelli relativi al contenuto del lavoro (ambiente di lavoro e attrezzature, pianificazione dei compiti, carico/ritmi di lavoro e orario di lavoro). Facendo riferimento alle suddette indicazioni, si possono confrontare i dati raccolti da Ipsen e Jensen (2012) con i fattori stressogeni:

Cultura organizzativa: è emerso che le pratiche aziendali relative alla gestione del disagio psicosociale sono pressoché assenti; i lavoratori gestiscono le loro situazioni problematiche attuando strategie di coping personali; in altre parole, essi risolvono i propri problemi nel modo che ritengono migliore, concedendosi qualche giorno di assenza, decidendo di lavorare più lentamente o velocemente, o confidandosi con i colleghi. L’imprevedibilità dei compiti e dei clienti, che inizialmente è stata ritenuta un grande incentivo, al tempo stesso è stata considerata causa di stress, in quanto aveva un effetto sulle prestazioni personali e sullo stipendio.
Ruolo nell’organizzazione: l’organizzazione è caratterizzata da un decentramento incorporato in una organizzazione a matrice. La vasta rete prevede un mercato interno e informale per lo scambio di competenze personali, in cui i dipendenti possono partecipare a vari progetti; mantenere questa rete costituisce così una parte centrale del lavoro.
Sviluppo di carriera: dall’ analisi è emerso inoltre che gli incentivi materiali (come il salario o i bonus) giocano un ruolo minore. Maggior importanza viene attribuita agli incentivi culturali (i valori, il prestigio o la reputazione). Nonostante la volontà di condividere la conoscenza e il riconoscimento della sua posizione centrale, i tipici sistemi di ricompensa hanno un focus esplicito sulla performance del singolo in termini di vendite e ore di produzione. Attività e processi interni, come la condivisione della conoscenza e lo sviluppo di nuovi concetti, non sono ricompensati con incentivi materiali, e lo stipendio di un individuo è legato al livello del task assegnato.
Autonomia decisionale/controllo: molto spesso i lavoratori sono tenuti a cercare autonomamente le informazioni necessarie e più adeguate. Pertanto, i dipendenti hanno un interesse comune a un pool di conoscenze che è a disposizione di tutti in caso di necessità. È stato anche chiarito che la conoscenza è condivisa volentieri e direttamente.
Relazioni interpersonali sul lavoro: la maggior parte delle volte non si tratta di un lavoro individuale, ma di un lavoro in team, in cui ogni individuo, direttamente o meno, contribuisce alla creazione del prodotto (la conoscenza) ovvero è parte del prodotto. Già in quest’ottica si potrebbero ipotizzare eventuali situazioni tipicamente stressogene, se ripetute costantemente. Per esempio, la psicologia sociale, per via dei suoi innumerevoli studi sulle dinamiche di gruppo, potrebbe fornire informazioni importanti riguardo alle potenziali situazioni di conflitto all’interno di un team di lavoro. È alta la probabilità di nascita di conflitti legati alle differenziazioni di ruolo, a diverse categorie di pensiero dei vari membri sullo stesso costrutto, alle modalità di comunicazione, alle attitudini o alla personalità dei membri.
Interfaccia famiglia lavoro: la maggior parte delle organizzazioni in questione forniscono vari servizi per i dipendenti: centri diurni per i bambini, mense, club, bar aziendali ecc. Vi è quindi la possibilità di effettuare una pausa pasto in luoghi adeguati, vi è un orario flessibile e la possibilità di svolgere un lavoro part-time verticale o orizzontale.
Ambiente di lavoro/attrezzature: in quanto alle condizioni fisiche del lavoro, o alla manutenzione e alla riparazione delle strutture, non sono state fatte domande, in quanto è stata prestata più attenzione al fattore umano.
Pianificazione dei compiti: in linea generale, i lavoratori intervistati credono di dover migliorare la loro capacità personale di pianificare il loro lavoro al fine di guadagnare più tempo, il che porterebbe ad una maggiore soddisfazione sul lavoro e a soluzioni migliori. In altre parole, hanno ritenuto che sarebbe stata colpa loro se si fossero verificati eventuali problemi; vi è la credenza generale che i problemi siano causati dal singolo individuo.
Carico/ritmi di lavoro/ orari di lavoro: in primo luogo, gli intervistati ritengono che la quantità di incarichi non corrisponde con le risorse disponibili, in termini di denaro e di tempo. È stato espresso inoltre che non ci sono mai due incarichi o due giorni lavorativi uguali, non ci sono routine, ognuno è libero di lavorare ovunque (in casa, in sede, o presso i clienti), utilizzando qualsiasi metodo che ritiene opportuno secondo una scelta personale. Alcune interviste hanno dimostrato che i lavoratori ritengono il proprio lavoro stimolante e interessante, ma che può rivelarsi anche frustrante, poiché bisogna ad esempio mantenersi sempre aggiornati professionalmente.

Utilizzando lo Star Model di J. Galbraith (2002), Ipsen e Jensen (2012) hanno dimostrato che le condizioni organizzative, quali i sistemi di ricompensa, la strategia, la struttura e il flusso di informazioni hanno un’influenza sul flusso di conoscenze e le prestazioni di lavoro. I lavoratori intervistati hanno avvertito che l’essere abbandonati a loro stessi nel cercare le informazioni necessarie per svolgere al meglio il task assegnato, costituisce a volte una perdita di tempo e, qualora fallissero, il loro orgoglio professionale risulterebbe ferito. Gli intervistati hanno sottolineato ad esempio che la mancanza di accesso a nuove conoscenze provoca frustrazione, stress, e ripetizione di errori, anche perché non sempre è così facile confrontarsi con i colleghi. Un altro elemento importante è la mancanza di strutture di supporto che potrebbero prevenire vari problemi. Gli unici supporti presenti sono informali, focalizzati sull’aumento delle performance del singolo.

3. Alcuni suggerimenti per prevenire lo stress lavoro-correlato

Alla luce dei dati raccolti sui fattori organizzativi, si potrebbero avanzare dei suggerimenti utili per prevenire lo stress lavoro-correlato nei lavoratori della conoscenza.
Le aziende di consulenza prese in esame da Ipsen e Jensen (2012) si comportano come la maggior parte delle aziende, concentrandosi sull’individuo piuttosto che sulle variabili organizzative, attribuendo la “colpa” al singolo lavoratore e accantonando le responsabilità dell’organizzazione. Le ragioni di questa prospettiva sono molteplici, ma nella maggior parte dei casi si riconducono alla credenza, da parte della direzione, che i problemi di stress da lavoro siano causati dai lavoratori stessi e dalla loro incapacità di far fronte alle richieste di lavoro a cui sono soggetti. Per giunta, le organizzazioni reputano difficoltoso o, addirittura, controproducente, attuare dei cambiamenti, anche macroscopici, per gestire il problema in questione.

Come accennato in precedenza è emerso che le aziende in questione, in un certo senso, effettuano interventi di sostegno pressoché individuale, mirati soprattutto all’aumento delle capacità di coping dei lavoratori, ma si potrebbero integrare dei corsi di training, come quelli proposti da Murphy (2003, citato da Chandola, 2010), orientati al rilassamento, che si concentrerebbero sulla respirazione e sul calmare l’attività dei muscoli per scaricare la tensione; si potrebbero attuare dei programmi di intervento che si basano sull’aumento della capacità di gestione del tempo e di controllo della rabbia. Infine, sarebbe consigliabile l’implementazione di programmi che comprendono il trattamento terapeutico da uno specialista qualora necessario, o di semplice consulenza.
L’approccio individuale possiede il principale vantaggio della brevità nei tempi di esecuzione, che non comporta un’interruzione nella routine di lavoro, e si adatta facilmente alle esigenze dei singoli. Fra gli svantaggi, però, quello principale è rappresentato dall’impossibilità di agire sulle fonti stressogene.
Seguendo un approccio centrato sull’organizzazione e non sul singolo lavoratore, nelle organizzazioni ad alta intensità di conoscenza si potrebbe implementare un sistema che renda le attività meno frammentate e che gestisca la circolazione delle informazioni e/o che generi delle prescrizioni chiare e coerenti per facilitare i compiti dei lavoratori della conoscenza (evitando magari il sovraccarico o il sottocarico di lavoro). Sarebbe opportuno creare delle “squadre di azione” finalizzate all’individuazione dei problemi e alla loro soluzione, puntare al collettivo, cioè al gruppo di lavoro e agli aspetti collettivi; in questo modo si regola il carico di lavoro e si aiuta ciascuno a costruire la propria identità professionale. Lo studio inoltre dimostra che sia i dipendenti sia i manager sono consapevoli dei problemi del loro lavoro, e hanno anche un’idea delle loro cause e di possibili soluzioni. L’elemento paradossale è che queste opinioni relative ai problemi non sono condivise, perciò sarebbe possibile progettare dei nuovi modi di gestione del lavoro della conoscenza, in cui il fattore umano sarebbe integrato nel disegno organizzativo. Non si verificano mai delle occasioni di confronto fra lavoratori che occupano una posizione manageriale e i dipendenti, in cui si parli per esempio dei fattori che influenzano la qualità e l’efficienza del loro lavoro; perciò sarebbe auspicabile che venissero sviluppate regolarmente delle riunioni centrate su questo tema.

4. Conclusione

Nonostante la ricerca di Ipsen e Jensen (2012) presenti diversi limiti (il campione ridotto, o l’analisi effettuata in un contesto ristretto e specifico), il loro scopo consisteva semplicemente nel dimostrare quanto fosse importante il fenomeno dello stress lavoro-correlato nei lavoratori della conoscenza, dato che la maggior parte degli studi sono stati effettuati in altri ambienti (ad esempio nelle industrie). Sarebbe molto interessante prendere in esame, per esempio, altre imprese che si basano sul lavoro della conoscenza, anche se quest’ultima risulta essere “materializzata” in determinate tecnologie (per esempio nelle aziende high-tech o di biotecnologie). Bisogna sottolineare anche che lo studio in questione si è basato su aziende di una determinata area geografica, sarebbe necessaria una ricerca che prenda in considerazione un campione di aziende molto più ampio.
Alla luce di tutto ciò è evidente che la progettazione di interventi preventivi e correttivi del fenomeno SLC rappresenti un campo d’azione per la psicologia del lavoro e delle organizzazioni. La scarsità di studi sull’ambiente relativo ai lavori della conoscenza è un’opportunità da cogliere al volo per fornire nuove ricerche e analisi sulla manifestazione del fenomeno in questione.

 

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Pantaleo Monterisi

Laureando Magistrale in Psicologia delle Organizzazioni e dei Servizi

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