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Alfredo tra apatia e depressione – Centro di igiene Mentale – Cim n. 18

Come i liquidi non hanno una propria forma e prendono quella del recipiente che li contiene, Alfredo sentiva di non avere forma propria, desideri propri.

Di Roberto Lorenzini

Pubblicato il 09 Dic. 2014

Aggiornato il 15 Giu. 2015 10:40

CIM – CENTRO DI IGIENE MENTALE # 18 

Alfredo

Alfredo si presentava bene e chiedeva lui stesso di essere aiutato per una apatia esistenziale che temeva precipitasse in una depressione. Un paziente ideale, qualche colloquio, un tantino di serotonina in più tra le sinapsi e tante soddisfazioni e magari la bottiglia di whiskey a Natale. Alfredo da poco compiuti i 38 anni stava facendo bilanci ed i conti non tornavano.

I criteri che determinano l’assegnazione dei pazienti sono costante motivo di discussione e di attriti. In generale le norme che regolano il funzionamento degli ospedali e dei servizi pubblici si sono modellate negli anni sulle esigenze degli operatori piuttosto che su quelle dei pazienti. Vi sarete chiesti perché i ricoverati ricevono i pasti in ore inconsuete e le pulizie e le somministrazioni dei farmaci avvengono nei momenti più fastidiosi. E’ una questione di comodità dei turni di servizio.

Il nostro è un sistema centrato sugli operatori che ci passano la vita intera piuttosto che sugli utenti che lo utilizzano per breve tempo e dunque possono pure abbozzare. L’assegnazione dei casi non avviene, tranne che non si tratti di qualcosa di molto grave e specifico, dunque cercando di far combaciare il tipo di diagnosi con le competenze più specialistiche in quel campo o tenendo conto dell’età, del sesso o delle esplicite richieste del paziente che già conosce personalmente o di fama gli operatori del servizio. L’assegnazione è territoriale per limitare gli spostamenti e soprattutto per carico di lavoro secondo un sistema di vasi comunicanti per cui tutti abbiano più o meno lo stesso numero di pazienti.

Naturalmente ognuno ha il vissuto di essere quello che lavora di più e, spesso, anche meglio. Si tratta di bias cognitivi che fin quando si fermano all’autoinganno aiutano a vivere meglio preservando la propria autostima con il modesto prezzo di qualche battibecco. Quando si giunse all’assegnazione di Alfredo Bini Maria Filata reduce dal drammatico caso di Violetta, come psicologa, e Luigi Cortesi, liberatosi felicemente da Tommaso, come medico sapevano già che sarebbe toccato a loro. Nonostante una forte affinità di vedute non avevano lavorato spesso insieme. Si aggiunga che era un periodo in cui in molti colleghi mostravano i segni evidenti del burn out che sta a significare che stavano, per dirla tecnicamente, sbroccando. In ciò confermando la vulgata secondo la quale chi lavora coi matti un po’ già lo è ed un po’ lo diventa strada facendo.

Alfredo si presentava bene e chiedeva lui stesso di essere aiutato per una apatia esistenziale che temeva precipitasse in una depressione. Un paziente ideale, qualche colloquio, un tantino di serotonina in più tra le sinapsi e tante soddisfazioni e magari la bottiglia di whiskey a Natale. Alfredo da poco compiuti i 38 anni stava facendo bilanci ed i conti non tornavano.

Intorno al metro e settanta, non lo si poteva dire brutto quanto piuttosto anonimo. Consapevole di ciò aveva sviluppato una prorompente capacità relazionale ed un umorismo che lo rendevano simpatico a tutti. Per essere accettato aveva sviluppato una capacità quasi mimetica di cogliere ed adeguarsi alle esigenze altrui. Non si ricordava a memoria d’uomo una volta in cui avesse detto no. Il problema era proprio qui. Come i liquidi non hanno una propria forma e prendono quella del recipiente che li contiene, Alfredo sentiva di non avere una forma propria. Non sapeva più di chi fossero le aspirazioni e i desideri che gli pareva di avere. Non sapeva se la vita che aveva fatto finora fosse davvero la sua. Era terrorizzato dall’idea di invecchiare e morire prima di aver iniziato a vivere. Tanto bastava a Cortesi per frugare nella borsa alla ricerca del ricettario per prescrivere le pasticchette. Maria lo fermò poggiandogli la mano sinistra sul braccio destro. Prima voleva capire meglio perché quello che diceva Alfredo gli corrispondeva moltissimo. Poi se davvero c’erano delle pasticchette efficaci le avrebbe prese anche lei e sarebbero stati cavoli per tutti i figli Arturo e Lino e anche per il marito e l’anziana lagnosissima madre.

Alfredo era stato un bravissimo bambino ed un assennato ragazzo. Il padre Alessandro era stato carabiniere fedele alle regole quali che fossero. Avrebbe potuto essere un eroe della rivoluzione cubana a fianco del Che oppure un contabile della morte nei campi di sterminio nazista. La madre Agnese aveva dedicato la sua vita di casalinga all’unico figlio ed all’assistenza dei due anziani genitori fino alla morte due anni prima. Aveva appena sistemato il vecchio padre alcolista nello stesso loculo della madre che lo aveva preceduto di sei mesi che toccò a lei. Una toccatina, come si diceva un tempo, le aveva offeso il braccio e la gamba sinistra e la parola. Con ciò non aveva rinunciato a parlare a dare consigli e giudizi sul mondo intero, aveva reso solo tutto più faticoso. Si aspettava o più precisamente pretendeva di essere destinataria delle stesse cure che lei aveva dedicato ai suoi genitori. Aveva dato l’esempio e stava ad Alfredo seguirlo.

Con il diploma a pieni voti del liceo scientifico si era iscritto ad ingegneria dove aveva iniziato a perdere colpi. Nel frattempo morti i nonni si erano trasferiti nella loro casa di Monticelli per risparmiare l’affitto della casa di Roma. Alfredo aveva iniziato a fare il pendolare ed anche l’integrazione con i coetanei del paese, più ruspanti e ruvidi dei suoi ex amici romani era stato difficoltoso. Tutto questo bastava a giustificare un po’ di ritardo negli esami, ma solo un pò. Quando Alfredo chiese ai genitori i soldi per iscriversi al terzo fuori corso vide nei loro occhi la delusione e il mondo gli crollò addosso. Non era stato un bravo figlio.

Sempre appresso a mille ragazze non aveva ancora una fidanzata ufficiale con cui dar loro, presto finché erano in grado di goderseli, dei nipotini. Per mantenersi agli studi aveva iniziato a lavorare con una cooperativa di servizi informatici. Quando la laurea arrivò era talmente in ritardo che fu passata sotto silenzio per la vergogna. Si sentiva un completo fallimento e avvertiva di non aver più tempo per recuperare. Figlio unico, con lui la famiglia si sarebbe estinta nel modo più misero immaginabile con un uomo che non valeva nulla ed era passato su questa terra senza lasciare traccia. Essere ricordato e lasciare un segno era diventato per lui una vera e propria ossessione.

Quando iniziò a fidarsi di Maria e Luigi raccontò loro i suoi piani. Ipotizzava di farsi esplodere durante un incontro dei G8 per trascinare con sé Putin e Obama dando così inizio ad un nuovo ordine mondiale. Stava mettendo a punto un progetto per il salvataggio di una ristretta cerchia di persone da far rifugiare nelle viscere della terra mentre la superficie sarebbe stata distrutta con ordigni nucleari a breve emivita per poi essere ripopolata dagli eletti da lui scelti. Il dottor Cortesi gli fece notare che già con Noe il progetto non era stato risolutivo nel mentre che cambiava parere sul tipo di farmaco da usare. Ancora una volta Maria lo trattenne perché non saltasse alle conclusioni. Non meno allarmante era il progetto di offrirsi su internet gratuitamente come donatore di sperma in contenitori da spedire o da consegnare direttamente a domicilio sul luogo d’utilizzo e dunque a chilometri zero. Voleva in tutti i modi dare una discendenza ai genitori e un senso alle estenuanti nottate passate sui siti porno.

Decisero di consigliarsi con Biagioli perché il caso che prometteva solo facili soddisfazioni sembrava complicarsi ogni giorno e presentare rischi di agiti. Accomodatisi nella sua stanza aspettarono oltre mezz’ora che la affannata telefonata terminasse e rivolgesse loro l’attenzione ma poi uscirono convinti di doversela cavare da soli. Era assente. Chiesero in giro cosa fosse successo al capo in genere sempre così attento e disponibile. Irati con un sorrisetto ironico li invitò a fare due più due guardando il registro delle assenze. L’infermiera Luisa Tigli aveva mandato un certificato di malattia per gravidanza a rischio. Mai fidarsi dell’età (Luisa aveva ormai quasi 44anni) e provate ad immaginare quale può essere il rischio in oggetto, aggiunse beffardo Irati che di gravidanze indesiderate era un esperto essendo state causa di due dei suoi tre matrimoni.

Biagioli e Alfredo erano accomunati dall’ossessione di avere un figlio sebbene per motivi diametralmente opposti. Le colleghe del CIM, al di là delle simpatie e antipatie quotidiane, si strinsero intorno a Lucia che viveva una situazione particolarmente imbarazzante. Infatti il marito che sospettava da anni aveva sempre evitato di andare a vedere le carte. Gli bastava non essere messo di fronte all’evidenza. Teneva di più all’immagine sociale che all’amore di Lucia che sentiva spento da tempo, se mai era stato acceso. Il problema era che la gravidanza era entrata nel terzo mese e lui nei sei mesi precedenti era stato in Kuwait per una commessa che la sua azienda aveva vinto laggiù. Cortesi che si divertiva a intrecciare mentalmente le storie delle persone pensò che Alfredo si sarebbe potuto assumere orgogliosamente la paternità del nascituro. Luisa avrebbe potuto confessare al marito una debolezza transitoria passando un po’ per puttana ma solo un pò. Cosa certamente meno grave e umiliante per il marito di una relazione decennale con il capo. Il rinomato cornuto l’avrebbe perdonata per il bene dei piccoli Anna di 10 anni e del piccolo Andrea di soli 8 anni sempre più somigliante a Carlo che era stato il suo padrino di battesimo e lo ricopriva per questo di attenzioni e regali. Non sopportava la sproporzione di privilegi tra i suoi legittimi ed il piccolo Andrea.

La dottoressa Filata sempre più convinta del grave burn out del collega lo minacciò perchè non parlasse con nessuno, e tanto meno con Alfredo, di questa sua fantasia malata. Il cessare della pioggia aveva spinto gli ultimi tre fumatori del CIM a scendere nel cortile per la sigaretta di mezza mattina. Quando videro la faccia stravolta dell’ingegnere Tigli alla guida della BMW che parcheggiava scompostamente pensarono di avvertire i colleghi dell’ospite inaspettato. La maggior parte preferirono chiudersi nelle stanze, solo Gilda e Irati indugiarono nel corridoio per godersi lo spettacolo. Brugnoli grande amico di Carlo andò incontro all’ingegnere e poi corse a dare l’annuncio a tutti. Luisa aveva mandato un ulteriore certificato, sarebbe stata assente ancora venti giorni per via di una interruzione spontanea di gravidanza. La tensione scese rapidamente, Carlo diede consigli e indicazioni sulla gestione di Alfredo che non cessava di preoccupare Maria e Luigi e nel giro di 15 giorni anche lo strascico ironico alimentato da Irati ancor più invidioso della fortuna che sembrava assistere Biagioli e trascurare lui, cessò. 

Il bisogno di riconoscimento di Alfredo andava preso sul serio perchè non sfociasse in qualche gesto clamoroso. Non avrebbe di certo aiutato un trattamento sanitario obbligatorio con conseguente pesante terapia farmacologica come proponeva Cortesi che aveva trovato nella Mattaccini un solido alleato interventista. Maria Filata frugava tra i ricordi sfilacciati dell’infanzia con la stessa frenesia dell’artificiere classico dei film che deve scegliere quale filo tagliare mentre il timer del detonatore corre verso lo 00.00.00 e l’esplosione, alla ricerca delle origini forse traumatiche della voragine nell’autostima. Ripercorreva su e giù la sua esistenza passata e le settimane attuali alla ricerca di sostegni per un valore personale che prescindesse dal riconoscimento altrui. Gli faceva tenere un diario dove annotare tutte le cose per cui poteva dirsi bravo al termine della giornata. Cercava di differenziare le attese dei genitori su di lui da quelle sue sulla propria vita. Su un piano di realtà e con il contributo creativo di Brugnoli cercavano di trovare attività lavorative più adeguate alle sue aspettative.

La sua esperienza di hacker gli procurò una serie di incarichi da numerose aziende e istituzioni dello stato. Doveva tentare di forzare i sistemi di sicurezza informatica per evidenziarne le falle. Il padre carabiniere sarebbe inorgoglito sapendolo al lavoro con alcuni reparti specializzatissimi per il controllo dello spionaggio elettronico. Lui moriva dalla voglia e di strappare quell’apprezzamento per cui aveva sempre lottato. Gli ordini però erano tassativo: segretezza assoluta su tutte le attività anche con i parenti più stretti. Gli incontri al CIM divennero sempre più saltuari e difficilmente programmabili. Alfredo stava fuori per mesi partendo improvvisamente. Si scusava con i curanti ma non poteva spiegare di più. Una lunga lettera cartacea ringraziava Il CIM ed in particolare Filata. Cortesi e Brugnoli per quanto fatto assicurando sul suo attuale stato di salute che definiva ottimo e pienamente soddisfacente. Poi non si seppe più nulla. Altamura Probabilmente fu proprio questa così inconsueta lettera di ringraziamenti ad innescare il caso i più difficile gestione che il CIM avesse mai affrontato fino ad allora.

Biagioli inorgoglito da tale riconoscimento ne mandò una copia per conoscenza al direttore della ASL di Vontano il dottor Francesco Altamura. Sperava in un giudizio che superasse lo striminzito in linea con le attese con cui ogni anno veniva liquidata la pratica di valutazione di Biagioli. Già psichiatra a sua volta e promotore dello sviluppo della psichiatria territoriale nata dalla riforma Basaglia, aveva rinnegato le sue radici ideologiche e si mostrava particolarmente insensibile verso quel mondo che era stato il suo. Si ricorderà che il dottor Francesco Altamura aveva sempre lavorato in provincia di Vontano sia nel dipartimento di salute mentale, sia privatamente, sia come consulente di case di cura private, accusato per ciò di conflitto di interessi. Quando era stato chiamato al ruolo politico di direttore generale aveva cessato ogni attività clinica dopo la disgrazia che lo aveva colpito e aveva occupato le prime pagine dei giornali locali. La moglie Armida, una collega di sei anni più giovane, si era impiccata nella cantina della loro villetta la notte di Natale non appena gli amici avevano lasciato soli Armida e Francesco. Come accade spesso in provincia erano girate mille voci rinforzate dalla precipitazione con cui venne effettuata la cremazione rendendo impossibile l’autopsia e l’accertamento del presunto tumore inoperabile di cui nessuno sapeva che, secondo Altamura, poteva aver spinto la moglie al gesto estremo. Che fosse stata la depressione per la perdita o l’enorme eredità che rendeva superfluo l’impegno lavorativo, sta di fatto che Altamura, ancora uomo attivo e piacente, si era ritirato nella villa di campagna fino alla chiamata al vertice della ASL. L’esercizio del potere era la cosa che da sempre più lo attirava.

Con Biagioli sussisteva una reciproca non celata antipatia che si esprimeva ogni anno in quella striminzita valutazione in linea con le attese. Che Altamura mandasse due ispezioni (una amministrativa ed una clinico- sanitaria) al CIM in soli tre mesi era procedura inconsueta ancorchè legittima. La costosa bonifica da possibili cimici ordinata per tutti gli uffici della sede centrale di Vontano ripetuta mensilmente venne considerata una stranezza da vecchio psichiatra. Al precoce indementimento fu attribuita la richiesta di una macchina blindata in un periodo in cui scarseggiava anche la carta ed il toner per le fotocopiatrici. Quando però Altamura chiese alla diagnostica per immagini la terza risonanza magnetica total body convinto che delle microspie molecolari fossero state introdotte nei suoi organi interni e soprattuto nel cervello, il primario dr. Ennio Fraticello pensò doveroso avvertire Biagioli.

Precedette di tre giorni la visita della signora Livia, la nuova compagna di Altamura allarmata dai comportamenti del suo Francesco che aveva fatto istallare telecamere in tutto il parco della villa dove abitavano e, ancora peggio, aveva montato un metal detector nascosto nello stipite della porta di casa. Si mostrava diffidente nei confronti dei loro vecchi amici e rifiutava dichiaratamente ogni contatto sessuale sostenendo di sentirsi invaso. Biagioli fece un attimo fatica ad allontanare dei pensieri intrusivi. Era un vero peccato che Livia la splendida architetto quarantenne che si era accompagnata con il 66enne vedovo dottor Altamura per la sua enorme ricchezza rimanesse trascurata e insoddisfatta. Quando iniziò a pensare operativamente a come porvi rimedio gli tornò in mente il recente aborto di Luisa e l’immagine delle sue due mogli e dei tre figli.

Tornò a concentrarsi sul caso che si presentava indubbiamente delicatissimo per la gravità della diagnosi e il ruolo e la storia del paziente che ovviamente non sapeva e non avrebbe voluto esserlo. Decise che anche questa volta la chiarezza fosse la strada migliore. Chiamò la segreteria della direzione generale e fissò un appuntamento dichiarando questioni personali alla richiesta dell’oggetto del colloquio. Altamura lo aveva sempre messo in soggezione per il fare arrogante di chi è abituato al potere da generazioni che la giovanile militanza nell’ultrasinistra non aveva affatto intaccato. Il suo narcisismo sostenuto comunque da grandi capacità lo faceva esaltare dai pazienti quanto lo rendeva antipatico a Biagioli.

Nel tempo in cui aveva lavorato nel dipartimento di salute mentale si erano fatti la guerra. La cordialità estrema con cui accolse Biagioli chiamandolo per nome e abbracciandolo aumentarono la sua sospettosità (si chiese se il paranoico non fosse lui?). L’imbarazzo su come introdurre l’argomento della sua salute mentale (aveva pensato: sai…in parecchi mi hanno detto… e anche Livia …da qualche tempo…… quindi ho pensato di venirti a trovare) fu superato dall’attacco deciso di Altamura. Lo ringraziò per avergli mandato con la scusa della valutazione annuale quella lettera di un certo Alfredo Bini (guarda caso, fece notare, lo stesso cognome dell’inventore dell’elettroshock: un preciso avvertimento) che era manifestamente un agente dei servizi segreti mettendolo definitivamente sull’avviso per il complotto che da alcuni anni lo minacciava.

I suoi sospetti erano suffragati da mille indizi ma una prova inconfutabile non l’aveva e in ciò si rivelava tutta la diabolicità del piano. Non lo avrebbero fatto fuori direttamente ma avrebbero fatto credere che fosse diventato matto (vedi l’accenno all’elettroshock) proprio lui che aveva passato una vita a curarli. Riaperta l’inchiesta sulla morte della povera Armida sarebbe finito, innocente, in manicomio criminale e con l’interdizione tutta la sua enorme fortuna sarebbe andata a Livia che infatti un anno prima aveva insistito per sposarlo in gran segreto con rito civile a Cosenza durante una breve vacanza a casa dei suoi. Altamura sospettava che a capo del complotto fosse proprio l’avvocato penalista Paternesi padre di Livia con conoscenze altolocate e pessime frequentazioni il che spesso era equivalente. La stessa Livia forse era uno strumento inconsapevole nella mani del padre. Forse la richiesta di sposarsi era stata sincera ma indotta dal padre.

Da quel momento poi tutti i domestici che avevano assunto e tutti i pazienti che affollavano il suo studio altro non erano che attori mandati per coglierlo in fragrante e dimostrare che era pazzo. Quando guardava l’orologio segnava sempre lo stesso numero per ore e minuti ad esempio le 12,12 o le 9,09 o le 23,23. il doppio messaggio era: sei sempre sotto controllo e la tua ora è giunta. Una vistosa mora venticinquenne, guarda caso dall’inconfondibile accento calabrese, era venuta a studio e lamentando una anorgasmia si era tolta in un attimo gonna e slip invitando Altamura a verificare lui stesso che si era trattenuto avendo visto un bottone della camicetta troppo brillante per non essere l’obiettivo di una telecamera. Dal concessionario mercedes aveva avuto in regalo un sevizio di assistenza gratuito e frequente che chiaramente serviva per sostituire le batterie a telecamere e cimici che lo spiavano giorno e notte. Anche la cucina di Livia era cambiata. Con la scusa della dieta la pastasciutta aveva lasciato il campo a cus cus, orzo e altri legumi che si prestavano ad essere portatori di strumenti per controllarlo anche dall’interno e forse inoculargli sostanze che lo rendevano diverso: non era più quello di un tempo e per questo faceva molti controlli medici e radiografici.

I dirigenti aziendali gli chiedevano incontri e riunioni proprio nelle ore in cui aveva già altri impegni(il che dimostrava che la sua agenda era sotto osservazione) per renderlo inadempiente al suo ruolo. Livia dal canto suo gli chiedeva sempre maggiori prestazioni sessuali per sottolineare la differenza di età e giustificarsi quando lo avrebbe abbandonato. Il nuovo giardiniere, anch’egli calabrese, aveva potato l’oleandro cresciuto nell’angolo del giardino dove erano state sparse le ceneri di Armida. Voleva probabilmente dimostrare la presenza di più di un DNA per accusarlo di omicidio plurimo. Alfredo Bini era stato il penultimo avvertimento. L’ultimo era lo stesso Biagioli che veniva a completare il piano decretandone la follia, la necessità di internamento e di interdizione. Durante tutto il lungo monologo di Altamura Biagioli si era progressivamente incupito.

Quella che aveva di fronte era una rogna galattica. Finito di ascoltare scrisse su un foglio tutti i sintomi che aveva rilevato e girò il foglio perché Altamura lo potesse leggere e gli chiese se concordava sulla loro presenza e quale diagnosi ne deduceva. Quando l’altro riprese dicendo che nel suo caso le cose stavano proprio così aggiunse in basso sul foglio mancata consapevolezza di malattia e lo salutò dicendo che se fosse stato in lui si sarebbe preso dei neurolettici per confermare o smentire la diagnosi ex adiuvantibus e che comunque restava a sua completa disposizione. Aveva bisogno di condividere la responsabilità delle decisioni da prendere. Sul cellulare lo raggiunse Livia che voleva sapere come era andata e lo invitava a passare per pranzo. Di nuovo l’immagine dei figli ed un no seguito da generiche rassicurazioni. Correttezza voleva che ne parlasse col dottor Rodolfo Torre direttore del DSM e suo diretto superiore. Sapeva che lo avrebbe trovato da Don Martino al santuario di Monte Beccai dove trascorreva giornate intere dopo che l’allieva ventitrenne Viola gli aveva comunicato di non avere alcuna intenzione di interrompere la gravidanza frutto della sua crisi di sessantenne che mal avrebbero giustificato la sua cattolicissima e perbenista famiglia con moglie e due figli ormai alla soglia della laurea in medicina. Informato si mise le mani nei capelli e borbottò alcune bestemmie che allontanarono Don Martino. Poi con una risolutezza che non gli era propria e negando tutte le regole che aveva sempre sostenuto disse che bisognava prendere accordi con Livia, poteva farlo anche lui, per somministrargli di nascosto dei farmaci.

Il giorno successivo le consultazioni si allargarono al CIM. Irati e Brugnoli sostenevano bisognasse cercare persone da lui riconosciute autorevoli che lo convincessero a curarsi. Mattaccini, Gilda e Cortesi erano d’accordo con Torre per la somministrazione di nascosto. Solo Luisa e la dottoressa filata concordavano con lui sull’opportunità di un TSO. E già si pensava a chi sarebbe toccato l’ingrato compito. La decisione non sembrava urgente e fu rimandata al successivo lunedì durante la riunione generale cui sarebbe stato invitato anche il dr. Torre.

Biagioli però temeva che il sentirsi sempre più accerchiato o, al contrario, una improvvisa consapevolezza avrebbe potuto gettare Altamura nello sconforto e spingerlo al suicidio. Si premurò dunque di avvertire Livia che lo tenesse sotto controllo e ne indagasse per quanto discretamente le intenzioni. Il CIM era già chiuso e Biagioli rincasato quando lo raggiunse la telefonata di Livia per rassicurarlo. Francesco le aveva appena giurato che non l’avrebbe mai lasciata sola. Chiamò immediatamente Ruffi, il capitano dei carabinieri con cui aveva un ottimo rapporto e a sirena spiegata tra le curve di montagna nella notte inchiodarono sbandando sul brecciolino di Villa Altamura meno di venticinque minuti dopo. L’ambulanza partita quasi in contemporanea tardò altri venti minuti. Quando Biagioli vide Livia vomitò succhi gastrici e i due caffè del pomeriggio. La avvolse amorevolmente con un copridivano orientale. Voleva proteggere la sua statuaria bellezza mediterranea nuda dagli sguardi indiscreti del personale sanitario, forze dell’ordine e giornalisti che avrebbero riempito la casa. Altamura era in bagno con ferite da taglio poco profonde sull’addome. Prima di andare nel suo SPDC avrebbe dovuto essere suturato in pronto soccorso. Saputa la notizia Torre mandò a chiedere perchè non avessero seguito il suo consiglio.

 

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