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Contesti di emergenza: la fiducia verso l’altro è funzionale!

Psicologia: Gli studi dimostrano che nelle situazioni di emergenza si coinvolgono persone di cui ci si fida anche se non rientrano nel piano di emergenza

Di Redazione

Pubblicato il 15 Dic. 2014

Marco Pontalti

 

La fiducia verso l’altro è funzionale in contesti di emergenza? Il fatto che certe persone siano state coinvolte senza che il piano di emergenza lo abbia previsto, e pertanto ne abbiano avuto il permesso, è stato oggetto di interesse per alcuni studiosi svedesi (Uhr et al., 2008).

Stiamo assistendo in questi ultimi mesi ai vari dissesti idrologici che stanno duramente colpendo molte zone del territorio italiano: alluvioni, frane, smottamenti. Così come accade ad ogni situazione di calamità, il piano di emergenza è l’abbecedario che permette alle autorità competenti, radunatisi in una sala operativa, di fornire le istruzioni alle unità di soccorso al fine di intervenire in maniera coordinata ed operativa alla tutela della popolazione coinvolta e dei beni sul territorio colpito. Per esempio, il Sindaco di un comune colpito da una frana è colui che prende in mano il comando ed il controllo cercando di dirigere e coordinare i servizi di assistenza e soccorso come quanto previsto dal piano. Pertanto il Sindaco dovrà seguire le istruzioni, coinvolgendo i diversi organismi, come la Protezione Civile, i Vigili del Fuoco, il Pronto Soccorso, etc.

Alcuni studiosi hanno notato che nelle situazioni di emergenza, pur in presenza di un piano in cui sono definiti ruoli e responsabilità, si possono osservare delle differenze tra quanto previsto nel piano stesso e quanto effettivamente messo in atto (Mendonça 2006; Santoianni, 2007; Uhr et al., 2008). Potrebbe accadere che invece di coinvolgere il responsabile di un’unità di soccorso, il Sindaco senta per primo il consigliere comunale, che il soccorritore chiami un suo amico per aiutarlo in un’operazione di recupero, che un capo volontario raccolga informazioni sulla situazione dal suo collega piuttosto che dal suo diretto responsabile. Queste deviazioni potrebbero apparire all’occhio del lettore come sintomi di disorganizzazione che possono causare rallentamenti e disordine nella regolare attuazione del piano di emergenza.

Il fatto che certe persone siano state coinvolte senza che il piano di emergenza lo abbia previsto, e pertanto ne abbiano avuto il permesso, è stato oggetto di interesse per alcuni studiosi svedesi (Uhr et al., 2008). Attraverso il metodo di analisi della social network (é una metodologia di analisi di reti sociali che, attraverso strumenti di rilevazione come questionari, consiste nell’individuazione di nodi che rappresentano i singoli individui di una rete, e di frecce/linee le quali raffigurano le relazioni tra gli stessi)(Wasserman & Faust, 1999), hanno cercato di comprendere se sono state chiamate perché legate da un rapporto di reciproca conoscenza e fiducia.

Riferendosi al caso di un grave incidente industriale accaduto nel febbraio del 2005 vicino a Helsingborg, gli stessi si sono dapprima documentati sull’ evento accaduto, sulle organizzazioni e sulle persone coinvolte. Successivamente hanno somministrato agli operatori un questionario per ottenere informazioni circa il loro ruolo, i tempi di inizio e conclusione del loro intervento oltreché le risposte ai tre quesiti:

“Chi hai contattato durante l’emergenza?”

– Il quesito cerca di misurare il fattore contact ossia quante volte una persona è stata contattata e chi, oltre agli intervistati, è stato coinvolto. La risposta a questo quesito, combinata con il ruolo dell’operatore intervistato, consentirebbe di identificare gli addetti ai soccorsi distinguendoli da quelli non rientranti nel piano di emergenza.

“Chi tra questi sono stati i più importanti per svolgere le tue operazioni?”

– Il quesito misura su una scala da 0 a 3 il fattore importance, ossia quanto le persone contattate sarebbero state importanti per portare avanti e a termine il proprio intervento. La risposta consentirebbe di individuare se un soggetto contattato sia stato o meno funzionale per lo svolgimento dei propri compiti.

“Chi e quanto tra questi conoscevi prima di intervenire?”

– Il quesito misura il fattore friendship. La risposta, su una scala da 0 (non lo si conosce per nome) a 5 (è un amico di fiducia), cercava di valutare se l’ausilio delle persone si fosse basato anche su un rapporto di fiducia. Tale risposta consentirebbe di analizzare se i soggetti, importanti o meno, sono stati chiamati sulla base di un rapporto di reciproca conoscenza.

L’insieme di questi dati hanno consentito di ricostruire diverse social network analysis e di comprendere le dinamiche relazionali tra gli attori coinvolti. In generale gli studi sembrano mostrare che durante una situazione di emergenza, i soggetti tenderebbero a contattare le persone che risultano importanti nel perseguimento dei propri compiti, piuttosto che quelle previste nel piano di emergenza. Sembrerebbe anche che ad influenzare la tempestività dell’intervento da parte degli operatori sia il fattore fiducia: pare infatti che sul campo intervengano primariamente conoscenti o amici, coinvolti in quanto ritenuti funzionali alla finalizzazione del proprio intervento.

 Pertanto, la costellazione relazionale ed interpersonale sembra essere precostituita già prima che un evento si manifesti, influenzando potenzialmente il tipo di risposta all’emergenza e generando una deviazione o una strutturazione organizzativa non prevista. Questo permetterebbe la formazione di gruppi ad hoc, ovvero, adattati al contesto, altamente efficienti (Meyerson et al., 1996), promotori di cooperazione (Gambetta, 1988) e di comportamenti funzionali alla creazione di una solida rete interattiva (Miles & Snow, 1992). Con questo gli studiosi svedesi non intendono dire che i piani di emergenza siano inadeguati, restano dei capisaldi a cui fare riferimento per regolare in maniera strategica i ruoli, i mezzi e le procedure da attivare. Ritengono, invece, utile far presente che sussistono componenti sociali e psicologiche, la cui conoscenza e consapevolezza contribuirebbe ad una più efficace organizzazione dell’intervento in caso di emergenza.

Tornando all’esempio del Sindaco del Comune colpito da una frana: consulterà il piano di emergenza o in primis mobiliterà le risorse che già conosce e che sono a sua diretta disposizione? Di fronte alla necessità di rodare e aggiornare il piano di emergenza, preferirà formarsi e collaborare con esperti a lui sconosciuti o con persone della sua rete interpersonale?

 

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BIBLIOGRAFIA:

  • Mendonça, D., Beroggi, G. E. G., van Gent, D., & Wallace, W. A. (2006). Designing gaming simulations for the assessment of group decision support systems in emergency response. Safety Science, 44 (6), 523-535.
  • Santoianni, F. (2007). Protezione civile disaster management. Emergenza e soccorso: pianificazione e gestione. Firenze: Accursio Edizioni.  ACQUISTA ONLINE
  • Uhr, C., Johansson, H., & Fredholm L. (2008). Analysing emergency response systems. Journal of Contingencies and Crisis Management, 16 (2), 80-90.
  • Wasserman, S, & Faust, K. (1999). Social network analysis. Cambridge: Cambridge University Press.
  • Meyerson, D., Weick, K.E. and Kramer, R.M.Swift Trust and Temporary Groups (1996), Trust in Organizations: Frontiers of Theory and Research, Sage Publications, California.  ACQUISTA ONLINE
  • Miles, R.E. and Snow, C.C. (1992). Causes of Failure in Network Organisations, California Management Review, 34 (4), 53–72.  DOWNLOAD
  • Gambetta, D. (1988). Trust: making and breaking cooperative relations. New York:Basil Blackwell. DOWNLOAD 
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