expand_lessAPRI WIDGET

Mindfulness: al di là del pensiero, oltre il pensiero (2014) – Recensione

Il volume presenta un lavoro importante all'interno del panorama mindfulness: trattasi del manuale del protocollo MBCT- Mindfulness Based Cognitive Therapy.

Di Andrea Bassanini

Pubblicato il 12 Nov. 2014

Ad oggi, dopo circa dieci anni dalla pubblicazione della prima edizione del manuale, ci troviamo di fronte a un lavoro molto maturo, intellettualmente molto onesto che descrive non solo gli aspetti di tecnica e le procedure dell’MBCT bensì anche aspetti di cornice e di riferimento di più ampio respiro.

Il volume di Boringhieri presenta una lavoro molto importante all’interno del panorama mindfulness. Infatti, si tratta del manuale del protocollo MBCT – Mindfulness Based Cognitive Therapy, il protocollo basato sulla consapevolezza sviluppato da Segal e colleghi. Ad oggi, dopo circa dieci anni dalla pubblicazione della prima edizione del manuale, ci troviamo di fronte a un lavoro molto maturo, intellettualmente molto onesto che descrive non solo gli aspetti di tecnica e le procedure dell’MBCT bensì anche aspetti di cornice e di riferimento di più ampio respiro, che all’interno dei protocolli Mindfulness Based assumono a mantengono una posizione centrale.

Sfogliando le pagine del volume, circa 500, si ha subito la sensazione di quale sia l’intento degli autori, a partire dalla profonda e documentata introduzione alla edizione italiana di Fabio Giommi: che MBCT, e tutti i protocolli basati sulla cosiddetta Mindfulness altro non sono che una introduzione alla pratica di consapevolezza portata e adattata al contesto sanitario e clinico. 

In questa cornice, gli aspetti tecnici del protocollo, per quanto fondamentali e giustamente strutturati, vengono inseriti e descritti da praticanti e non da applicatori di tecniche. A proposito di ciò, nelle prima pagine, le parole degli autori sono chiare:

dieci anni dopo […] ci è ancora più chiaro di quanto lo fosse nel 2002 che quando usiamo l’espressione mindfulness-based non ci riferiamo solo al fatto che ciò che viene insegnato nelle sessioni o negli ambulatori è fondato sulla mindfulness, ma stiamo anche dicendo che il fondamento da cui sorgono le capacità e le competenze come istruttore è la pratica quotidiana di consapevolezza […] Ciò significa che gli istruttori di mindfulness sono praticanti di mindfulness nella propria vita quotidiana. Senza una pratica regolare e continuativa di meditazione di consapevolezza, qualunque cosa possa venire insegnata non è MBCT (pp. 18-19).

Il libro, nella sua edizione italiana, apre con una introduzione di Fabio Giommi che di per sé rappresenta un articolo scientifico, un manifesto teorico di riferimento, un’esperienza da istruttore e da praticante e un excursus storico sulla pratica di consapevolezza e sulla sua diffusione negli ambiti clinici, a partire dai lavori di Jon Kabat-Zinn dei primi anni ’80 fino ai recenti sviluppi dei cosiddetti MBIs (Mindfulness Based Intrventions).

Il cuore del libro, almeno in termini di corpus centrale del lavoro, è rappresentato dalla descrizione del protocollo MBCT per la prevenzione delle ricadute depressive.

Dopo alcuni capitoli teorici sul modello cognitivo della depressione, della ruminazione e della ricaduta depressiva, vengono descritti le otto sessioni (e la giornata di pratica intensiva) del protocollo MBCT. La giornata di pratica intensiva rappresenta la prima grande novità del protocollo nella sua versione 2.0, se così si può chiamare. Infatti, sebbene da sempre presente nel programma MBSR (Mindfulness Based Stress Reduction Program), a cui l’MBCT deve circa il 90% della sua strutturazione, per la prima volta anche nel protocollo MBCT viene prevista una giornata intensiva di pratica.

Tutte le otto sessioni previste dal protocollo MBCT sono descritte dagli autori in modo dettagliato e accompagnate da una enorme mole di materiale raccolto dalle condivisioni e delle interazioni con i partecipanti al protocollo. Il formato non é mai descrittivo, bensì utilizza uno stile narrativo e discorsivo che ben trasmette il cuore del protocollo, la pratica di consapevolezza per l’appunto.

Rispetto alla prima edizione del volume, sono stati inseriti diversi capitoli, molto importanti per comprendere in modo approfondito l’MBCT: tra questi, un capitolo sulla pratiche di gentilezza e autocompassione, riferite in modo critico e per nulla naïf, un capitolo sull’inquiry, la pratica di condivisione che viene svolta tra istruttore, partecipante e gruppo dopo la maggior parte della pratiche e degli esercizi del protocollo e aggiornamenti sugli ultimi dieci anni di ricerca empirica sul MBCT e sulla sua diffusione. 

Il volume di Segal e colleghi é sì un manuale di procedura, ma non come viene inteso classicamente dal mondo cognitivista: più come un manuale di procedure da presentare e
somministrare si tratta di un manuale che offre moltissime suggestioni e spunti di riflessione agli istruttori di protocolli Mindfulness e a chi é interessato ad avvicinarsi agli interventi Mindfulness Based. Quest’ultimo aspetto non sacrifica affatto la descrizione puntuale, sistematica e approfondita di ogni sessione del protocollo e di tutto il materiale, mutuato dalla psicoterapia cognitiva standard da cui gli autori provengono per formazione, utilizzato e condivido con i partecipanti ai gruppi MBCT.

Spesso si discute di quanto gli interventi basati sulla pratica di consapevolezza sia vicini o distanti dalla terapia cognitiva e quanto la Mindfulness nelle intenzioni di Kabat-Zinn in primis fosse differente da una tecnica da applicare o da una buona idea. La lettura del volume dei fondatori del protocollo MBCT, primo protocollo dedicato a una popolazione clinica psichiatrica a differenza dell’MBSR, permette di rispondere in modo chiaro a tutte le domande (che talvolta diventano solo confusioni) su tale annosa questione. Riprendendo le parole di Fabio Giommi:

la sperimentazione diretta della pratica di consapevolezza rappresenta la vera sostanza dell’MBSR così come degli altri interventi mindfulness-based generati da questa matrice. Al cuore e al centro dei protocolli sta l’intenzione di offrire un’introduzione alla meditazione di consapevolezza adatta ai contesti clinici e psicosociali (introduzione pp. XXVIII).

Ciò che i protocolli basati sulla pratica della Mindfulness condividono con il cognitivismo é rappresentato da diversi aspetti, definiti da Rebecca Crane e dal suo gruppo del Centre for Mindfulness dell’Università di Bangor in Galles.

Ciò che gli MBIs e il cognitivismo condividono sono i seguenti aspetti: una cornice teorica utile per comprendere la vulnerabilità psicologica e lo studio l’influenza della pratica di consapevolezza su di essa; il continuo incontro tra l’osservazione clinica, le ipotesi teoriche e la ricerca empirica e, infine, l’esplicitazione dei processi psicologici in atto, come ad esempio il processo della ruminazione depressiva. Ciò che nell’MBCT rimane invariato rispetto al programma MBSR é la cornice centrale, l’intenzione con cui si propone il percorso ai partecipanti. Per utilizzare le parole di Kabat-Zinn:

Poiché è probabile che in futuro l’interesse per la mindfulness e la sua applicazione a specifici disturbi affettivi continui a crescere, soprattutto all’interno della comunità dei terapeuti cognitivisti […] diventa di importanza cruciale che le persone che si avvicinano a questo campo con interesse professionale ed entusiasmo riconoscano l’aspetto peculiare e le caratteristiche distintive della mindfulness in quanto pratica meditativa, con tutto ciò che implica; ossia che la mindfulness non va concepita come una nuova promettente tecnica o esercizio cognitivo‑comportamentale, decontestualizzato, innestato in un paradigma cognitivista, il cui scopo sia di indurre un cambiamento desiderabile […] La mindfulness non è solo una buona idea che, dopo averne sentito parlare, si possa immediatamente decidere di vivere nel presente, con la promessa di una riduzione dell’ansia e della depressione o di un aumento delle prestazioni e della qualità di vita, e che si possa poi rimettere in pratica all’istante in modo attendibile (Kabat-Zinn, 2003).

Ricerca e RCT (randomized control trials) su alcuni interventi basati sulla consapevolezza esistono, almeno per MBSR (il protocollo più studiato in ricerca empirica) e MBCT, ora si tratta di continuare a comprendere a indagare quali siano le caratteristiche o variabili dirimenti sugli effetti della pratica di consapevolezza sul benessere. E in questo la letteratura sulla pratica della Mindfulness sta compiendo molti passi in avanti. Passo dopo passo, senza pomposità, come si addice alla ricerca scientifica.

 

ARTICOLO CONSIGLIATO:

Mindfulness per principianti di Jon Kabat-Zinn – Recensione

 

BIBLIOGRAFIA:

  • Zindel V. Segal, Z. V., Williams, M. J., Teasdale, J. D. (2014). Mindfulness: Al di là del pensiero, attraverso il pensiero. A cura di Giommi, F., Olivero, G., Sullam, S. Bollati Boringhieri Psicologia. 
  • Kabat‑Zinn, J. (2003). Mindfulness-Based Interventions in Context: Past, Present, and Future. Clinical Psychology: Science and Practice, 10, pp. 145‑48. DOWNLOAD
Si parla di:
Categorie
SCRITTO DA
Andrea Bassanini
Andrea Bassanini

Psicologo - Spec. in Psicoterapia Cognitiva e Cognitivo-Comportamentale

Tutti gli articoli
ARTICOLI CORRELATI
WordPress Ads
cancel