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La Terapia centrata sul Transfert per il Disturbo Borderline di Personalità – TFP Parma 2014

Si è conclusa la III edizione della conferenza della Società internazionale di Terapia Centrata sul Transfert per il disturbo borderline di personalità

Di Silvia Dioni

Pubblicato il 24 Ott. 2014

Si è conclusa a Parma la terza edizione della conferenza promossa dalla Società internazionale di Terapia Centrata sul Transfert (TFP), una forma di psicoterapia psicodinamica adattata in particolare al trattamento delle condizioni borderline.

Sono intervenuti a discutere gli aspetti più attuali di clinica e ricerca alcuni tra i maggiori esponenti internazionali dell’approccio TFP tra cui il prof. Otto Kernberg, presidente della Società.

Moltissime le tematiche di discussione, con un’attenzione in particolare alle seguenti: il trattamento del disturbo borderline, la tematica della sessualità e di come questa possa influenzare la relazione terapeutica, l’adattamento delle pratiche TFP standard al lavoro con bambini e adolescenti.

La giornata congressuale è stata preceduta da due Workshop introduttivi, uno dei quali condotto dal Prof. Frank Yoemans e incentrato sul trattamento dei disturbi gravi di personalità, in particolare il disturbo borderline.

Il relatore ha presentato la teoria alla base della TFP e introdotto alcune delle relative tecniche; si è partiti dall’assunto che la TFP ha come scopo principale e a lungo termine non tanto la stabilizzazione dei sintomi quanto una profonda modifica strutturale del carattere, in quanto l’evidenza empirica sembra dimostrare che il sollievo sintomatologico è diretta conseguenza del cambiamento nella struttura di personalità, e non viceversa.

Ma come si manifesta, e si può quindi misurare, il cambiamento in psicoterapia? Le tre principali aree di valutazione da parte del clinico sono il miglior funzionamento (e quindi una maggiore integrazione dell’identità) in area lavorativa, sessuale e relazionale/ sociale.

 

Premessa indispensabile al trattamento è chiaramente la valutazione della struttura di personalità di partenza, e gli elementi chiave che vengono presi in considerazione dall’analista sono l’integrazione dell’identità (coerenza nel senso di sé e degli altri), le difese maggiormente utilizzate, l’esame di realtà, la qualità delle relazioni oggettuali, il funzionamento morale.

La valutazione del grado di compromissione di questi aspetti danno una misura del livello di gravità della patologia, e permette di collocare il paziente su un scala che vede nell’ordine la personalità normale, quella nevrotica, poi quella con organizzazione borderline e infine quella con organizzazione psicotica.

Grande enfasi è stata data alla raccomandazione di non ignorare in terapia gli aspetti transferali e controtransferali che a volte vengono difensivamente sottovalutati o trascurati dal terapeuta e che rischiano invece poi di controllare l’andamento della seduta, soprattutto se connotati da aggressività; da qui l’importanza di non focalizzarsi tanto su quello che il paziente dice ma su come lo dice, che può fornire più informazioni sulla sua sfera affettiva e motivazionale.

Per chiarire questo punto il Prof. Yoemans ha spesso riportato alcuni interessanti esempi legati alla propria attività clinica, raccontando ad esempio di quando una sua paziente, per il fatto che il marito si era dimenticato di farle gli auguri di compleanno, ha afferrato un televisore e glielo ha scagliato contro, senza minimamente considerare questo un atteggiamento aggressivo, bensì la logica e unica reazione possibile a una simile negligenza da parte del partner.

Compito del terapeuta, in un caso simile, è aiutare il paziente a riconoscere come i propri vissuti negativi vengano proiettati sugli altri (spesso anche sul terapeuta) e finiscano per innescare reazioni disregolate e slegate dalla realtà (anche se supportate dalla logica, spesso ineccepibile, che sottende il ragionamento, di fatto bizzarro, dei pazienti borderline).

Questo riflette la grande attenzione dell’approccio TFP per il qui ed ora; non voli pindarici di stampo analitico classico sulle esperienze infantili con genitori incompetenti, bensì osservazione e interpretazione sistematica di quello che accade in seduta tra terapeuta e paziente, e che di per sé riattiva la rappresentazione interna delle relazioni passate e il modo in cui queste si replicano nelle relazioni attuali.

Si tratta di un approccio potenzialmente utile anche con pazienti dotati di scarsa mentalità psicologica, perché non indaga con il binocolo vissuti relativi a rapporti squalificanti ma lontani nel tempo, bensì si concentra, ad esempio, sul perché il paziente si alteri se il terapeuta ha guardato l’orologio. In questo consiste la chiarificazione, ossia dare un nome ben preciso a quello che sta succedendo tra paziente e terapeuta nel momento presente.

 

Ciò non toglie che il terapeuta debba monitorare il fatto che non sempre vengono proiettati solo i vissuti negativi, con conseguente aggressività e svalutazione da parte del paziente; può anche succedere il contrario, ossia che il paziente proietti sul terapeuta il polo più positivo e idealizzato delle proprie relazioni oggettuali interne, con conseguente idealizzazione irrealistica del terapeuta e delle terapia, il che è altrettanto pericoloso, perché indebolisce la relazione terapeutica tanto quanto gli acting aggressivi.

Rispetto a questo punto, il Prof. Yoemans invita a effettuare in maniera particolarmente scrupolosa sia la fase di assessment che quella del contratto terapeutico: potersi ricondurre sistematicamente ad un contratto ben definito e concordato permette di fugare false convinzioni e aspettative magiche, ma soprattutto permette di pretendere un vero coinvolgimento del paziente nel lavoro terapeutico.

“Qual è il problema? Da quanto dura? Cosa si aspetta che io possa fare per lei? Cosa si aspetta dal trattamento?” Sono tutte domande indispensabili prima di passare all’intervento vero e proprio.

In questo modo il contratto fornisce a paziente e terapeuta una comprensione comune del problema, definisce le reciproche responsabilità, permette al terapeuta di ragionare lucidamente e di interpretare eventuali deviazioni del paziente dagli accordi. Spesso infatti il contratto viene “testato” dai pazienti, sia nel tentativo di controllare il terapeuta si allo scopo di valutare quanto e se il terapeuta “ci tiene davvero” al rispetto delle regole.

Il relatore ha poi illustrato alcune strategie utilizzate, tra cui il fatto di individuare ogni volta la relazione oggettuale dominante in seduta per aiutare il paziente a gestire il caos del proprio mondo interno, osservare e interpretare i suoi “cambiamenti di ruolo” (ad esempio da vittima a persecutore) e promuovere la sua capacità di distinguere tra il tranfert e le esperienze relazionali reali, affinché possa generalizzare la consapevolezza maturata in terapia alle relazioni interpersonali fuori dallo studio.

Le tecniche utilizzate sono l’utilizzo della consapevolezza del tranfert, un continuo processo interpretativo (chiarificazione, confrontazione, interpretazione, aumento della mentalizzazione) l’analisi delle distorsioni relazionali.

In particolare la confrontazione consiste nel chiedere chiarimenti al paziente in merito ad eventuali contraddizioni tra la comunicazione verbale e quella non verbale; l’interpretazione ha invece come scopo quello di integrare aspetti dissociati dell’esperienza, sostituire le difese primitive, risolvere la diffusione dell’identità, promuovere la capacità di autoriflessione.

Infine, un accenno alla tematica della neutralità del terapeuta, che non significa né distanza né indifferenza, bensì il non schierarsi dalla parte di nessuna delle forze che muovono il conflitto interno del paziente, siano esse ad esempio forze primitivo/aggressive oppure repressive.

Come terapeuti siamo invitati a non dimenticare che il conflitto non è mai tra noi e il paziente, neanche quando questo ci scaglia contro tutti gli oggetti alla sua portata, insultandoci con violenza; il conflitto è sempre interno al paziente, ma può talvolta essere proiettato sulla terapia e sul terapeuta in quanto, da quelli, il paziente sa che in qualche modo, eventualmente, può scappare.

 

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Silvia Dioni
Silvia Dioni

Psicologa Psicoterapeuta laureata presso l’Università degli Studi di Parma e specializzata in Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale all’Istituto “Studi Cognitivi” di Modena.

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