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Atei & Credenti: cambia il senso della moralità?

Diversi studi affermano che l’idea secondo cui gli atei sarebbero più immorali dei credenti appare erronea, sia in termini pratici che teorici - Religione

Di Laura Pancrazi

Pubblicato il 08 Ott. 2014

Aggiornato il 03 Giu. 2015 14:44

FLASH NEWS

L’idea secondo cui gli atei sarebbero più immorali dei credenti appare allora erronea, come risulta indagando su questa linea sia in termini pratici che teorici.

Che gli atei siano malvisti dall’opinione pubblica non è difficile da credere; in un ipotetico indice di gradevolezza, tale categoria risulterebbe in fondo alla lista.

Molti studi si muovono in questa direzione; ad esempio la ricerca del Professor Edgell dell’University of Minnesota dimostra che gli Americani condividono meno la visione della società che hanno le persone atee, rispetto ad altri gruppi quali, ad esempio, i musulmani, i cristiani, gli omosessuali, gli immigrati. Questo anche in seguito ai fatti dell’11 Settembre, che avrebbero fatto piuttosto pensare ad una generica tendenza da parte degli americani a disapprovare il pensiero delle persone musulmane.

In uno studio pubblicato da Gervais nel 2011, si richiede ad un campione di 105 persone di leggere un testo in cui si descrivono due azioni immorali (urtare una macchina in un parcheggio senza lasciare il proprio numero e rubare i soldi da un portafoglio trovato gettandolo in seguito nella spazzatura) commesse da Richard, un personaggio immaginario; si chiede dunque ai soggetti di avanzare delle ipotesi sulla categoria di appartenenza di tale personaggio: insegnante, oppure insegnante e cristiano, insegnante e musulmano, insegnante e stupratore o, infine, insegnante ed ateo.

 

Ebbene, la maggior parte dei soggetti ha scelto quest’ultima ipotesi ovvero, in altre parole, è più facile che una persona si “comporti male” quando sia atea; è interessante notare che, nello specifico, è anche più probabile che una persona commetta azioni immorali quando si tratti di un ateo, piuttosto che quando si tratti di un violentatore.

Quanto detto finora, ci porta a concludere che la maggior parte delle persone crede che il pensiero ateo sia socialmente incompatibile e più immorale rispetto a quello di altre minoranze, stupratori compresi.

Questa credenza risulta insostenibile alla luce di due osservazioni. Le statistiche, innanzitutto. Ammesso che consideriamo la criminalità come indice di immoralità, gli atei detenuti nelle prigioni americane sono solo lo 0,07%. In testa alla statistica ci sono piuttosto Cristiani, Protestanti e Musulmani.

La seconda osservazione è che, per l’appunto, la definizione del concetto di moralità risulta essere problematica. I credenti, per esempio, definiscono il fatto di non avere una fede in sé stesso immorale. Quindi, secondo questa logica, gli atei sono, a prescindere, individui immorali.

In uno studio pubblicato in Settembre 2014, Hoffman dimostra che gli stessi atti sono ugualmente considerati morali oppure immorali dagli atei e dai credenti. Il ragionamento, dunque, risulta fallace a causa dell’ambiguità della definizione stessa del concetto di moralità.

L’idea secondo cui gli atei sarebbero più immorali dei credenti appare allora erronea, come risulta indagando su questa linea sia in termini pratici che teorici.

Si spera che le persone possano in futuro guardare all’ateismo con una mente più aperta anche perché, come disse Gervais, se si eliminassero dalla popolazione americana tutte le persone atee ed agnostiche, si perderebbe il 93% della popolazione della National Academy of Sciences, e meno dell’1% degli individui detenuti nelle prigioni.

 

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Laura Pancrazi
Laura Pancrazi

Psicologa clinica. Specializzanda in Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale.

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