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L’orgoglio di essere se stessi. Per una ristrutturazione cognitiva della vergogna

La vergogna è un'emozione subdola che inficia l’autostima. Si può farne un buon uso per rivedere se stessi e scoprire l’orgoglio per la propria imperfezione

Di Vincenzo Amendolagine

Pubblicato il 03 Ott. 2014

Aggiornato il 11 Mar. 2015 09:31

 

Abstract

Fra le emozioni la vergogna è quella più subdola, in quanto inficia l’autostima e l’autoaffermazione. Essa è il frutto della storia personale dell’individuo e dei giudizi globali negativi che ha collezionato nel corso dello sviluppo.

Della vergogna, però, si può farne un buon uso, ovvero viverla come un’occasione per rivedere se stessi, la propria vita e per scoprire l’orgoglio per la propria imperfezione.

 L’origine della vergogna

Nel corso del secondo anno di vita del bambino compaiono le cosiddette emozioni sociali, definite anche autocoscienti e valutative (Berti e Bombi, 2005). Fra di esse un posto di rilievo lo occupa la vergogna. In questo vissuto emotivo quello che predomina è il giudizio complessivo negativo che la persona dà a se stessa. Alla base di tale emozione ci possono essere due fattori che agiscono nel corso dello sviluppo:

  • un temperamento difficile, che rende problematici i rapporti con l’alterità;
  • l’atteggiamento educativo che gli adulti hanno nei confronti dei bambini. Infatti, i genitori o gli insegnanti che esprimono dei giudizi globali sui propri figli o alunni li avviano ad un’analisi di sé globale, per cui di fronte a qualcosa di sbagliato che essi fanno tenderanno a valutarsi in toto come persone incapaci. Chiaramente la vergogna provata è maggiore laddove i bambini sono continuamente “…umiliati, disprezzati o su cui i genitori fanno pendere la minaccia di non volergli più bene…” (Berti e Bombi, op. cit., pag. 174).

La vergogna influisce negativamente sugli apprendimenti che il ragazzo compie nell’ambito della sua crescita e che appaiono, per questa ragione, ipotecati negativamente. A questo riguardo, la valutazione che il piccolo fa della sua persona  incide notevolmente sul suo stile di apprendimento, comunicazionale, cognitivo e attributivo.  La considerazione che il ragazzo ha di sé, come Mancaniello e Cangioli osservano può essere positiva (goodness), del tipo <sono un bambino buono e bravo>, o negativa (badness) <sono un bambino cattivo>. I giudizi sono inferiti dalle lodi o dai rimproveri dati dalle figure di riferimento significative (genitori, educatori, insegnanti)…” ( 2008, pag. 251).

I costrutti alla base della vergogna

 La mente umana è caratterizzata dalle credenze che possiede relative alla realtà. In pratica, essa percepisce ed interpreta gli eventi che accadono in base alle sue convinzioni. Ogni qualvolta la realtà non combacia con quelle che sono le aspettative, si intraprendono delle azioni che hanno la finalità di cambiare lo stato vissuto (reale) in uno stato desiderato (ipotetico), attraverso delle strategie comportamentali.

Lungo il tragitto che conduce alla condizione auspicata, si effettuano delle verifiche, ovvero sono sottoposte ad analisi le condotte adottate, in modo da stabilire se esse vanno nella direzione giusta o si indirizzano completamente verso altre rotte. In altre parole, se i comportamenti attuati procurano benessere si prosegue sulla stessa traiettoria, se invece producono malessere si cambiano i piani.

Questo accade nella misura in cui l’individuo ha un suo equilibrio psicologico che permette di scegliere, fra più condotte, quelle opportune e di cambiarle allorquando si rivelano inefficaci.

Laddove esiste sofferenza psicologica, il singolo utilizza sempre le stesse strategie che si cristallizzano, divenendo non suscettibili di cambiamento anche quando egli si accorge del malessere e della sofferenza che creano (Castelfranchi, Mancini e Miceli, 2002).

Nel costrutto della vergogna c’è la credenza di essere una persona non degna di stima. L’essere umano, quindi, valuta se stesso in termini non positivi e diviene estremamente attento ai segnali che l’alterità invia e che convalidano questa idea.

Ogni individuo ha una teoria relativa ad un proprio sé ideale. In pratica, ha un’opinione riguardo alle caratteristiche che contraddistinguono quella che reputa la persona giusta, a cui vorrebbe somigliare. Tale costruzione è figlia di tutti gli apprendimenti che il singolo ha compiuto nel corso della sua storia. Nel momento in cui questo sè ideale si discosta dal sè reale, la persona prova vergogna per non essere, agli occhi di se stessa prima e degli altri poi, quello che vorrebbe o dovrebbe essere (Castelfranchi, 2005).

Si prova imbarazzo, allora, non solo per quello che si è, ma anche per quello che si fa  e per tutte le cose che caratterizzano la propria vita.

In questo modo la vergogna diventa un’emozione che permea l’intero vissuto dell’individuo e può essere assimilata, nella sua intensità, ad un qualcosa di totalizzante e paralizzante, che invade completamente la mente, come l’emozione descritta da Antonin Artaud nella sua poesia “…Colei che dorme nel mio letto / E spartisce l’aria della mia camera / Può giocarsi a dadi sul tavolo / Il cielo stesso della mia mente…” (2002, pag. 121).

La persona vorrebbe fortemente apparire agli occhi degli altri per quello che non è. In taluni casi arriva a mistificare con se stessa e con l’alterità, costruendo un’ immagine di sé che non corrisponde a quella reale. Ciò determina la nascita di uno stato di ansia continuo, in quanto, in qualsiasi momento, si può essere smascherati e questo implementa la vergogna di base.

Come acutamente Eugenio Montale fa notare

“…È una grande sventura nascere piccoli / e la peggiore quella di chi rimbambisce / mimando la stoltizia che paventa / una qualche improbabile identità… E la vergogna non è, garzon bennato, che un primo barlume della vita…” (1991, pag. 484).

 La ristrutturazione cognitiva della vergogna

 La vergogna, oltre ad una funzione distruttiva, può avere una valenza positiva laddove diventa il paradigma fondante di una ristrutturazione di sé. Il desiderio più profondo dell’individuo che sperimenta la vergogna, come d’altra parte di ogni essere umano, è quello di essere accettato dall’altro. La falsa credenza, alla base di questa emozione, è quella di pensare che così come si è, con le proprie mancanze, limiti o imperfezioni, non si possa essere stimati dall’alterità.

Della vergogna, come suggerisce la Turnaturi (2012), si può farne un buon uso, ovvero viverla come un segnale che l’io invia per ristrutturare la relazionalità con se stessi e con gli altri.  Il prendere coscienza della vergogna può essere l’avvio per una negoziazione con se stessi, alla ricerca di un io ideale meno aulico, più in sintonia con la propria vera natura, in modo da distanziarsi emotivamente dalle esperienze e dagli apprendimenti che hanno inficiato l’immagine di sé. Bisogna ribadire a se stessi quello che il protagonista del romanzo di Scott Turrow dice

“…Mi manca qualche qualità umana. E noi possiamo essere soltanto ciò che siamo. Io ho la mia storia, i miei ricordi, il labirinto irrisolto del mio io, dove mi smarrisco tanto spesso…”  (1996, pag. 138).

 

ARTICOLO CONSIGLIATO

Vergogna e memorie autobiografiche: l’impatto su depressione, ansia sociale e ideazione paranoide

 

BIBLIOGRAFIA:

  • Artaud, A. (2002). Poesie della crudeltà (1913 – 1935) (P. Di Palmo trad.). Viterbo: Stampa Alternativa.  ACQUISTA ONLINE
  • Berti, A. E. e Bombi, A. S. (2005). Corso di psicologia dello sviluppo. Bologna: Il Mulino.  ACQUISTA ONLINE
  • Castelfranchi, C. (2005). Che figura. Emozioni e immagine sociale. Bologna: Il Mulino.  ACQUISTA ONLINE
  • Castelfranchi, C., Mancini, F. e Miceli, M. (2002). Fondamenti di cognitivismo clinico. Torino: Bollati Boringhieri.  ACQUISTA ONLINE
  • Mancaniello, A. e Cangioli, L. (2008). L’emozione della vergogna nell’infanzia: l’attività ludica motoria sportiva come mezzo per affrontarla. In C. Guido. e G. Vernì (a cura di), Educazione al benessere e nuova professionalità docente (pag. 247 – 266). Bari: Ufficio Scolastico Regionale Puglia.  DOWNLOAD
  • Montale, E. (1991). Tutte le poesie (G. Zampa curatore). Milano: Mondadori.
  • Turnaturi, G. (2012). Metamorfosi di un’emozione. Milano: Feltrinelli.
  • Turrow, S. (1996). Presunto innocente (R. Rambelli trad.). Milano: Mondadori.
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Vincenzo Amendolagine
Vincenzo Amendolagine

Medico, psicoterapeuta psicopedagogista. Insegna come Professore a contratto presso la Facoltà/Scuola di Medicina dell’Università di Bari Aldo Moro.

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