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La Teoria Polivagale su Attaccamento e Trauma (2014) – Report dal Congresso

La prima parte della giornata si apre con l’impatto del trauma sull’integrazione neurale e la relazione di attaccamento e il tema dell'intersoggettività...

Di Annalisa Bertuzzi

Pubblicato il 25 Set. 2014

 
Report dal Congresso

Attaccamento e Trauma

Roma, 19-21 Settembre 2014

I Giornata, II parte

S. Porges, Tavola rotonda (Liotti, Siegel, Gallese, Porges)

 

 

VEDI EVENTO

Il pomeriggio della prima giornata del congresso inizia con l’intervento di Stephen Porges, il quale, nell’esporre i capisaldi della teoria polivagale, da lui elaborata, cerca di rispondere alle seguenti domande:

  • in che modo le esperienze traumatiche e/o di abuso cronico alterano i processi omeostatici fisiologici e il comportamento sociale?
  • in modo il trauma distorce i processi percettivi e sostituisce i comportamenti sociali spontanei con reazioni di difesa?
  • quali trattamenti clinici consentono di intervenire su queste problematiche?

Si parte dalla premessa che gli esseri umani sono collegati gli uni agli altri (si tratta di una forma di adattamento funzionale alla sopravvivenza) e sono in grado di co-regolarsi. In questo quadro il comportamento rappresenta una qualità emergente che ha un substrato biologico: quando gli esseri umani non riescono ad entrare in relazione si verificano delle ricadute anche a livello corporeo; parimenti, lo stato fisiologico e psicologico influenza il comportamento.

La corteccia temporale è in grado di decodificare l’intenzionalità dei movimenti nei mammiferi; un ruolo molto importante viene rivestito dal muscolo ubicolare dell’occhio, dotato di una doppia innervazione, il quale entra in gioco nei contatti oculari (il contatto oculare è essenziale nel creare un senso connessione tra esseri umani, diventa meno importante solo quando c’è una connessione a livello fisico).

Nei processi comunicativi tra esseri umani non sono le parole e i contenuti verbali, bensì le caratteristiche melodiche, la prosodia, l’intonazione, i contenuti emotivi che agiscono sul nervo vago mielinizzato, il quale controlla anche l’attivazione del sistema di difesa.

Nelle esperienze traumatiche (nell’ambito della relazione di attaccamento) l’interazione sociale non è più fonte di sicurezza, cosa che può determinare uno stato dissociativo nella persona, la quale cerca, in questo modo, di distanziarsi da contenuti emotivi dolorosi; si verifica, a livello cerebrale, la violazione di “un’aspettativa neurale”, determinata dalla mancanza di reciprocità nella relazione e dall’assenza di sintonizzazione.

Ciò pone le premesse per un atteggiamento conservativo, osservabile nelle persone che hanno subito dei traumi, le quali sono portate ad interpretare le situazioni neutre come situazioni potenzialmente pericolose da cui bisogna difendersi.

La teoria polivagale, inoltre, mette in evidenza come sia necessario includere, nella gamma delle reazioni istintive di fronte ad una situazione di pericolo, non solo la reazione di attacco/fuga (fight/flight), ma anche la reazione dissociativa di paralisi e immobilità, congelamento con paura (shutdown), una stato di “finta morte” (aspetto sul quale tornerà poi Liotti nel suo intervento), antitetico all’immobilità senza paura, della persona che si sente al sicuro e si abbandona fiduciosamente alla relazione.

L’espressione facciale riflette in modo diretto lo stato polivagale della persona; attraverso un processo di “neurocezione” (si tratta di un processo neurofisiologico) il sistema nervoso valuta il rischio presente nell’ambiente circostante senza consapevolezza e, spesso, indipendentemente da una narrazione cognitiva. In questo quadro, è possibile che la neurocezione del pericolo, in persone che hanno vissuto esperienze traumatiche, si attivi in modo automatico anche quando non esiste un pericolo “reale”.

Come possiamo, in qualità di terapeuti, andare ad intervenire? Avvalendoci del potere riparativo della comprensione della funzione adattiva delle reazioni allo stress, quale importante complemento al trattamento.

Gli interventi terapeutici efficaci devono promuovere una neurocezione della sicurezza, con i conseguenti miglioramenti nella salute mentale e fisica, permettendo a mobilizzazione e immobilità di aver luogo in uno stato di sicurezza, di assenza di percezione del pericolo.

A tirare le somme della prima giornata di lavori una tavola rotonda, moderata da Liotti, cui prendono parte Siegel, Gallese e Porges. Il moderatore chiede ai tre relatori di individuare i punti di interconnessione, tra i loro tre approcci, nel comprendere l’esperienza intersoggettiva.

Emergono punti di contatto legati all’importanza di valorizzare i vissuti corporei (Porges afferma che “Solo sentirci all’interno del corpo ci permette di sperimentare cosa sia davvero l’empatia”) e di sottolineare l’importanza dei neuroni specchio anche nella comprensione del trauma (i neuroni specchio delle persone traumatizzate sono ipereattivi e vigilanti).

In ambito terapeutico, ricorda Porges, è necessario individuare la stato fisiologico del cliente e capire come ne condiziona il comportamento. Inoltre, è estremamente importante prestare attenzione al linguaggio non verbale e alla prosodia della voce, tenendo presente che un paziente che ha subito un trauma può essere molto sensibile a stimoli acustici a bassa frequenza che ispirano un senso di pericolo; si tratta di una forma di vulnerabilità del sistema nervoso del cliente.

In conclusione, viene sottolineato da Gallese come la segregazione rigida tra azione, percezione e cognizione non ha ragion d’essere, dato che si tratta di funzioni che a livello cerebrale sono fortemente integrate.

 

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Annalisa Bertuzzi
Annalisa Bertuzzi

PSICOLOGA PSICOTERAPEUTA AD INDIRIZZO UMANISTICO - INTEGRATO

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