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Non ci sono più le mamme di una volta di Roberta Galloni (2014) – Recensione

In questo libro l'autrice racconta della sua personale esperienza di depressione post partum e di come sia riuscita a ritrovare la gioia della maternità.

Di Simona Giuri

Pubblicato il 25 Lug. 2014

 

 

Questo libro racconta di una normalissima mamma dei nostri giorni, di una mamma che utilizza la scrittura per cercare (e ritrovare) se stessa in una nuova dimensione di ruolo, quello di mamma, che sceglie di esserlo a tempo pieno.

E’ anche il racconto autobiografico di una donna che nel diventare per la seconda volta mamma ha scoperto dolorosamente quello che definisce “demonio” e che le cambia il modo di guardare al mondo, quel mondo che in realtà pare avere tutto per essere perfetto, ma che i suoi occhi hanno smesso di guardare, quasi avesse un paio di occhiali scuri che rendono grigio tutto.

Il racconto inizia con un dolce ricordo, quello della nonna, in una scena in cui pettina i capelli alla sua piccola nipotina e, quasi si chiude, con un dramma non detto, con un saluto ad un fiore, che dice tutto e nulla, che lascia intravedere un boccone amaro difficile da mandare giù, forse non a caso, preludio triste di un tema delicatissimo, quello della violenza sulle donne.

E così questo racconto, tratta temi leggeri e semplici, ma anche temi delicati, di cui non è semplice parlare, soprattutto per chi probabilmente lo fa per la prima volta e ci mette il cuore, ciò che traspare chiaramente.

Spesso i ricordi emergono e diventano protagonisti, come molte volte accade quando ci si ritrova a pensare al tempo che passa e a quando, come in questo caso specifico, l’autrice ricorda quando era bambina, adesso che delle sue bambine si prende cura.

Le vicende della vita, del ciclo di vita di una donna, belle e meno belle, vengono raccontate e attraverso i ricordi di momenti significativi compongono il puzzle che porta l’autrice a una riflessione che probabilmente dà il titolo al libro: come erano le mamme prima e come sono ora, ma anche i papà, e tutto ciò che ruota intorno all’essere genitori oggi.

Il tempo che passa e i significati, i valori che cambiano, così ben rappresentati dall’immagine delle piscine delle ville inesorabilmente vuote oggi, paragonate a quei pozzi di un po’ di anni fa animati da comitive di ragazzi ai quali bastava davvero poco per divertirsi.

Il periodo post-natale è un momento delicatissimo per la donna e circa il 10 – 20% delle neo-mamme ha un esordio di depressione post partum in genere dopo 3 – 4 settimane dal parto; i primi segnali sono rappresentati da stanchezza, fatica e mancanza di energie e spesso non vengono correttamente interpretati. Di conseguenza, il 50% delle donne che ha una depressione post partum non chiede aiuto o lo rifiuta o ricerca assistenza solo per la gestione del bambino e comunque non subito: è una condizione poco riconosciuta come disturbo clinico a tutti gli effetti e quindi poco trattata.

Solitamente chi comincia a soffrirne tende a vivere in modo ritirato e non ammette il proprio disagio, lo nasconde; come pare raccontare in alcuni tratti anche l’autrice, tende a colpevolizzarsi per aver fatto “cattivi pensieri”, tende a passare molto tempo a chiedersi il “perché” di tutto questo, a non capire come mai ciò che “dovrebbe essere perfetto”, semplicemente non lo è.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha pubblicato in tal senso delle Linee guida “Postnatal care of the mother and newborn“ , dodici raccomandazioni su tempi e modi della cura postnatale, sia del bambino che della madre per tutto il periodo del puerperio, le sei settimane successive al parto.

Diversi studi hanno dimostrato l’importanza di un intervento di aiuto in questo periodo; per esempio, uno studio del 2000, partendo dai dati statistici di incidenza del disturbo, ha dimostrato la riduzione del rischio di depressione post partum in seguito ad un intervento di tipo psicosociale, con l’obiettivo di insegnare alle donne ad organizzare in modo efficace i propri impegni, al fine di ridurre lo stress, avere prospettive realistiche sulla propria vita da madri, interpretare in modo costruttivo le esperienze vissute quotidianamente, dare significati corretti alle emozioni negative provate e adottare un adeguato stile di fronteggiamento delle situazioni difficili, attivare una rete di supporti sociali e aiuti esterni sui quali fare affidamento per la cura del neonato.

Interessanti sono gli spunti che il libro offre a tal proposito, sull’importanza del supporto, della possibilità di trovare spazi propri, del confronto con altre mamme, per comprendere che ciò che accade, ciò che si pensa quando si è molto stanchi, come ci si sente a fine giornata, non è un’esclusiva di alcune, ma di tutte le mamme.

Dire se è vero che non esistono più le mamme di una volta, non saprei, certo è che il momento storico che viviamo è diverso, così come le conquiste che le donne hanno ottenuto negli anni sono molte e diverse… probabilmente al di là di questo credo che il diventare, sentirsi madre, sia qualcosa di unico e immensamente bello (comprese le fatiche) in qualsiasi generazione lo si collochi. Questo permette di affrontare tutto, magari cercando una personale via di mezzo tra quelle donne che hanno dedicato completamente la loro vita ai figli, “rassegnandosi” su tutto il resto e chi, oggi ha bisogno di fare un selfie con il proprio figlio sul social network di turno tornata da lavoro, per sentirsi completamente donna e mamma, allo stesso tempo.

 

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BIBLIOGRAFIA:

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