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Quando i nostri obiettivi in realtà ci allontano dalla felicità – Psicologia

Gli sforzi che facciamo per raggiungere gli obiettivi che pensiamo ci renderanno felici, in realtà ci allontanano da tali obiettivi e dalla felicità stessa

Di Serena Mancioppi

Pubblicato il 25 Giu. 2014

Aggiornato il 16 Mar. 2015 14:53

FLASH NEWS

 

Oliver Burkeman in The Antidote: Happiness for People Who Can’t Stand Positive Thinking (felicità per le persone che non sopportano il pensiero positivo) sostiene che gli sforzi che facciamo per raggiungere gli obiettivi che pensiamo ci renderanno felici, in realtà ci allontanano da tali obiettivi e dalla felicità stessa.

Ciò che ci spinge a investire in obiettivi e scopi, pianificando il futuro è, sostiene Burkeman, non tanto la consapevolezza delle virtù del saper guardare lontano e del pianificare, ma qualcosa di molto più emotivo: il disagio dell’incertezza.

Di fronte all’ansia di non sapere cosa riserva il futuro, investiamo sempre più ferocemente nella nostra visione ideale di quel futuro, e questo non perché ci aiuterà a raggiungere quell’immagine ideale, ma perché ci aiuta a liberarci dei sentimenti di incertezza nel presente.

Addirittura, secondo Burkeman, molte delle nostre importanti scelte di vita le facciamo sotto la pressione del disagio dell’incertezza: “pensa a una qualsiasi decisione significativa che hai preso nella vita e che ti sei trovato successivamente a rimpiangere – una relazione che hai inseguito anche sapendo che non faceva al caso tuo, un lavoro che hai accettato ma che non era in linea con i tuoi interessi e le tue abilità – se hai sentito che era una decisione difficile da prendere è probabile che prima di prenderla tu abbia sentito il torcibudella che da l’incertezza e che dopo averla presa quella sensazione sia diminuita.

Se le cose sono andate così c’è la possibilità inquietante che la tua principale motivazione nel prendere quella decisione non sia stata alcuna considerazione razionale in merito a quanto fosse giusta per te, ma semplicemente l’urgente necessità di sbarazzarti dei tuoi sentimenti di insicurezza.

Nel considerare cosa potrebbe significare abbracciare l’incertezza, Burkeman cita il lavoro della psicologa Saras Sarasvathy, che ha studiato le qualità essenziali che gli imprenditori di successo condividono.

Nei suoi colloqui con i quarantacinque imprenditori rigorosamente di successo (un minimo di quindici anni di esperienza nelle aziende e essere stati a capo di almeno una società) ha trovato un profondo scollamento tra lo stereotipo culturale dell’imprenditore che fa carriera velocemente e che ha obiettivi chiari e concreti da raggiungere, e cosa realmente questi imprenditori di successo condividono.

Burkeman scrive: “tendiamo a credere che l’abilità di un imprenditore consista nell’avere un idea originale e nel lottare per trasformarla in realtà, ma ciò che emerge dalle interviste della dott.ssa Sarasvathy non lo conferma. L’obiettivo a lungo termine di questi imprenditori era spesso poco chiaro anche a loro stessi, e i loro modi di procedere lo confermano: la stragrande maggioranza di loro si è fatto beffe delle teorie di management e quasi nessuno di loro ha suggerito la creazione di un business plan o di fare ricerche di mercato globale per affinare i dettagli del prodotto che volevano lanciare.”

Nel cuore dello spirito imprenditoriale, invece, si trova qualcosa di completamente diverso: è la capacità di adottare un approccio non convenzionale all’apprendimento. La flessibilità di saper improvvisare e cambiare non solo quale strada prendere per raggiungere un obiettivo predeterminato, ma anche la meta stessa. Questa è quel tipo di flessibilità che viene messa a tacere proprio quando ci si focalizza rigidamente su un obiettivo.

Sarasvathy ha messo a punto una serie di principi che sostengono il suo approccio anti-obiettivo: il suo modello distingue tra persone causally-minded, che stabiliscono un obiettivo specifico e che applicano tutti gli strumenti disponibili al fine di raggiungerlo; e persone effectually-minded che, invece, considerano gli strumenti e i materiali a loro disposizione, ma li usano come trampolino di lancio per immaginare nuove possibili direzioni.

Gli effectually-minded, ad esempio, sono il chimico che ha scoperto che la colla non sufficientemente adesiva poteva essere utilizzata per creare il post-it ; o l’avvocato infelice che si rende conto che il suo hobby, la fotografia, per il quale ha già possiede le competenze e le attrezzature, potrebbe essere trasformata in un lavoro.

Il primo principio che li guida è “inizia con i tuoi mezzi, non aspettare l’occasione perfetta, inizia a muoverti in base a ciò che hai a disposizione, a quello che sei, a quello che sai e a chi conosci”.

Il secondo è il “principio della perdita abbordabile”: non lasciarti guidare dall’immagine della meravigliosa ricompensa che avresti se avessi successo in ogni step che ti serve per raggiungerla. Chiediti piuttosto a quale perdita andresti incontro se non riuscissi a raggiungere l’obiettivo: se puoi tollerarla questo è tutto quello che ti serve sapere per passare allo step successivo e vedere che succede.

In altre parole , “immagina l’immensità, non scendere a compromessi e non perdere tempo.”

 

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Serena Mancioppi
Serena Mancioppi

Psicologa Psicoterapeuta Sistemico Relazionale e Cognitivo-Evoluzionista

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