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L’elaborazione del trauma infantile in Saving Mr. Banks (2013) – Recensione

Una pellicola che racconta l'infanzia difficile di Mrs. Pamela Lyndon Travers, autrice di Mary Poppins, e il percorso di accettazione dei traumi del passato

Di Alessia Incerti, Federica Rossi

Pubblicato il 07 Mag. 2014

Aggiornato il 24 Giu. 2019 12:48

 

Saving Mr BanksLa storia di una tata fantastica, ideale, che mette ordine, salva genitori non adeguati e salva anche i bambini dai vissuti dolorosi. Una tata a servizio di un piano di vita controllante, una tata a servizio della propria creatrice che vuole così allontanarsi dal proprio tema di vita doloroso.

“Vento dall’est. La nebbia è là, qualcosa di strano fra poco accadrà. Troppo difficile capire cos’è, ma penso che un ospite arrivi per me…”

Chi l’avrebbe detto che dietro ad uno dei produttori più celebri della storia del cinema, nonché fondatore dei più divertenti e spensierati cartoni animati del mondo, si nascondesse un’infanzia difficile e tutt’altro che felice? E chi avrebbe pensato che all’ombra di una dolce e incantevole tata si nascondesse una donna astiosa, sprezzante e diffidente? Ecco cosa ci svela “Saving Mr. Banks”, la recente produzione di Walt Disney, che narra di come il suo fondatore, dopo ventuno anni di tentativi ed attese, riesce a convincere Mrs. Pamela Lyndon Travers, creatrice di Mary Poppins, a cederne i diritti cinematografici.

Nei momenti cruciali della decisione della scrittrice di affidare a Disney la propria storia, personale e letteraria, si susseguono nel film flashback sugli eventi significativi della sua infanzia; in questo modo il regista svela al pubblico la chiave di lettura della personalità di Pamela, così egocentrica, inflessibile, paranoica, ma anche evidentemente fragile e vulnerabile.

John Lee Hancock ci rende partecipi del processo di elaborazione dei traumi dell’infanzia che l’autrice ha dovuto affrontare per superare la ritrosia verso la trasposizione cinematografica della sua opera (“Mary Poppins e i Banks sono la mia famiglia, signor Disney…”).

Inizialmente, si rimane affascinati, esattamente come la dolce bambina protagonista, dalla figura di un padre, all’apparenza fantasioso, affettuoso e attento. Presto tuttavia appare chiaro che quello stesso uomo, così appassionato e sognatore, cerca di nascondere alle figlie un animo fragile e immaturo, incapace di adattarsi a un mondo in cui non si rispecchia, che richiede di essere più responsabile e pragmatico.

Per superare il senso d’inadeguatezza e le emozioni negative che lo attanagliano, utilizza l’alcol e ne diviene ben presto dipendente. La figlia grande, Pamela, assiste alla trasformazione del padre, prima così vicino, ora così lontano, autocentrato e trascurante. Tuttavia una bambina così piccola non può perdere improvvisamente l’idealizzazione del padre, amato e ammirato, soprattutto quando non può affidarsi all’altra figura di riferimento, la madre, depressa e troppo assorta dalla sua sofferenza per accorgersi di quella della figlia. Quella di Pamela è davvero una ”tana distrutta”, dove anche il bisogno innato di sicurezza e protezione non viene più risolto dai genitori.

E quindi cosa rimane da fare per assicurarsi la vicinanza dei genitori e sopravvivere? Mettere in atto un accudimento invertito, sembra risponderci il regista. Quel tipo di accudimento che Bowlby aveva già descritto negli anni 50, in cui il bambino si “genitorializza”, comprende quali sono i bisogni del genitore, e realizza che andare incontro ad essi, prendendosi cura dell’altro, è l’unico modo per essere pensato dalla figura di attaccamento. Tuttavia il costo di tale strategia si presenta sempre, nel presente o nel futuro, poiché la rabbia, la paura, la tristezza, vengono dissociate o negate in nome di uno scopo più alto, la salvezza del legame di attaccamento. Questa forma di auto contenimento difensivo (Winnicot, 1988), fa affrontare ai bambini che l’hanno sperimentato tutte le emozioni più dolorose o difficili da soli e conferma che è bene non fidarsi degli altri.

Da piccola Pamela può aver pensato che raccontare le proprie emozioni avrebbe potuto ferire in qualche modo i genitori, in quanto era chiaro quanto essi non fossero in grado contenerle, e si è quindi sentita costretta all’autosufficienza, all’autonomia forzata, illudendosi o costringendosi a pensare di non avere bisogno degli altri.

A questo senso di onnipotenza ha contrapposto un modello operativo interno dell’altro non necessariamente malvagio, ma freddo e assente, poco affidabile e, soprattutto, immodificabile.

Ciò che all’inizio è stata soltanto una difesa, funzionale solo in quel periodo della sua vita, ben presto diviene un piano di vita: il piano di vita controllante, caratterizzato da ipermonitoraggio degli stati interni, rimuginio, perfezionismo, rigidità su regole di comportamento, controllo relazionale e diffidenza.

Questo ci spiega la modalità relazionale sospettosa e svalutante di Pamela nei confronti di Walt Disney e del suo staff.

Reprimere le emozioni è tuttavia un modo veramente inefficace di affrontarle, perché esse, come sosteneva Freud (1915), “proliferano nel buio”; inoltre non mostrando mai agli altri la confusione emotiva che si ha dentro, come afferma Segal, “non si riceve mai la rassicurazione di essere conosciuti o compresi e amati malgrado tutto”.

E’ su queste corde che sembra aver agito Walt Disney per aiutare l’adulta Pamela ad affrontare il suo passato: empatizza con lei, valida le sue paure e condivide con lei la sua storia, segnata dal rapporto difficile con un padre duro, severo e intransigente. Walt Disney comprende l’importanza di mantenere “un ricordo meraviglioso” del padre, appunto “Saving Mr. Banks”, ma la esorta a lasciare il passato (“La vita intera è una condanna troppo lunga per chiunque, Pamela!”) e la sprona a costruirsi una vita incentrata sulla consapevolezza delle emozioni negative e sull’accettazione del fatto che qualcuno di importante per noi ci ha in qualche modo ferito, seppure involontariamente.

Difendendo Mr. Banks Pamela difende se stessa dagli incubi della sua infanzia, dal vortice dei ricordi, dai modelli operativi interni che le sussurravano di salvare i suoi legami di attaccamento, minacciati dall’alcolismo del padre e dalla depressione della madre.

Ma non salviamo le persone imprigionandole in una rappresentazione idealizzata che non ci permette di arrabbiarci con loro o in un’immagine completamente svalutante che non ci permette di placare la nostra rabbia nei loro confronti; le salviamo solo quando riusciamo ad introiettare una visione unitaria e integrata della persona, resa possibile solo dalla comprensione dell’altro nei suoi aspetti positivi e negativi.

Durante la realizzazione del film di Mary Poppins si riattivano in Pamela i frammenti di vita più dolorosi e immergendosi nuovamente in essi, è costretta a cercare di comprendere le ragioni dei modi di agire dei suoi genitori, facendo suo anche parte del loro dolore. Occorre infatti passare del tempo a piangere il tema doloroso di vita per riprogettare piani di vita più funzionali. Solo in questo modo le è possibile perdonare in modo autentico il padre e la madre per la loro incompetenza genitoriale.

L’accettazione dei genitori e la formazione di rappresentazioni integrate di essi, è il solo passo che potrà permetterle di crearsi anche un’immagine di se stessa scevra dal senso di onnipotenza e piena della consapevolezza che tutti noi siamo umani imperfetti, ed in quanto tali, abbiamo bisogno degli altri.

C’è un momento nel film in cui ci accorgiamo che il processo di elaborazione degli eventi traumatici dell’infanzia di Pamela si sta ormai compiendo: le sue lacrime iniziano a scendere sentendo Mary Poppins affermare: “A volte una persona che amiamo, anche se non per colpa sua, non vede più in là del suo naso”. E’ in quell’istante che la scrittrice comprende completamente suo padre e lo salva, ma non da Walt Disney, dalla rigidità della sua idealizzazione, iniziando ad integrare una visione realistica del papà.

Saving Mr. Banks è in realtà un Saving Mrs. Travers: solo costruendosi nuove rappresentazioni dei genitori, e di loro stessi nel rapporto con lei, Pamela può salvare se stessa da una vita costellata di solitudine, freddezza emotiva, scoprendo il calore della condivisione e dell’accettazione autentica tra esseri umani.

Consigliato ai nostalgici, ai sognatori, ai figli, ai genitori e soprattutto a chi fatica a fare i conti con le sofferenze del passato.

 

 

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Alessia Incerti
Alessia Incerti

Psicologa e Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale

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