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Esplorare i sentimenti. Terapia cognitivo comportamentale per gestire ansia e rabbia – Recensione

Il libro di Tony Attwood presenta un programma di Terapia cognitivo comportamentale teso a favorire la gestione dell'ansia e della rabbia in bambini con ASD

Di Ilaria Cosimetti

Pubblicato il 21 Mag. 2014

Aggiornato il 09 Feb. 2015 10:34

 

 

Tony Atwood - Esplorare i sentimenti - copertinaC’era indubbiamente bisogno che qualcuno iniziasse ad adattare la CBT (Cognitive and Behavioral Therapy) destinata alle persone Asperger o con autismo ad alto funzionamento, soprattutto da quando questo tipo di trattamento psicologico è stato segnalato come terapia elettiva per il trattamento di ansia e rabbia nelle Linee Guida per Il trattamento dei disturbi dello spettro autistico nei bambini e negli adolescenti dell’Istituto Superiore di Sanità nel 2011.

Sono una psicoterapeuta cognitivo-comportamentale che si occupa da diversi anni di bambini e ragazzi autistici e ho letto con molto interesse questo libro.

L’impressione è buona e in un certo senso rassicurante. Molte cose che negli anni ho improvvisato, guidata dalla mia formazione arricchita dal buon senso e soprattutto dai suggerimenti più o meno diretti dei miei pazienti, le ho ritrovate nero su bianco su questo testo.

C’era indubbiamente bisogno che qualcuno iniziasse ad adattare la CBT (Cognitive and Behavioral Therapy) destinata alle persone Asperger o con autismo ad alto funzionamento, soprattutto da quando questo tipo di trattamento psicologico è stato segnalato come terapia elettiva per il trattamento di ansia e rabbia nelle Linee Guida per Il trattamento dei disturbi dello spettro autistico nei bambini e negli adolescenti dell’Istituto Superiore di Sanità nel 2011.

Ho apprezzato il tentativo di non normalizzare in termini neurotipici l’espressione e la regolazione emotiva, così come sottolineato dal suggerimento di coinvolgere anche la famiglia nella scelta degli attrezzi per riparare un’emozione spiacevole.

È infatti importante che chi attua il programma aiuti il paziente a scegliere un’attività che sia effettivamente capace di calmarlo e che i genitori siano aiutati ad accoglierla, anche se questa non è ciò che loro avrebbero scelto per lui. Quale genitore accetterebbe con naturalezza che un figlio preferisca perdersi in un’immagine per tranquillizarsi piuttosto che rifugiarsi tra le sue braccia?

Mi è piaciuto il seppur breve cenno alle espressioni emotive insolite manifestate spesso dagli autistici, fonte spesso di incomprensioni e fraintendimenti nella relazione con i tipici.

Ciò implica necessariamente che il ragazzo autistico impari non certo a rifiutarle nel tentativo di comportarsi da tipico ma a comprendere perché esse possano generare difficoltà nelle relazioni sociali e che chi fa parte della sua vita non si aspetti reazioni emotive sempre simili alle proprie.

In linea con l’introduzione teorica, la seconda parte del libro contiene numerose schede pratiche da presentare al paziente durante le sei sessioni di lavoro proposte, peccato che non ci sia nulla destinato ai familiari o al contesto scolastico, visto che, come evidenziato anche dall’autore, il successo del trattamento dipende anche dal coinvolgimento del contesto sociale che deve imparare a conoscere e rispettare la neurodiversità anche nella sua peculiare espressione e gestione emotiva.

Penso inoltre che ci sarebbero meno autistici arrabbiati o ansiosi se ciò avvenisse più spesso.

Ho un’ultima perplessità che riguarda chi, secondo l’autore, può utilizzare il programma esplorare i sentimenti. A me sembra un percorso che richiede numerose competenze, una profonda conoscenza dell’autismo al fine di garantire quella individualizzazione che ritengo fondamentale per ogni programma di intervento destinato a una popolazione con punti in comune ma molto eterogenea al suo interno come quella degli autistici. Mi sorprende quindi che insegnanti, logopedisti, terapisti occupazionali e gli stessi genitori vengano ritenuti in grado di svolgere il programma.

Ad ogni modo si tratta indubbiamente di un primo passo importante verso il riconoscimento di una neurodiversità che necessita di interventi psicologici che devono prendere le dovute distanze da quelli pensati per i neurotipici ma la strada è ancora lunga, soprattutto perché sono quasi esclusivamente solo professionisti tipici a percorrerla.

 

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