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I Disturbi di Personalità nel DSM-5: Osservazioni e Livello di Funzionamento

La prima sezione descrive i DP in base alla scala del Livello di funzionamento della Personalità, con elementi innovativi rispetto all'edizione precedente

Di Giancarlo Dimaggio

Pubblicato il 30 Mag. 2014

Aggiornato il 02 Giu. 2014 09:33

 

 

PARTE 1

DSM-5_Osservazioni generali e livello di funzionmento della personalità

Per la prima volta il DSM descrive davvero cosa è un Disturbo di Personalità, non basandosi su sintomi e comportamenti, ma azzarda l’analisi dell’esperienza interna e di quelle funzioni psicologiche che permettono di comprendere gli stati mentali, dare senso agli stessi e utilizzarli per guidare la propria azione e regolare le relazioni sociali.

La diagnosi di Disturbo di Personalità (DP) nel DSM 5 è il frutto di conflitti e compromessi. I membri della task force incaricati di rivedere questa sezione sono andati incontro ad ogni sorta di disaccordo, privato e pubblico, non risparmiandosi commenti duri in sede congressuale.

Il risultato è inaudito: il manuale include due modi del tutto differenti di classificare i DP. Il primo, ufficiale, è identico a quello precedente: i disturbi sono rimasti gli stessi, i criteri anche, le descrizioni sono state aggiornate e approfondite. Chi ha familiarità con il DSM-IV-TR non avrà problemi a utilizzare il DSM 5 per diagnosticare i DP, mantenendo sicuramente gli stessi dubbi e insoddisfazioni del passato.

Nella sezione III, Proposte di nuovi modelli e strumenti di valutazione, è incluso però un “Modello alternativo del DSM-5 per i disturbi di personalità”. Si trattava in effetti del sistema di classificazione per i DP che l’American Psychiatric Association aveva intenzione di adottare tout court. Ma tali sono state le critiche e le pressioni della comunità scientifica che all’ultimo momento lo si è mantenuto solo come un’ipotesi che necessita di ulteriore studio.

Se il clinico cercava quindi nel manuale una risposta chiara, solida e definitiva a cos’è un DP e come si classifica, non la troverà e ne rimarrà anzi sconcertato. Due sistemi di classificazione? Così diversi? Quale adottare? Qual è il più utile? Quale descrive meglio i disturbi?

A dispetto di incertezza e confusione, molti aspetti di questa doppia classificazione sono stimolanti. Il primo su cui mi soffermo è l’introduzione nel modello alternativo del Criterio A: Livello di funzionamento della personalità. Non ci si lasci ingannare. Non si parla di gravità del disturbo. Si affrontano per la prima volta degli aspetti davvero centrali dei DP, divisi nel funzionamento del Sé e in quello Interpersonale.

Questi includono: l’autoriflessività; la capacità di avere un’esperienza di sé coerente e integrata; la capacità di riconoscere e regolare le emozioni; l’autodirezionalità ovvero avere obiettivi a lungo termine percepiti come propri e inseguiti con persistenza; la capacità di comprendere il punto di vista degli altri, accettare che sia diverso dal proprio (in termini metacognitivi: decentrare) ed essere empatici; la capacità di stabilire e mantenere relazioni interpersonali profonde e intime.

A pagina 900-903 del manuale si trova la Scala del Livello di funzionamento della personalità. La leggo incredulo.

Per la prima volta il DSM descrive davvero cosa è un DP, non basandosi su sintomi e comportamenti, ma azzarda l’analisi dell’esperienza interna e di quelle funzioni psicologiche che permettono di comprendere gli stati mentali, dare senso agli stessi e utilizzarli per guidare la propria azione e regolare le relazioni sociali.

A me sembra un mezzo miracolo. Si potrà avanzare qualsiasi critica al DSM 5, ne sono già arrivate tante (molte giustissime) e tante ne arriveranno. Ma queste quattro paginette da sole valgono la lettura.

Perché? Un solo esempio, la Scala è suddivisa in 5 livelli: 0 indica nessuna compromissione, 4 estrema compromissione. Il Livello 3 indica grave compromissione.

Come è fatta una persona che funziona a livello 3? Ha un senso di sé debole e non è autonomo; prova un senso di vuoto; i confini tra sé e gli altri sono labili, agli estremi di iperidentificazione ed eccessiva indipendenza. L’autostima è fragile, l’immagine di sé incoerente o priva di sfumature. Ha difficoltà a stabilire e conseguire obiettivi personali, e questo è uno dei marchi di fabbrica del DP, il problema nell’agency, nella capacità di farsi motore della propria azione grazie al riconoscimento, apprezzamento di uno slancio che viene dall’interno e che ci guida a formare piani per il futuro e perseguirli superando difficoltà e frustrazioni.

Che senso dà alla vita una persona a cui mancano gli obiettivi: la scala ci dà immediatamente una risposta coerente: la vita è priva di significato o pericolosa. E poi la sorpresa più grande, cito alla lettera: La capacità di riflettere sui propri processi mentali e di comprenderli (il manuale scrive “di non comprenderli” ahimè, un refuso) è compromessa in modo significativo.

Sì, sì, avete letto bene. Si tratta proprio di metacognizione, mentalizzazione, funzione riflessiva, teoria della (propria) mente. Indugio a pensare che gli psichiatri americani siano impazziti. Del tutto. Una sindrome che neanche loro riuscirebbero a classificare, o magari la introducono nei disturbi dello spettro della schizofrenia. Il fatto straordinario è che hanno introdotto tale criterio in presenza di limitatissimi dati empirici.

In altre parole: un criterio quasi completamente guidato dalla teoria e dalle osservazioni cliniche. Insomma, i modelli dei disturbi di personalità che fanno leva sulla difficoltà a riflettere sugli stati mentali, in particolare quelli basati sulla mentalizzazione e metacognizione ne ricevono una bella spinta in avanti.

Non posso certo dirmi dispiaciuto. Il livello di funzionamento 3 continua: sono pazienti che faticano a considerare e comprendere i pensieri e i sentimenti che guidano il comportamento degli altri e accettare il loro punto di vista, dal quale si sentono facilmente minacciati. Sono scarsamente consapevoli dell’impatto che le loro azioni hanno sugli altri, attribuendo loro intenzioni in modo erroneo. Non si può dire alla lettera che gli autori della scala abbiamo preso pari pari la Scala di Valutazione della Metacognizione o quella della Funzione Riflessiva… però siamo lì.

Non è finita qui: queste persone entrano in relazione basati su convinzioni di avere assolutamente bisogno dell’affetto degli altri e temono di essere abbandonati o maltrattati. Allora: o si parla del deficit di accudimento ipotizzato da Nanni Moretti (e non da Bowlby come si tende erroneamente a credere) oppure è stato introdotto il concetto di schema interpersonale patogeno. Direi, la seconda.

Anticipavo che il supporto empirico per questa sezione è scarso. Da scienziato dovrei essere critico. Da scienziato dico: bravi, coraggiosi! Ora si vada avanti con la ricerca. Donna Bender, la prima autrice della Scala del livello di funzionamento della personalità sta procedendo estesamente con la ricerca in vari paesi per garantire supporto empirico.

Un paio di lavori, svolti sul database del Terzo Centro Di Terapia Cognitiva, supportano la scala. Semerari e colleghi (2014) hanno trovato che la metacognizione è tanto più compromessa tanto più numerosi sono i criteri di DP soddisfatti. Dimaggio e colleghi (2013) hanno trovato che le rappresentazioni delle relazioni interpersonali erano più compromesse al crescere del numero di criteri di DP soddisfatti.

In sintesi: compromissione crescente di capacità riflessive e attribuzione di significato alle relazioni interpersonali all’aumentare della gravità del disturbo intesa come vastità delle aree patologiche della personalità .

Di sé naturalmente la scala non sarebbe sufficiente, è necessario poi comprendere gli elementi del contenuto, gli stili comportamentali, le modalità disfunzionali di regolazione delle emozioni e di coping preferite e le specificità dei vari disturbi. Per questo sarà necessario approfondire le altre sezioni.

Il tentativo fatto in questa sezione è di descrivere i singoli disturbi a partire dal modo in cui è organizzata la scala dei livelli di funzionamento. Per esempio: un paziente con disturbo narcisistico secondo questo inquadramento farebbe riferimento eccessivamente agli altri per la definizione di sé e la regolazione dell’autostima e oscilla tra estremi di grandiosità e autosvalutazione. Mi occupo di narcisismo da tanto tempo. È la prima volta che trovo le fluttuazioni dell’autoimmagine nella descrizione del disturbo del DSM. Una grande svolta.

Mi occuperò prossimamente della sezione dedicata ai disturbi specifici. Luci e ombre. Luci nelle descrizioni. Ombre nella scelta dei disturbi da conservare.

 

ARGOMENTI CORRELATI:

DIAGNOSTIC AND STATISTICAL MANUAL OF MENTAL DISORDERS – DSM 5

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Le capacità di metacognizione come focus per i trattamenti della schizofrenia

 

 

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Giancarlo Dimaggio
Giancarlo Dimaggio

Psichiatra e Psicoterapeuta - Socio Fondatore del Centro di Terapia Metacognitiva-Interpersonale

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