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Sixto Rodriguez, storia romantica di una resurrezione.

Sixto Rodriguez è negli anni '70 colonna sonora delle lotte dell’apartheid, una figura mitica in Sudafrica del quale non si sa nulla nel resto del mondo...

Di Sandra Sassaroli, Giulia Saltini Semerari

Pubblicato il 02 Apr. 2014

 

 

 

Sixto Rodriguez - fotoLa notorietà in Sudafrica non ha lasciato segno nel resto del mondo. Amatissimo lì, questo amore chiuso in un mondo isolato, non ha potuto essere esportato. E in fondo fare il cantante di bar a Detroit assomiglia a essere isolati come nel mondo africano di quegli anni. La povertà e l’oppressione dei posti esclusi del mondo.

Il primo livello di questa storia: un documentarista (Malik Bendjelloul) va in Sudafrica cercando una bella storia, la sua storia. Per fare un documentario.

E la trova.

La storia della ricerca da parte di due persone sudafricane (Sugar, venditore di dischi, e un giornalista) di un cantante folk, Sixto (o Jesus) Rodriguez, estremamente famoso e conosciuto in Sudafrica, in Australia in Rhodesia e del tutto sconosciuto nel resto del mondo, soprattutto negli Stati Uniti.

Di Rodriguez si favoleggia si sia ucciso sparandosi sul palco dopo un concerto infelice e senza successo.

Una morte tragica e romantica. Rodriguez è negli anni settanta la colonna sonora delle lotte dell’apartheid in Sudafrica. Una figura mitica che vende centinaia di milioni di dischi in Sudafrica, e del quale non si sa nulla nel resto del mondo.

Il secondo livello della storia è quello del documentario in sé (che vincerà al Sundance Film Festival nel 2013). Che racconta della ricerca di Rodriguez da parte di Sugar e il giornalista. E alla fine, in modo indipendente per una serie di circostanze fortuite,  lo trovano.  Rodriguez è vivo, non si è ammazzato e sta bene.

La suspense del documentario è costruita proprio dalla ricerca di questo cantante mitico e sparito. Rodriguez appare soltanto a metà della storia.  Timidamente dietro una finestra chiusa.

Il terzo livello è Rodriguez stesso, che è vivo, fa il muratore e il demolitore di case a Detroit. Fino al 1998 è sparito da ogni scena (a parte due piccoli tour negli anni 80 in australia) ed è un uomo giusto.  Un cantante straordinario, uno scrittore di testi complessi e poetici (crucify your mind ad esempio) e un personaggio capace di tenere la scena e di giustificare le sue scelte di vita e artistiche come pochi altri.

Dopo che i due dischi d’esordio  non ebbero alcun successo in Usa viene abbandonato dalla sua casa discografica e torna a fare il muratore e a suonare la chitarra per puro divertimento. Si sposa (anche se la moglie è l’unico vero fantasma di questa storia) ha tre figlie, si candida a sindaco di Detroit, perde le elezioni, si laurea in filosofia. Da ciò che raccontano le figlie è stato un bravo padre, curioso e colto che le portava nei musei e discuteva di politica.

Poi è stato “ritrovato” e nel 1998 ha fatto alcuni concerti in Sudafrica di grandissimo successo,  l’incarnazione da vivo di un fantasma che per decenni aveva vissuto solo nelle copertine dei suoi due dischi.

Poi c’è stato il documentario che ha raccontato questa storia e che ha vinto l’Oscar 2013 per il miglior documentario. Oggi questa è  divenuta una storia globale.

Che commuove e che ha commosso tutto il mondo.

Ma cosa ci commuove?

Discutendo con alcuni giovani intorno a un bicchiere di vino dopo aver visto Searching for Sugar Man ho chiesto a ciascuno di loro quale fosse il punto più commovente di questa storia.  Per Giulia il punto commovente è il tempo che Rodriguez ha perso, il tempo della sua vita che non tornerà più. Per Brian, che nella vita studia archeologia dell’Africa, il punto doloroso fino alle lagrime è l’isolamento che ha avuto il Sudafrica ai tempi dell’apartheid. Questo isolamento  spiega che la notorietà in Sudafrica non ha lasciato segno nel resto del mondo. Amatissimo lì, questo amore in un mondo isolato, non ha potuto essere esportato. E in fondo fare il cantante di bar a Detroit assomiglia a essere isolati come nel mondo africano. La povertà e l’oppressione dei posti esclusi del mondo.

Per Stefano il punto doloroso di questa bellissima storia è che se sei sparito chiunque può sparire e molti non verranno mai ritrovati, trovati, il dolore delle vite che non hanno qualcuno che le sappia raccontare.  Per fabrizio è la restituzione dell’equità ad una storia che era stata profondamente ingiusta.

Per Livia  la commozione ha a che fare con la morte che è vicina, con il timore che la morte arrivi, e lo porti via ora, che ha più di settanta anni e sembra che la sua vita abbia finalmente raggiunto il punto del riconoscimento che gli era dovuto.

Questo discorso, la memoria che unica permette alle storie di vivere e alle vite di avere avuto un senso, mi ricorda un libro struggente e straordinario di Daniel Mendelsohn che ho letto in questi mesi, si chiama The Lost, e racconta la puntigliosa ricerca di una famiglia ebraica persa nella catastrofe della seconda guerra mondiale, al confine tra Polonia e Ucraina.  Cercare e trovare la storia di ciascuno è costruire il senso stesso di queste vite perdute.

Ma non è questo il tema che segna il nostro secolo a cavallo tra novecento e il secondo millennio? Anche il narratore della Recherche, che non è il protagonista Marcel, ma colui che costruisce il libro,  mettendo insieme tutti i pezzi della memoria del protagonista in una sintesi, dà un senso, costruisce e spiega, un secolo intero, e forse la vita stessa.  Proust scrisse l’ultimo capitolo della Recherche dopo avere scritto il primo. Un cerchio chiuso,  che era già previsto all’inizio.

Cosa ha commosso me in questo documentario che consiglio a tutti di vedere? La melanconia del tempo perso ma anche la commozione, tutta novecentesca del lieto fine. La visione del concerto a Capetown del ‘98, dove, alla fine Rodriguez, sul palco appare, come se nulla fosse, si mette a suonare, e le sue canzoni sono straordinariamente belle (una voce struggente e unica al servizio di queste canzoni) e cantate da tutti tra le lacrime,  è la commozione del lieto fine che tutti sogniamo, quando la vita ci chiede prove dure e difficoltà,  e sembra non darci la speranza che tutto alla fine andrà in ordine. La commozione in realtà è dolorosa ma anche piena di speranza.

E come è accaduto a Milano con il suo concerto di questi giorni, tutti vorremmo un lieto fine, essere accompagnati sul palco, tremanti e anziani, per un ultimo applauso.

 

VIDEO: Crucify your mind. Sixto Rodriguez

RIFERIMENTI: 

 

 

 

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SCRITTO DA
Sandra Sassaroli
Sandra Sassaroli

Presidente Gruppo Studi Cognitivi, Direttore del Dipartimento di Psicologia e Professore Onorario presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna

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