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Possessività: l’amore patologico – Psicologia & Relazioni sentimentali

Possessività: l'amore patologico - Amare qualcuno, ahimè, vuol dire riconoscerlo nella propria individualità, ma soprattutto significa essere liberi.

Di Francesca Fiore

Pubblicato il 19 Mar. 2014

 

 

Possessività: l'amore patologico. Relazioni sentimentali. -Immagine: © Creativa - Fotolia.comAmare qualcuno vuol dire riconoscerlo nella propria individualità, ma soprattutto significa essere liberi. Contrariamente a quello che si pensa unione non significa fusione, niente di più sbagliato, ma rispetto della libertà altrui.

La parola amore si fa risalire al termine sanscrito kama ovvero desiderio, passione, attrazione. Anche il verbo amare deriva dalla radice indoeuropea ka da cui (c)amare cioè desiderare in maniera viscerale, in modo integrale, totale… Mannaggia, comincia l’inganno! Un’altra interpretazione etimologica della parola amore, fa risalire il termine al verbo greco mao: desiderio, da cui il latino amor da amare che indica un’attrazione esteriore, quasi animalesca.

Un’ulteriore e meno probabile ma curiosa ed interessante interpretazione etimologica della parola amore individua nel latino a-mors, senza morte, l’origine del termine, quasi a sottolineare l’intensità senza fine di questo potentissimo sentimento. Quindi, io voglio te e solo te in maniera univoca, animalesca e per l’eternità!

Pare sia insito nella parola amore il concetto di unione e fusione che accompagna e correda questo temine, e l’inganno continua! Amare qualcuno, ahimè, vuol dire riconoscerlo nella propria individualità, ma soprattutto significa essere liberi. Contrariamente a quello che si possa pensare unione non significa fusione, niente di più sbagliato, ma rispetto della libertà altrui.

Mi spiego meglio, amare qualcuno è riconoscere la persona per quello che è con i suoi pregi e difetti lasciandolo libero di essere se stesso anche e soprattutto nella relazione di coppia. Chiaro, non è facile amare in maniera libera e sana mantenendosi indipendenti, rispettando l’individualità dell’altro, preservandone volontà e identità. Spesso, infatti, anziché dare e ricevere amore si precipita in situazioni che bloccano, fanno soffrire e portano all’implosione della coppia.

Una delle forme di falso amore è la possessività spesso scambiato per gelosia ma è qualcosa di ancora più forte, profondo, connaturato e atavico. E’ uno specchietto per le allodole che lo confondono per dimostrazione di affetto, ed ecco che l’inganno si esplicitata!

Le relazioni di coppia fluttuano tra passione, coccole, pariteticità, crescita a scambio reciproco. Quando ci si focalizza sul vicendevole possesso si vira ineluttabilmente e irrimediabilmente  verso la distruzione del rapporto.

La dinamica relativa all’amore e alla possessività è forse il frutto di una serie di messaggi che giungono a noi da film, romanzi ed anche da certe fantasie ancestrali che hanno visto nell’essere una sola cosa, qualcosa di fantastico da rincorrere a tutti i costi. Si crea in questo modo un distacco dal reale e ci si cela nell’anelato amore fantasticato, nulla a che vedere con la realtà oggettiva dei fatti. E’ frutto dell’amor cortese, il voler fare tutto insieme al partner; concetto su cui si proiettano le timidezze dei tanti cuori solitari.

Si parte dalla gelosia, che se eccessiva, sfocia nella possessività, cioè possedere l’altro e la sua libertà. La libertà è la fiducia che permette di vivere una vita di coppia felice. Il controllare l’altro è il manifestarsi di una profonda insicurezza relazionale che ha origini antiche. Chi è possessivo è fragile, insicuro, e si definisce con l’altro e nell’altro.

La possessività è uno stato profondamente infantile, il bimbo vuole possedere tutte le attenzioni e l’affetto della madre. Questo stato può mantenersi anche nella condizione adulta quando si creano grandi screpolature di insicurezza, fameliche di essere riempite fino a fagocitare e divorare le persone e le cose per garantirsi un’assoluta certezza e fedeltà.

Senza te non esisto!

Certo, la fase di innamoramento un po’ somiglia alla possessività, ma è assolutamente naturale che all’inizio si ha voglia di condividere tutto con l’altro, serve infatti a far crescere il sentimento e ad avvicinarsi. Il pretendere di voler mantenere questo tipo di rapporto oltre la fase dell’innamoramento determina la rottura della relazione e inizia il sabotaggio: che la fine abbia inizio!

Rendere “proprio” l’altro significa portarlo a rispondere a propri bisogni affettivi derivanti dal passato che non potranno mai essere colmati. Quindi, si pensa che la totale devozione dell’altro gratifichi e colori la vita di senso.

Il possesso è qualcosa che invade totalmente fino a non consentire quasi più la vita e l’autenticità di una persona. E’ indubbio che vi sono gradi diversi di possesso, da quello apparentemente bonario che fa leva sui bisogni infantili e che si comporta in modo “benevolo” verso l’altro, a la vera e propria “possessione” che ha lo scopo di limitare e di avere potere totale sull’altro fino a bloccarlo in ogni sua espressione, in casi estremi anche la vita.

La fusione con l’altro è un bisogno umano talmente profondo e antico, spesso è stata paragonata alla ricerca del paradiso perduto; gli psicoanalisti parlavano di ritorno nell’utero materno e i poeti si riferivano a uno stato catatonico tale da privare i partner di alcuni bisogni primari: perdita di sonno, appetito etc.

Insomma, in una relazione di coppia  sana, durevole e gratificante si dovrebbe saper modulare la distanza tra i due componenti, quella distanza di primaria importanza che riguarda il rispetto della persona e ancora prima si basa sul riconoscimento dell’altro. In mancanza di questa distanza, si cede al bisogno irrefrenabile di fusione totale e completa tanto da arrivare a smarrire i confini con il proprio Sé. La conseguenza è la sensazione di soffocamento e oppressione che l’altro respira.

Il progetto di coppia dovrebbe essere quello di far crescere ed evolvere entrambi i partner affrontando all’unisono e non in maniera fusionale le difficoltà. L’amore è libertà, e, se sostituito dalla negazione della stessa, ovvero possessività, è destinato a finire.

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