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Posseduta – Centro di Igiene Mentale – CIM Nr.04 – Storie dalla Psicoterapia Pubblica

Centro di Igiene Mentale Nr.4 - La richiesta era giunta direttamente dal Vescovo, che voleva vederci chiaro nel caso di una ragazzina sospetta indemoniata..

Di Roberto Lorenzini

Pubblicato il 24 Mar. 2014

– CIM CENTRO DI IGIENE MENTALE – #04

Posseduta

– Leggi l’introduzione –

CIM-NR.4 Posseduta. - Immagine: ©AlexTihonovFotolia.comAl CIM la scelta degli operatori per una chiamata di emergenza tiene normalmente conto della reciproca intesa, della complementarietà professionale e caratteriale e, talvolta, della sommatoria della massa muscolare.

Quella volta le condizioni vennero dettate dall’esterno.

Serviva una squadra tutta femminile, dovendo intervenire all’interno del monastero delle suore della Consolata.

La richiesta pressante giungeva dal vescovo di Vontano, che voleva vederci chiaro nel caso di una ragazzina sospetta indemoniata, ospitata transitoriamente nel bel convento che caratterizza il profilo del Monte Marzucco, dietro il quale si nasconde il sole al tramonto. 

La scelta fu dunque facile: come medico la dottoressa Mattiacci, la psicologa Daniela Fiacca e le infermiere Gilda e Luisa.

Arrivate poco prima dell’ora di pranzo furono invitate dalla superiora Suor Simona a consumare il frugale pasto con le consorelle cui venne spiegato il compito di quella strana squadra, con l’invito a collaborare ad ogni loro richiesta. Con una telefonata era stata avvertita Anna, la madre della ragazzina, perché raggiungesse anch’ella il convento. Se lo scopo dell’assenza di operatori maschi doveva preservare il voto di castità del luogo, il risultato fu completamente fallito: la provocante bellezza di Gilda non rispettava i confini di genere, nella sua vita aveva sempre ricercato il piacere sessuale senza far troppo caso a chi fosse in grado di dargliene.

Abituata a sentire su di sé lo sguardo voglioso di uomini e donne avvertì, dal momento dell’entrata in convento un flusso di desiderio saffico avvolgerla ad ogni movimento. L’idea della trasgressività della situazione ne stimolarono inconsapevolmente l’innata seduttività.

Don Alfonso, padre spirituale e confessore del convento, ebbe il suo bel da fare nel confessionale la domenica successiva e non trovò spiegazione migliore all’impennata di pensieri e atti impuri della presenza del demonio nell’animo della ragazzina ospitata.

Il primo colloquio si tenne nella biblioteca del convento tra la signora Anna, madre di Luana, e  la dottoressa Fiacca per ricostruire tutta la storia. Il materialismo militante della psicologa si trovò subito a fronteggiare un mondo dove il soprannaturale era la norma.

La signora Anna  è fortemente preoccupata per il futuro, proprio e della figlia, con un solo stipendio di assistente sociale e senza nessun contributo da parte del marito che tratteggia rapidamente come un debosciato, violento “senza arte nè parte”. Alla preoccupazione si è aggiunta da alcuni mesi la tristezza generata dalla scomparsa della anzianissima madre, morta in clinica psichiatrica dove era ricoverata per un delirio mistico che si è presentato nelle varie generazioni in più membri della sua famiglia. Lo scientismo materialista della dottoressa Fiacca si rassicura per la positività dell’anamnesi familiare, ma subito Anna le chiede se sia o meno credente. Non avendo timore di finire all’inferno, mente spudoratamente ed il resoconto di Anna riprende con maggior passione.

Anna nasce figlia unica 55 anni fa in un minuscolo paesino del Lazio da una famiglia di contadini onesti, lavoratori e timorati di Dio e vive fino ai diciotto anni nella stretta cerchia dei parenti, serrata a proteggerla dalle insidie del mondo. Inesperta, si invaghisce di un bell’imbusto di passaggio. Un Peter Pan di Firenze che, orfano, vive con una zia iperprotettiva con la quale ha un rapporto simbiotico e se la cava con espedienti post sessantottini, collanine e manufatti personalizzati e non disdegna l’uso di sostanze diffuse tra i figli dei fiori.

Forse fu proprio lo stordimento dovuto alle droghe, unito alla baldanzosa euforia ormonale dei diciotto anni, che consentirono a Marcello di superare il serio ostacolo posto dall’aspetto fisico di Anna che si distingueva per sgradevolezza, anche in un tempo in cui le donne brutte erano molto più diffuse di oggi e portarono in un colpo solo alla perdita della verginità che Anna intendeva donare al Signore, considerato anche lo scarso valore di mercato che aveva tra gli umani e all’annidamento nel suo utero di un assembramento di cellule primo abbozzo della futura Luana.

Forse fu proprio l’innato atteggiamento oblativo da assistente sociale, quale sarebbe poi diventata, che spinse Anna a volersi dedicare a Marcello cercando di trasformarlo in un responsabile padre di famiglia.

Ma lui e la sua forse incestuosa zietta non vedevano di buon occhio il progetto di redenzione dell’orfano dei fiori. Marcello tentò in tutti i modi possibili di far abortire Anna con una strategia fai da te consistente nel massacrarla di botte. Le botte rimasero da allora una costante della loro relazione e più volte la piccola Luana le salverà la vita chiamando i soccorsi dopo averla trovata riversa in un lago di sangue, in tal modo ricambiando il dono fattole dalla madre che l’aveva protetta  dalla furia abortiva del padre.

Ognuna salva e vigila sulla vita dell’altra, costantemente minacciate da tutto ciò che è esterno alla loro diade simbiotica. Anna raggiunge Marcello a Firenze decisa a fargli accettare il suo ruolo di padre e, durante la sua assenza, suo padre si suicida, forse per l’intollerabile vergogna, con un colpo di pistola in bocca. Il gesto e la sua assenza in quel frangente saranno sempre vissute da Anna come una gravissima colpa per riparare la quale si dedica totalmente alla cura della madre vedova.

La vita di Anna è offerta completamente al Signore anche senza potergli donare il fiore della sua verginità, alla cura della madre della figlia e del prossimo più sfortunato con il suo lavoro di assistente sociale.

E’ una esistenza di risarcimento ed espiazione.

Marcello, dal canto suo, frequenta moltissime donne ma non abbandona mai la sua zietta fiorentina e continua a malmenare Anna ogni qual volta gli si fa sotto. Fa perdere le sue tracce in Australia non avendo trovato sul pianeta una terra più lontana dall’Italia. Dopo sei mesi cessa l’invio del vaglia con cui contribuiva per il mantenimento di Luana.  Anna dorme poco e male (il sonno si vedrà essere un tema drammaticamente ricorrente) e prova tristezza per la recente morte della madre, verso la quale prova anche sensi di colpa per averla “rinchiusa in clinica” e per aver provato nascostamente sollievo alla notizia della sua scomparsa.

L’incontro con Luana avviene invece nella sua cameretta e vi partecipa oltre a Daniela anche la dottoressa Mattiacci.

Per una questione medico-legale è importante la presenza di un medico.

Luana è un po’ spaesata, essendo giunta in convento la mattina stessa, in fuga da una cosiddetta comunità terapeutica. Arriva accompagnata per mano dalla superiora Suor Simona.

Appare molto più bambina dei suoi 22 anni anagrafici e viene naturale pensarla come una ragazzina qualsiasi, vestita semplicemente e con qualche chilo di troppo.

E’ visibilmente spaventata e chiede continue rassicurazioni circa il fatto che non sarà più rimandata nella comunità di Perugia dove ha trascorso gli ultimi tre mesi da incubo.

Suor Simona, bionda, magra e delicata ma di rocciosa solidità è la giovane superiora con una laurea in psicologia che si pone come figura protettiva e materna e la lascia solo dopo essersi assicurata che Luana sia tranquilla con Daniela e Lina. In un contesto clinico si sarebbe scritto in cartella che “la paziente è orientata nel tempo e nello spazio, accede volentieri al colloquio e non presenta manifestazioni psicopatologiche di alcun genere”: Luana è una ragazza estremamente lucida, consapevole e molto intelligente che racconta volentieri la sua storia ed ha con le due operatrici un ottimo rapporto empatico, non sembra esserci alcunché di psicotico.

Allora, però, se non è matta, pensano le due, a cosa attribuire le incredibili manifestazioni che hanno allarmato il vescovo? Sarà davvero indemoniata? Se non fossero a conoscenza dei risvolti ultraterreni della vicenda e di tutte le figure che vi ruotano o svolazzano intorno, dopo mezz’ora sarebbero sulla strada del ritorno con beneficio spirituale delle consorelle ora tutte prese dalle chiacchiere con Gilda sul degrado morale degli attuali costumi sessuali.

Ma la vicenda, al di là del demonio, si fa interessante e la sua brillante e profonda narrazione avvince.

Luana ricorda un’ infanzia segnata dalla continua guerra tra il padre e la madre. La madre descriveva il padre come un demonio ma la spingeva ad andare da lui a Firenze perché questo spetta ad una brava figlia. Quando il padre era presente le liti tra i genitori esplodevano furibonde e ricorda spesso la madre a terra insanguinata e lei che chiama l’ambulanza. Quando il padre non c’era le liti erano tra la madre e la nonna descritta come iperansiosa, controllante e fissata con la religione. 

Il padre non tollerava di stare con loro anche per questa presenza, asfissiante per tutti, lo ricorda stordito dalle sostanze e inaffidabile ma mai direttamente violento nei suoi confronti. La madre invece mai disponibile per lei, presa dalle liti con il padre, le cure della vecchia madre e dei suoi utenti.

Parla volentieri dei suoi sintomi. Convinta della sua possessione o, in alternativa, della sua follia, racconta di aver avuto tutti i possibili disturbi tra cui degli attacchi di panico che non risultano essere tali. Il primo, infatti,  consiste in uno svenimento a seguito di una sigaretta fumata a digiuno. Scivola a terra e la madre lascia perdere tutto per occuparsi di lei. A quel punto consapevolmente resta a terra e si lamenta eccessivamente beandosi dell’attenzione della madre finalmente richiamata. Luana dice di aver compreso allora che l’unico modo per avere l’attenzione della madre era star male. Insomma “piccole isteriche crescono”.

La scuola di perfezionamento la fa alle cosiddette “messe di liberazione”, di per sé pratiche innocue in quanto preghiere a favore dei malati, dove viene spinta dalla nonna con l’argomentazione che “non si sa mai” e poi “pregare certamente non fa male a nessuno”.

L’ambiente però è mal frequentato e Luana assiste a clamorose crisi isteriche di fronte ad un pubblico che esalta entusiasticamente le più teatrali. Ne resta turbata e chiede di non andarci più, in accordo con la ferma presa di posizione laica del padre.

Ma agli occhi di chi ha una fede primitiva, tanta ignoranza ed una tendenza al delirio, cosa può significare questo rifiuto? Ovviamente che il demonio, che si è introdotto nella ragazzina, vuole fuggire dall’incontro con Dio. 

In questo modo si entra in una terribile spirale confirmatoria tipica anche della malattia mentale. 

Infatti una volta che intervengono gli psichiatri, qualsiasi tentativo di mostrare la propria sanità mentale e magari l’irritazione per essere considerati folli divengono ulteriori prove dello stato di follia, come ha dimostrato la famosa “beffa di Roshenam”.  Altrettanto con gli esorcisti: non  è forse la prima delle astuzie del demonio quella di far credere che non esiste?

Tornando alla sua realtà di quattordicenne bruttina e timida racconta delle difficoltà ad inserirsi nel gruppo classe, dei primi turbamenti sessuali con relativi sensi di colpa. Poi, finalmente, una cotta per Marco di tre anni più grande e i sogni di normalità. Escono persino un paio di volte insieme e lui mostra un interesse per il suo fisico ma viene respinto fermamente. Mamma Anna, forte della sua esperienza con Marcello, l’ha messa in guardia: il sesso è la via maestra per l’inferno. Così, dopo mesi di inutile assedio alla virtù di Luana, Marco durante una gita scolastica si mette con una ragazzetta più grande e disponibile. Per Luana è il dolore allo stato puro. Vede confermate le sue previsioni di solitudine, emarginazione e derisione. E’ diversa dalle altre. Si sveglia la notte e rimugina ossessivamente su quanto è successo, cercando le sue colpe e le sue mancanze.

Si preoccupa del sonno disturbato, sintomo del nonno nel periodo precedente al suicidio e lo dice alla mamma. Anna inizia a dormire nel letto con la figlia per controllarla e pensa ad interventi terapeutici più sostanziosi che non le semplici messe di liberazione.

Luana ha ottenuto la vicinanza della madre che le dorme accanto, ma paga il prezzo di un escalation di esorcismi verrebbe da dire “privati”, nel senso di professionisti scaccia diavoli non organici alla chiesa, ma dotati di poteri particolari che utilizzano per sbarcare il lunario. Il problema del sonno permane richiedendo interventi sempre più massicci. Attualmente Luana sostiene una cosa inverosimile, perché incompatibile con la vita e cioè di non dormire da quattro anni. Leggende analoghe riguardano il nonno suicida.

Ogni incontro con gli scaccia demoni se non risolve la sintomatologia aiuta però a confermare la diagnosi per il suo comportamento rifiutante.

Luana è piena zeppa di demoni e di quelli importanti. La loro presenza si manifesta oltre che con l’ insonnia con vizi notoriamente ispirati dal maligno come il fumo e l’assunzione di caffè che lei ha infatti eliminato da quattro anni.

Il fatto di essere trattata da indemoniata a motivo delle convinzioni della madre e del delirio della nonna non era la cosa peggiore che potesse capitare a Luana. Il peggio doveva succedere negli ultimi tre mesi quando la gestione è passata ai colleghi strizzacervelli.

Anna, abbattuta dal lutto della propria madre, aveva gettato la spugna e Luana era stata inviata in una comunità terapeutica vicino Perugia.

Questa comunità mette insieme matti, tossicodipendenti di tutti i tipi, internati sottoposti dal giudice a misure di sicurezza, barboni e ogni sorta di umanità sofferente e marginale. La gestione, sotto la guida della chiesa locale, è affidata ad ex ricoverati che si gettano con zelo e certezze assolute come solo gli ignoranti possono avere nel recupero delle anime in via di perdizione per qualsivoglia vizio. La filosofia di fondo è che tutto il male provenga dalla mancanza di regole, dal proprio egoismo e dall’orgoglio lo stesso, in definitiva, che portò alla rivolta di Lucifero. 

Di conseguenza la terapia consiste essenzialmente nell’imposizione di regole e nella sistematica vessazione e umiliazione. Il paziente va domato, deve abbassare la cresta, riconoscere chi comanda. E’ chiaro che una tale impostazione si presta a tirare fuori il peggio da operatori già evidentemente disturbati per il loro passato, se persino persone normali e oblative possono diventare aguzzini feroci come ha dimostrato l’esperimento di Zimbardo nel laboratorio di Stantford .

La situazione di Perugia è particolarmente grave e Luana vive tre mesi di incubo, maltrattamenti e umiliazioni di ogni genere, tanto chi crederebbe alle denunce di una povera matta? E’ costretta a riferire, sotto minaccia, al vescovo che si trova bene. Gli ospiti non possono comunicare con l’esterno. La situazione se possibile peggiora ancora, dopo  l’arresto per abusi sessuali di Don Lucio. Il suo sostituto è un laico ex tossico che sentendosi accerchiato dalla magistratura si fa ancora più minaccioso.

Quella mattina Luana ha lasciato la comunità, ma per avere la certezza che torni non le hanno permesso di portar via le sue cose e i documenti. Si sta facendo tardi  e l’ultima parte del colloquio è dedicata al futuro. Luana chiede solo di dormire e insieme concordano che i farmaci non basteranno. Sarà necessaria anche una vita migliore e lei esprime il desiderio di allontanarsi dal suo paesino e studiare scienze infermieristiche o imparare un lavoro più pratico legato al mondo dell’estetica. Ricompare Suor Simona che dice di aver forse trovato una sistemazione per Luana e la madre in un luogo a metà strada, in modo che Anna può facilmente raggiungere il suo lavoro al paese e Luana con il treno rapidamente Roma che offre tutte le possibilità di studio e di lavoro, per costruire la sua esistenza lontana da strizzacervelli e scaccia diavoli.

Si concordano una serie di incontri a tre in cui affrontare il problema e Luana aggiunge una richiesta che denota ulteriormente il suo buonsenso: vorrebbe fare una psicoterapia per rimettersi in carreggiata. 

Se tutto finisse qui sarebbe stato un pomeriggio utile ma c’è ancora una incombenza: la preghiera o il cosiddetto esorcismo per cui sta per arrivare Don Riccardo, padre amoroso e comprensivo per i suoi fedeli di giorno e implacabile cacciatore di demoni dopo il crepuscolo. Luana esprime chiaramente il suo desiderio di soprassedere almeno per oggi.

E’ stata una giornata impegnativa. Sveglia nella comunità, poi la fuga, poi tre ore con quelle del CIM… le sembra di aver dato abbastanza.

Ma la macchina purificatrice è già in moto. Daniela, Luisa, Gilda e Lina non riescono ad opporsi con fermezza, per non entrare in conflitto con l’ambiente che per il momento accoglie Luana e che le bollerebbe come presuntuose materialiste con odore di zolfo o forse anche perché sono curiose di vedere l’epifania del soprannaturale, non vogliono perdersi lo spettacolo e per questo si sentiranno lungamente in colpa.

Ci sono tre suore col ruolo di testimoni. La squadra scaccia demoni è costituita oltre che da Don Riccardo, l’esorcista titolare, da altri quattro aiutanti. Tutti i cinque uomini di Dio mostrano segni di possessione alla vista di Gilda, in maniche corte per la temperatura del convento. La formazione: frate Gabriele, giovane esorcista in formazione, che sembra uscito da un volume di Dan Brown con il suo saio elegante e severo e gli avambracci protetti da una guaina di pesante cuoio fermata con delle fibbie in metallo per proteggersi da morsi e graffi; Mario, un ex ammiraglio vedovo che porta il suo contributo immobilizzando, con i suoi 90 kg, il corpo dove ha trovato dimora il maligno; Livio, un sacrestano sessantenne con l’aria annoiata di chi è costretto agli straordinari rimandando la cena, che prepara gli strumenti per il rito, un materassaccio a molle, gettato in terra, cuscini per la testa di Luana e cuscini per coloro che vi si getteranno addosso, l’aspersorio con l’acqua santa che inonderà Luana ma raggiungerà tutti per maggior sicurezza, il libro con il testo del rito, rotoli di scottex per pulire la bava e gli sputi, che sono attesi.

Luana si siede al centro del materasso con intorno nove persone adulte di cui sei uomini, il suo sguardo dice “ora sono davvero al centro dell’attenzione”. 

Nel frattempo è sopraggiunta la madre, si accovaccia al suo fianco e la avvolge in un abbraccio che mette i brividi. Dall’abbraccio con la madre Luana riemerge diversa, sguardo nel vuoto, inespressiva, rassegnata e pronta a recitare la sua parte. Poi accade quanto tutti si aspettano che accada, uno spettacolo di estrema violenza, ancor più inquietante in quanto fatto certamente a fin di bene e volto esplicitamente al benessere della vittima. Del resto qualche secolo addietro ci sarebbe stato, sempre a fin di bene, il rogo.

Tutti i maschi presenti si gettano su Luana per immobilizzarla, a lei spetta la parte di chi si divincola e non delude le aspettative. Scalcia, urla con voce rauca, in  perfetta sincronicità con Don Riccardo le sue imprecazioni diventano più forti quando lui affronta i passaggi più enfatici con voce stentorea e mostra un accanimento maggiore con gli schizzi dell’aspersorio. Si vede che hanno provato altre volte, tuttavia la qualità della rappresentazione resta dilettantesca e qualsiasi attore amatoriale farebbe di meglio.

Le pie donne, madre e suore, si affaccendano in preghiere di sottofondo e asciugano il volto di Luana madido di sudore e di acqua santa. Don Riccardo fa notare alle infedeli del CIM gli sputi di Luana come prova incontrovertibile della presenza del demonio. Gilda, indomita comunista, gli fa notare che se uno è immobilizzato quella è l’unica forma di reazione possibile ad un aggressione. Don Riccardo è vistosamente preso da Gilda più che dalle sue osservazioni.

Appena data la benedizione finale tutti si abbracciano provati e soddisfatti del lavoro compiuto.

Nella riunione generale del servizio si decide una psicoterapia familiare con il dr. Irati e la ricerca di un lavoro protetto in ambito estetico per Luana che viene anche iscritta ad un corso regionale per operatori socio sanitari.

Fortunatamente si ritiene inutile qualsiasi trattamento farmacologico. Si scoprirà più tardi, infatti, che Luana al momento della fuga dalla comunità di Perugia era incinta di tre settimane e partorirà a luglio.

 

 

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