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Ciò che mi nutre mi distrugge – Documentario – Recensione

Disturbi Alimentari: Ciò che mi nutre mi distrugge - Recensione del Documentario - DCA Disturbi del Comportamento Alimentare

Di Redazione

Pubblicato il 27 Mar. 2014

Maurizio Brasini

 

CIò CHE MI NUTRE MI DISTRUGGELa sfida ulteriore, dopo averci invitati nella stanza della terapia, è di farci assistere con un senso di partecipe normalità; in effetti, dentro la stanza incontriamo persone simili a noi che insieme affrontano temi di vita che ci accomunano a loro.

Ci sembra di esserci già stati, in quei luoghi, ci sembra che quelle quattro storie siano una storia sola, che parli anche a noi e non soltanto: che parli anche di noi.

Ciò che mi nutre mi distrugge (Quod me nutrit me destruit)” è un documentario di Raffaele Brunetti e Ilaria De Laurentiis, interamente girato nel Comprensorio di Santa Maria della Pietà, all’interno dell’Unità Operativa Semplice Dipartimentale “Disturbi del Comportamento Alimentare” della ASL Roma E, diretta dal dr. Armando Cotugno, ideatore del progetto.

Il documentario racconta un anno del percorso terapeutico di quattro donne affette da disturbi del comportamento alimentare. Tra i numerosi elementi di pregio di questo documentario, uno in particolare mi ha colpito: a mio avviso, attraverso quest’opera si dimostra, con pacata efficacia, che la sofferenza non è un fatto privato.

E’ nota la storia di come nella nostra cultura il dolore e la sofferenza siano diventati istituzionalmente una faccenda privata: si parte dalle pratiche rituali di guarigione collettive per approdare al patto di “privatezza” (privacy) che fa da presupposto alla relazione tra terapeuta e paziente. Questa è la prassi che dà forma alla nostra esperienza, fino a diventare un’abitudine di pensiero.

Ebbene, “Ciò che mi nutre mi distrugge” sovverte questa prospettiva già nelle premesse, dal momento in cui un terapeuta ed una paziente, di comune accordo, invitano nella stanza della terapia il pubblico. Mi rendo conto che solo assistendo alla proiezione in una sala cinematografica, presenti autori e protagonisti, ho avuto la giusta misura di quanto coraggio richiedesse un’operazione simile.

Dentro la stanza della terapia le persone si espongono, sono fragili; sono, con le parole di una delle protagoniste del documentario, umane. Dentro quella stanza è rischioso invitare un pubblico profano, abituato a quella ormai diffusa spettacolarizzazione della sofferenza che è conseguenza nefasta della sua privatizzazione (perché è legge di mercato che ogni cosa privatizzata si presti ad essere poi sfruttata a fini commerciali).

La sfida ulteriore, dopo averci invitati nella stanza della terapia, è di farci assistere con un senso di partecipe normalità; in effetti, dentro la stanza incontriamo persone simili a noi che insieme affrontano temi di vita che ci accomunano a loro. Ci sembra di esserci già stati, in quei luoghi, ci sembra che quelle quattro storie siano una storia sola, che parli anche a noi e non soltanto: che parli anche di noi.

La speranza è che questo documentario venga distribuito nelle sale, che la gente possa vederlo in contesti collettivi, perché quello che accade somiglia ad uno di quei classici esperimenti di psicologia sociale, dove basta creare le condizioni favorevoli e tutti fanno la cosa giusta. Personalmente, da qualche giorno nella stanza del mio studio privato non posso fare a meno di tenere aperta una finestra.

 

Per maggiori informazioni

www.ciocheminutremidistrugge.com.

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