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Terapia metacognitiva interpersonale di Dimaggio, Montano, Popolo e Salvatore

Psicoterapia: Il Manuale di Terapia Metacognitiva Interpersonale di Dimaggio, Montano, Popolo e Salvatore (2013), Edito da Raffaello Cortina Editore.

Di Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 10 Feb. 2014

Terapia metacognitiva interpersonale

di Dimaggio, Montano, Popolo e Salvatore

Raffaello Cortina Editore – 2013

 

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Terapia metacognitiva interpersonale . © CLI-263-Dimaggio-SIn questo manuale la Terapia metacognitiva interpersonale è descritta nelle sue procedure passo-dopo-passo, al fine di guidare l’azione del clinico in ogni momento del trattamento, dalla formulazione congiunta del caso alla progettazione e realizzazione del cambiamento.

Mi pare che “Terapia metacognitiva interpersonale dei disturbi di personalità” di Giancarlo Dimaggio, Antonella Montano, Raffaele Popolo e Giampaolo Salvatore, pubblicato da Raffaello Cortina nel 2013, sia quella descrizione definitiva e da lungo tempo attesa di questo forte modello di psicopatologia cognitiva.

Ma è anche un tentativo, già in buona parte riuscito, di formalizzare il modello in un protocollo flessibile di pratica clinica. Insomma buona teoria, secondo la tradizione italiana, ma anche buona pratica, come ci insegnano i colleghi anglo-sassoni.

Leggere Dimaggio e i suoi collaboratori mi concede il divertente gioco di riflettere sulle differenze con gli altri modelli metacognitivi: il modello del Terzo Centro di Semerari, Carcione, Nicolò e Procacci, alla cui edificazione aveva collaborato lo stesso Dimaggio (Dimaggio e Semerari, 2007); il modello di Adrian Wells (Wells, 2009); e il modello di Fonagy (Bateman e Fonagy, 2010).

La Terapia Metacognitiva Interpersonale (ovvero la TMI) condivide con Semerari l’attenzione per i cicli interpersonali, ma insiste di più sugli interventi di tipo espressivo e metacognitivo. Per Dimaggio e i suoi collaboratori il paziente con disturbo di personalità (che è il paziente bersaglio della TMI) ha un difetto di riflessione e di contatto con i propri stati mentali.

Egli compensa questa carenza usando un linguaggio intellettualistico e sostanzialmente evitante. Cosicché in terapia egli finisce spesso per abbandonarsi a considerazioni pessimistiche sul mondo, la politica, la decadenza dei tempi e dei costumi. In questi discorsi generici traspare il malessere interpersonale del paziente (che soffre di dolorosi sentimenti di esclusione ed emarginazione) ma emerge anche la sua mancanza di consapevolezza interiore.

A questa carenza gli autori TMI (come da questo momento chiamerò Dimaggio, Montano, Popolo e Salvatore) suppliscono incoraggiando continuamente il paziente a tornare sulla terra, a portare esempi concreti di questo malessere generale, ad andare oltre il vago rammaricarsi sulla decadenza dei tempi e a descrivere episodi di vita vissuta in cui iniziare a ricollegarsi con ciò che si è davvero sentito in quel momento, sia nel campo interiore metacognitivo che in quello relazionale e interpersonale.

Qual è la differenza tra gli autori della TMI e Semerari e i suoi collaboratori del Terzo Centro? Essi condividono poco questo lavoro esplicito sugli stati mentali e invece teorizzano che il processo terapeutico avvenga completamente attraverso il canale non verbale, ma relazionale. Per Semerari e i suoi collaboratori, la fuoriuscita dai cicli patologici avviene esclusivamente attraverso il diverso modello relazionale che avviene in seduta, attraverso la famosa disciplina interiore che permette al terapeuta di non cascare nelle provocazioni attivanti del paziente.

Per Semerari “un ciclo interpersonale è un processo relazionale in cui i due partecipanti sono spinti ad agire in modo da rinforzare la patologia di uno dei due. In quanto processo relazionale, quindi, cessa quando uno dei due non ha più questa tendenza d’azione. Non c’entra niente con quello che si dice al paziente. Il terapeuta esce dal ciclo con operazioni di disciplina interiore e passa da una posizione relazionale problematica ad una empatica”. Questo è vero anche per gli autori della TMI. Questo però non significa che il canale cognitivo esplicito consapevole sia del tutto ininfluente.

In un certo senso, Wells e il gruppo TMI sono separati da una simile differenza. Anche per Wells il difetto metacognitivo è non verbale, e consiste in disfunzioni del processo attentivo. E anche per Wells la terapia è non verbale, consistendo un riaddestramento attentivo. Tuttavia, ci sono differenze anche tra Semerari e Wells: per l’uno il problema è interpersonale, per il secondo attentivo. E in questo Semerari e il gruppo TMI sono più vicini tra loro.

Sembrerebbe che il modello TMI goda della massima vicinanza con il modello di Fonagy. Il modo in cui Bateman e Fonagy descrivono la carenza di mentalizzazione è prossimo alla concezione che si ha, nel modello TMI, delle carenze di metacognizione nei pazienti con disturbo di personalità. Una difficoltà nel comprendere gli stati mentali come eventi interiori, e un rifugiarsi in intellettualizzazioni sterili (che Fonagy chiama pseudo-mentalizzazioni).

Però, nel modello TMI c’è maggiore attenzione per la precisione concettuale. Come sappiamo, in Fonagy la liquidità della definizione di mentalizzazione è quasi una scelta consapevole. La mentalizzazione è un concetto pratico che non è necessario definire con esattezza. Non è questa la scelta degli autori del modello TMI, che invece definiscono con chiarezza i contorni concettuali del loro pensiero.

La parte protocollare del libro descrive un modello applicabile a tutti i disturbi di personalità, in maniera quasi indifferenziata: disturbo di personalità narcisistico, evitante, ossessivo-compulsivo, dipendente, paranoide, passivo-aggressivo e depressivo possono essere tutti trattati dalla TMI con piccoli aggiustamenti. Devo dire che questa scelta mi ha un po’ meno soddisfatto, perché la capacità di non trasformare i disturbi di personalità in una pappa indifferenziata era sempre, stata, a mio parere, un punto di forza del vecchio modello metacognitivo condiviso, quando Dimaggio e Semerari ancora collaboravano.

In questo manuale la TMI è descritta nelle sue procedure passo-dopo-passo, al fine di guidare l’azione del clinico in ogni momento del trattamento, dalla formulazione congiunta del caso alla progettazione e realizzazione del cambiamento.

Il manuale è scritto in un linguaggio accessibile e non gergale, descrive con accuratezza i problemi principali che questi pazienti pongono al terapeuta e offre un ampio ventaglio di soluzioni per risolverli.

 

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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