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Piano del sogno, Pt. 1 – Il sogno come desiderio sommo della nostra umana esistenza.

È curiosa l’analogia tra esperienza onirica notturna e ideale desiderato. Qui mi occupo del sogno come desiderio sommo dell' umana esistenza. Psicologia

Di Gabriele Caselli

Pubblicato il 18 Feb. 2014

E chissà quanti ne hai visti e quanti ne vedrai di giocatori
che non hanno vinto mai
ed hanno appeso le scarpe a qualche tipo di muro
e adesso ridono dentro a un bar,
e sono innamorati da dieci anni
con una donna che non hanno amato mai.
Chissà quanti ne hai veduti, chissà quanti ne vedrai.  

Francesco De Gregori, La leva calcistica della classe ‘68

 

PIANO DEL SOGNO PT.1

Piano del sogno. - Immagine: ©-Andrii-Salivon-Fotolia.comÈ quantomeno curioso l’uso del termine e l’analogia tra l’esperienza onirica notturna e l’ideale desiderato. Qui vorrei occuparmi della seconda veste: il sogno come desiderio sommo della nostra umana esistenza.

Uno degli aspetti caratteristici della mente umana è la possibilità di prefigurarsi i sogni personali e la passione con la quale si cerca di realizzarli.

È quantomeno curioso l’uso del termine e l’analogia tra l’esperienza onirica notturna e l’ideale desiderato. Qui vorrei occuparmi della seconda veste: il sogno come desiderio sommo della nostra umana esistenza. Sin da piccini è culturalmente e socialmente trasmessa l’importanza di avere un sogno nel cassetto. Non solo. La società moderna induce la necessità di coltivare i sogni sotto l’egida del pensiero positivo.

Una vasta corrente di filosofi, motivatori e psicologi urlano l’importanza dei desideri personali, di rimanervi attaccati innanzi alle difficoltà, perseguirli senza timori con strenuo sforzo e imperituro sacrificio. I giovani navigano nei sogni e consumano sforzi (propri e dei familiari) per cercare di realizzarli. Ora più che in passato la macchina del commercio cavalca l’onda dei sogni, nei talent show, nella facilità di accesso a una vetrina telematica, attraverso l’autopromozione condivisa dei social network.

Questo movimento possiede un valore sociale, aumenta non solo l’introito economico ma amplifica anche lo spettro di opportunità e anche di illusioni. Il messaggio educativo è centrato sul sogno. Senza sogni, siamo solo uomini (come se esserlo fosse obiettivo da poco). Senza sogni siamo solo mediocri (come se fosse un male o si possa effettivamente essere qualcosa di diverso).

D’accordo, rallento con il cinismo, che dietro al cinismo si sa, v’è sempre un romantico frustrato. Iniziamo con sottolineare la forza motivante del sogno ideale. La vetta della montagna ha una sua funzione, ci permette di sostenere ostacoli per una gratificazione lontana nel tempo. Offre energia, motivazione ed entusiasmo, passione motoria e concentrazione mentale, esperienze ottimali di flow, vale a dire un completo assorbimento nel viaggio che si sta percorrendo.

E questo di per sé rende felici. E spesso aiuta. Molti personaggi famosi che arricchiscono le copertine patinate di altrettanto famose biografie espongono in bella mostra l’attaccamento ai propri sogni. Mi chiedo quanto sia vasta la parte cieca: quelli che non hanno raggiunto la riva. Di loro poco si conosce. Erano davvero meno attaccati ai sogni, meno fortunati, meno talentuosi. Conosciamo bene coloro che sono stati premiati dal sogno, ma quanti ne vengono bruciati, questo ci è più oscuro. Tuttavia qualche riflessione è lecito farla attorno a questo elogio del sogno, o meglio dell’avere sogni. In particolare può valer la pena chiedersi quando e quanto il sogno ci costringa entro una gabbia.

Il sogno è una spinta motivante verso il raggiungimento dei propri scopi. Ma cosa succede quando l’attaccamento al sogno e alla ricompensa dei propri sforzi diventa rigido e inflessibile? Un sogno è rigido quando non si modula sulla base delle risposte che la realtà offre, anzi si cristallizza. La realtà bastona e la risposta alle bastonate è la chiusura e l’incremento del proprio investimento, ad oltranza. Forse è proprio in questo passo che il sogno diventa una vulnerabilità alla sofferenza psicologica.

Primo, la chiusura nel sogno allontana i dati di realtà fin quasi a non considerarli.

Garantisce di vivere entro i confini della propria mente idilliaca e rassicurante, con l’occhio puntato sempre e solo sulla vetta. Ciò che dicono gli altri e le risposte della realtà divengono meno influenti, talvolta inutili, all’estremo fastidiosi. Le reazioni ad esse si fanno prima evitanti, poi rabbiose e sprezzanti nei confronti di chi o cosa prova ad abbassare il nostro sguardo. Lo sguardo altrove riduce la capacità di adattarsi a ciò che ci circonda, quei maledetti o noiosi cinque centimetri davanti ai piedi.

Secondo: restare a lungo nel desiderio e nel suo perseguimento sostiene il diritto a vederlo realizzato.

Tra le leggi naturali vediamo scritto che a impegno corrisponde successo e se il nostro impegno è smisurato allora lo è il credito che ci è dovuto e conseguentemente il senso di ingiustizia del vederlo insoluto, e infine la rabbia.

E come terzo viene il costo. Sì perché quei cinque centimetri davanti ai piedi che abbiamo smesso di osservare potrebbero essere ricchi e benedetti.

Talvolta vi crescono i piccoli piaceri quotidiani, le esperienze di pace, di condivisione e affetto con gli altri. Gridava Al Pacino in Any Given Sunday “i centimetri sono intorno a noi”, distanti dalla vetta ma a portata della nostra mano. Si tratta del lato brillante della tanto osteggiata mediocrità, quella che il sogno può impedirci di gustare.

E infine la pratica: il lato concreto della semplice sopravvivenza che forse è paradossalmente anche la via migliore per avvicinarsi alla vetta.

D’altronde guardare la vetta non è il miglior modo per vedere come raggiungerla.

Insomma, la testa può stare ogni tanto tra le nuvole, ma l’attenzione è bene che sia anche ai piedi, piantati per terra, al fine di scegliere intanto il prossimo passo.

 

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Gabriele Caselli
Gabriele Caselli

Direttore scientifico Gruppo Studi Cognitivi, Professore di Psicologia Clinica presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna

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