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Catwoman – CIM Nr.02 – Storie dalla Psicoterapia Pubblica

La follia è democratica e colpisce indistintamente tutte le classi sociali. Per arrivare al Cim, però, preferisce farsi accompagnare dalla povertà...

Di Roberto Lorenzini

Pubblicato il 10 Feb. 2014

 

– CIM CENTRO DI IGIENE MENTALE – #02

Catwoman

 

– Leggi l’introduzione –

CIM. Catwoman n.2. - Immagine: ©-alexokokok-Fotolia.comLa follia è democratica e colpisce indistintamente tutte le classi sociali. Per arrivare al Cim, però, preferisce farsi accompagnare dalla povertà.

Biagioli “si era fatto persuaso” che i fantasmi che abitano l’animo umano e, soprattutto, quelli relegati nei più profondi scantinati, fossero resi irrequieti dal mutare delle stagioni e che, in certi periodi dell’anno, la gestione dei pazienti e degli operatori si complicasse non poco.

Ciò poteva spiegarsi biologicamente con il mutare delle ore di luce, sociologicamente con la maggiore pesantezza della solitudine e della povertà in periodi come il Natale o le vacanze estive oppure, secondo Gilda, con il gioco dei mutevoli allineamenti  dei pianeti nei segni zodiacali.

Naturalmente, i periodi di maggiore crisi corrispondevano anche alle ferie degli operatori che, forse, erano esse stesse un motivo delle riacutizzazioni.

In quell’autunno del 1999, col cielo indeciso sempre  sul punto di cacciare con la pioggia un’estate che tutti aveva affannato e non si decideva a finire, un ulteriore motivo tormentava nottetempo le menti: il cambio di millennio riaccendeva fantasie apocalittiche o attese di cambiamenti radicali.

Comunque tutto sarebbe stato diverso ed il nuovo, si sa, che sia brutto o bello, un pochino spaventa.

Con il principiare dell’avvento lo scorrere intenso dell’attività del CIM, che vedeva impegnati gli operatori in genere a coppie o in piccole squadre di tre ad attuare i progetti terapeutici messi a punto nelle periodiche riunioni generali ancora tanto simili alle assemblee del ’68 per democraticità e anche confusione inconcludente, si increspava in onde o creava vortici per l’intensificarsi di emergenze accomunate dall’imperativo di far presto, perché la follia e le sue tracce fossero nascoste sotto il tappeto per non turbare il clima natalizio. Poteva essere l’ultimo Natale, forse il prossimo celebrato insieme a tutti nella comunione dei santi nella valle di Giosafatte.

La follia è democratica e colpisce indistintamente tutte le classi sociali. Per arrivare al Cim, però, preferisce farsi accompagnare dalla povertà. Se è da sola non si fida e sceglie gli studi  privati con la musica in sala d’attesa, meglio quelli di Vontano o di Roma che garantiscono maggiore riservatezza, anche se gli operatori sono gli stessi.

Lo studio privato del Dr. Irati  aveva appuntamenti a due mesi, mentre al CIM, lo stesso medico non aveva alcuna lista d’attesa.

Era dunque inaspettato che il sindaco stesso chiedesse un intervento per la signora Cristina Forni, settantaduenne, benestante grazie alla ricca reversibilità del marito, prestigioso medico condotto di Monticelli scomparso da tre anni ed ancora nella memoria riconoscente di tutti. Aveva reagito positivamente alla morte del marito, per quanto si possa dopo la perdita del compagno di quarant’anni di vita.

Biagioli le aveva portato allora le condoglianze di tutto il CIM, che aveva avuto nel dr. Forni un sensibile collaboratore e le aveva sconsigliato di restare da sola nella grande villa alla periferia sud del paese.

Ma il figlio maggiore, sposato, non aveva spazio nella piccola casa di Roma e il più piccolo era partito per l’Andalusia dopo tre mesi della morte del padre, dove si diceva cercasse fortuna come ristoratore.

Cristina era rimasta con i suoi sei gatti cui dedicava la vita. Per accudirli rinunciava a recarsi a Roma dal figlio anche dopo la nascita del nipotino, attirandosi le critiche del vicinato e della nuora. Di affidare i gatti a qualcun altro non se ne parlava proprio, così come di accettare un aiuto per la gestione domestica. Per tirchieria, orgoglio ed un senso esasperato della privacy non voleva che nessuno entrasse in casa. Le stesse amiche avvertivano di non essere gradite e diradarono le visite.

Una coltre pesante di decadenza, degrado e morte scese progressivamente sulla villa Forni e su Cristina. Il giardino, assediato da erbacce e rovi, ospitava randagi di ogni genere, con una predominante colonia di pantegane che mettevano in fuga i gatti di Cristina sempre più smagriti  per l’assenza dell’attività culinaria molto abbondante, al contrario, quando era in vita il dottore.

Le grondaie intasate facevano scolare l’acqua sulle pareti interne della casa ed una grande macchia di umido, con il tanfo di muffa, si espandeva sui soffitti.

Cristina provava tristezza a cucinare solo per sé, il più delle volte non lo faceva e suppliva con un pezzo di pizza.

Non erano i soldi a mancarle ma la voglia di vivere. L’abbigliamento, un tempo curato ed elegante, mostrava una trascuratezza generale che non risparmiava il corpo dimagrito e dall’igiene approssimativa. Cristina, una delle donne più in vista del paese, stava trasformandosi in una barbona.

Biagioli, sempre in nome del rapporto che lo legava al marito, le aveva prescritto degli antidepressivi. Aveva attivato Silvia, l’assistente sociale, per coinvolgerla  in un corso di pittura per i ragazzi del centro diurno in cui lei avrebbe fatto l’insegnante, avendo un passato di professoressa al liceo artistico.

Sembrava importante darle un ruolo di accudimento e cura in considerazione che era ciò che l’aveva mossa tutta la vita,  dedita ai figli, agli allievi ed ai suoi gatti. Per alcuni mesi la faccenda funzionò e Cristina si riprese anche fisicamente perché mangiava con gli altri al centro diurno, incartando per i suoi mici gli abbondanti resti. Quando mostrava qualche tentennamento e si dichiarava stanca la andava a prendere l’infermiera Luisa con la macchina di servizio.

Il dodici settembre fu proprio Luisa, appena tornata da un servizio esterno con Biagioli non esattamente professionale, sebbene giudicato da entrambi urgente,  a ricevere la telefonata del figlio di Roma: il consolato italiano di Siviglia lo aveva chiamato per comunicargli la morte del fratello in un incidente sul lavoro e voleva fosse il CIM a dare la notizia alla madre.

Non esistono parole adatte per queste notizie. Per togliersi dal cuore il peso di questo compito furono quasi precipitosi e già nell’ingresso della gelida casa avevano comunicato, come un telegramma, la fine a 23 anni della vita di Alberto per mano di un camionista ubriaco. Avevano portato con loro la borsa del pronto soccorso immaginando tempeste emotive e  scompensi cardiologici, erano pronti a tutto ma non a ciò che davvero accadde.

Cristina, come non avesse udito, li invitò ad accomodarsi in salone, chiese a Biagioli se volesse essere così gentile da accendere il caminetto ironizzando sulla sua capacità di farlo, poi si  dileguò in cucina a preparare il caffè e Luisa la sentì borbottare tra sé su come comunicare la notizia al marito. Tornata, ebbe a lamentarsi per la nuova gestione del forno del paese e delle ciambelline alle nocciole, non paragonabili a quelle di un tempo. Almeno il marito, che tanto le apprezzava, non avrebbe dovuto sperimentare questa delusione. Parlò diffusamente del figlio romano e delle preoccupazioni di un genitore quando i figli sono fuori di casa tra i pericoli del mondo.

Biagioli, sconcertato, disse a Cristina che la notizia l’avevano avuta da Marco che era stato avvertito a sua volta dal consolato di Siviglia. Cristina divenne sbrigativa, raccogliendo le tazze del caffè ed il piatto con i dolcetti e li congedò lamentando la trascuratezza dei figli verso i genitori se non hanno nulla da chiedere.

In macchina aumentarono il riscaldamento, per togliersi di dosso il gelo di quell’incontro appunto agghiacciante più di qualsiasi scena di disperazione. Sembrava loro di aver sentito distintamente il rumore di qualcosa che si spezzava per sempre dentro Cristina. Da quel giorno non venne più al centro diurno nonostante Luisa suonasse nei giorni stabiliti al citofono della villa. Nessuno in paese la vedeva più dalla fine di settembre, solo i gatti randagi avevano accesso alla villa.

A fine novembre fu il sindaco Pedrazzoli a chiedere l’intervento del CIM per la preoccupazione dei vicini. Convocata con una lettera in ambulatorio non si presentò e si decise per un trattamento sanitario obbligatorio. Cristina non apriva al citofono del grande cancello e fu forzata la porticina sul retro che dava direttamente su strada.

Appena varcata la soglia Biagioli e Luisa furono investiti da un disgustoso odore dolciastro che chiudeva la gola.

Silvia Ciari, l’assistente sociale che li aveva accompagnati, pensò al peggio e vomitò in un angolo.

Alle loro chiamate una voce lontana rispose. Entrati in camera da letto viderò ciò che non avrebbero più dimenticato: al centro del letto stava Cristina vestita con l’abito della festa, un tailleur grigio fumo e, tutto intorno sul letto, per terra, sul comò, sulle sedie e nell’armadio aperto, scatole di scarpe. Su ogni scatola un nome e il disegno di una croce.

Complessivamente erano 77 i gatti morti che circondavano Cristina, in diverso stato di putrefazione.

La donna, tiratasi su, spiegò che quei piccoli indifesi correvano troppi pericoli nel mondo là fuori e che lei li aveva attirati con prelibatezze nel giardino perchè restassero per sempre al sicuro con lei.

I suoi sei gatti originari erano sul letto e ormai rinsecchiti, gli altri via via più distanti e freschi.

Il medico legale dell’ospedale, non celando il malcontento per il compito che gli veniva chiesto ed inveendo contro la sanità mentale degli operatori del CIM, sostenne che erano stati strangolati con un foulard di seta.

Cristina non voleva lasciare i suoi piccoli e fu necessario un TSO con l’intervento della polizia municipale, anch’essa maledicente il CIM.

Persino i vicini di casa mostrarono ostilità per gli operatori che trascinavano sull’ambulanza una minuta vecchietta che non dava fastidio a nessuno. In sua difesa alcuni ricordarono come girava sempre con le tasche piene di caramelle per i ragazzini.

A Biagioli venne in mente che forse, nonostante l’apparenza, erano arrivati in tempo.

Mentre l’ambulanza si dirigeva verso l’SPDC di Vontano, Biagioli convocò una riunione generale per la mattina successiva. Silvia Ciari, l’assistente sociale avrebbe, attraverso il sindaco, organizzato la totale ripulitura e disinfezione della casa durante il periodo di ricovero, con gli operai comunali o una apposita ditta per riparare tutto il degrado che la villa aveva avuto anche prima di diventare una necropoli felina.

La dottoressa Daniela Ficca avrebbe iniziato dei colloqui già durante il ricovero e poi mantenuto un rapporto psicoterapico dopo la dimissione che, secondo gli accordi, sarebbe durato circa un mese.

Le infermiere l’avrebbero subito ricoinvolta nel corso d’arte al centro diurno.

A Giovanni spettava il compito di contattare il figlio Marco per  organizzare una sua maggiore presenza nella vicenda della madre, ora che era rimasto figlio unico.

Il caso di Cristina, ricordata come la serial killer felina, sarebbe stato seguito da Daniela Ficca, Silvia Ciari, Luisa, Gilda, Giovanni e lo stesso Biagioli. Si sarebbero incontrati ogni 15 giorni per fare il punto della situazione e aggiustare il tiro. Avevano però fatto i conti senza l’oste.

Cristina raggiunse gatti e marito alla fine del terzo giorno di ricovero passando per la finestra della sala visite dell’SPDC. Se non fossero intervenuti forse sarebbe ancora viva? Le avevano fatto una violenza indicibile come sostenevano i vicini? A che punto della storia si sarebbe dovuto intervenire perchè questa prendesse un altro corso? Cosa era successo in quei tre giorni di ospedale?

Sensi di colpa e accuse montano sempre intorno agli eventi luttuosi ma straripano nei casi di suicidio. Cosa si poteva fare e non era stato fatto, cosa era stato fatto che era meglio non fare?

L’idea, suggerita dal figlio, che avesse smesso di soffrire era di ben poca consolazione, loro erano pagati per trovare altri modi di smettere di soffrire e non c’erano riusciti.

Tutti insieme andarono al funerale, non previsto dal bel progetto terapeutico.

 

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