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Psicoanalisi, Identità e Internet di A. Marzi (2013)- Recensione

Psicoanalisi, Identità e Internet: Le fantasie e i sogni che spesso sono materia di sedute terapeutiche possono essere considerati una realtà virtuale.

Di Simona Meroni

Pubblicato il 30 Gen. 2014

 

 

Psicoanalisi, Identità e Internet

Esplorazioni nel Cyberspace

A. Marzi (2013) – Franco Angeli

 

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Psicoanalisi Identita e internet. Esplorazioni nel cyberspace. Franco Angeli (2013) Le fantasie e i sogni che fanno tutti gli esseri umani e che spesso sono materia di sedute terapeutiche possono essere considerati in parte una realtà virtuale.

La realtà virtuale è, infatti, una simulazione della realtà oggettiva e riguarda ogni genere di realtà simulata.

Che cosa avrà mai a che fare la psicoanalisi con la realtà virtuale e con le Nuove Tecnologie? Apparentemente potrebbe sembrare nulla e, invece, anche grazie a questo bel testo che raccoglie contributi da voci ed angolature differenti, la risposta potrebbe stupirci. Potremmo, infatti, scoprire che la psicoanalisi non è (e non è mai stata) semplicemente racchiusa nella stanza di analisi, con un lettino, un taccuino e una matita, ma che raccoglie – come ha sempre fatto – spunti e modalità che afferiscono al clima storico, sociale e culturale del momento. 

Ed è quindi capace di adattarsi, naturalmente con i propri limiti, anche alla modernità. Modernità caratterizzata, come lo stesso Zygmunt Bauman (2000) ci ricorda, da una liquidità di rapporti e di identità, in cui lo spazio per pensare ed essere sembra molto risicato, dando adito così a modalità comunicative nuove, ma anche a patologie o disturbi nuovi. Non si può, naturalmente, pensare che i cambiamenti, anche in analisi, avvengano dall’oggi al domani e che quindi un intero metodo o un’intera teoria modifichi il proprio“assetto” in un batter d’occhio (o, per meglio dire, in un batter di tweet).

Ciò che però trovo interessante di questo testo è la possibilità e la capacità di mettersi in gioco e di riflettere davvero sull’opportunità di aprire un metodo, una teoria e uno strumento di cura anche al nuovo.

Aprirsi significa riflettere nuovamente e mettere a punto strumenti migliori che forse, in fondo, non sono poi così lontani da quelli sinora utilizzati. Sono solo diversi.

Mi viene infatti da pensare al concetto di terapeuta e di setting, e alla fatidica domanda: cosa rende efficace e quindi utile ai fini terapeutici un setting? Forse, più che quello esterno (formato da elementi concreti come il luogo in cui si svolge la seduta, l’orario – tendenzialmente stabile e ripetitivo, quanto meno nel classico setting analitico – etc), conta l’assetto terapeutico, il famoso setting interno, ossia l’assetto mentale e la capacità del terapeuta o di essere con il paziente, di sentire e utilizzare gli strumenti a disposizione per il meglio, di essere in grado di entrare in relazione empatica con le angosce, sentimenti e fantasie della persona che ha davanti.

Le fantasie e i sogni che fanno tutti gli esseri umani e che spesso sono materia di sedute terapeutiche possono essere considerati in parte una realtà virtuale. Ecco perché tale concetto non sembra, a Marzi, il curatore del libro, così lontano all’approccio analitico. La realtà virtuale è, infatti, una simulazione della realtà oggettiva e riguarda ogni genere di realtà simulata.

Ciò significa che anche le immagini mentali o i sogni possono essere considerati in qualche modo realtà virtuale. Potremmo dunque azzardarci ad ipotizzare che in fondo la psicoanalisi (e gli approcci psicoterapeutici più in generale) da sempre ha a che vedere con una realtà virtuale, quella cioè che il paziente porta nella seduta, e che difficilmente corrisponde o può essere ridotta ad una realtà “oggettiva”.

Mi piace molto il paragone tra il cyberspace (luogo nel quale vengono ospitati siti internet, per dirne una) e la mente. Entrambi, infatti, sono luoghi-non luoghi: sono realtà che pur avendo una base fisica e materiale (l’hardware per il cyberspace e il cervello per la mente), risultano in realtà smaterializzati.

Non hanno poi confini, o per meglio dire: la loro esistenza supera i confini materiali. E’ un luogo-metafora che continua ad essere definito comunque da coordinate quali lo spazio e il tempo, ma in realtà non può essere ridotto a nessuna delle due. Allo stesso modo la seduta analitica è scandita dalle variabili di spazio e di tempo, ma non può essere ridotta ad una chiacchierata in una stanza. Stati d’animo, fantasie, angosce, sentimenti si scambiano all’interno della seduta, si intrecciano e possono dare vita a qualcosa di nuovo, ad un germoglio che impiegherà chissà quanto tempo a sbocciare (i risultati di un’analisi o di una terapia, la risoluzione di un sintomo etc.).

Un ulteriore punto di contatto e paragone tra la mente e il cyberspace è la possibilità di utilizzare in entrambi giochi di  proiezioni e di poter mettere alla prova aspetti di sé che altrimenti potrebbero non vedere mai la luce nella realtà “concreta” che, a differenza di quella virtuale, è legata alle due variabili spazio tempo. E’ possibile, infatti, fantasticare e sognare ad occhi aperti di essere come non siamo o ciò che non saremo mai; nel mondo virtuale questa fantasia può assumere la forma di un avatar, di un gioco di ruolo, di un gioco di finzione.

E’ quindi anche concreto e reale il rischio per determinati soggetti (forse in particolar modo gli adolescenti, o i più giovani) di perdersi all’interno di questa voragine virtuale, in cui i confini – lo ripetiamo – non sono poi così netti né definiti e dove quasi risulta un imperativo e non una scelta esserci. Risulta anche difficile, forse, difendersi da un bombardamento sensoriale continuo, da un non poter mai scollegarsi, che può spingere la persona ad essere letteralmente consumata dallo strumento e dal mezzo e non essere più un consumatore o un fruitore del mezzo.

E’ facile perdere il senso della misura e il senso dei confini. Come fanno notare Ardovino e Ferraris (2012): “E’ tutto lì dentro, il mondo è in mano a noi. Quello che però non ti viene detto è che anche tu sei in mano al mondo”.

Ed è altrettanto semplice considerare il computer o lo spazio virtuale come un’estensione della propria mente, uno spazio che riflette gusti, atteggiamenti e modi di essere. Se ci riferiamo a Jeammet (1980) e alla considerazione che l’adolescente sviluppa il proprio Sé anche grazie allo spazio psichico allargato (il mondo della scuola, dei pari, della famiglia), capiamo come il web e le nuove tecnologie possano rappresentare un banco di prova altrettanto importante.

Per i giovani, soprattutto, il web sembra rappresentare una fonte infinita di stimoli, che li raggiungono senza interruzione, rischiando così di creare dei “bulimici sensoriali” che non sono in grado di scollegarsi, pena la perdita della propria identità.

La socialità sembra essersi spostata sulle nuove tecnologie: un po’ forse questo può rappresentare, come gli autori del libro sottolineano, una difesa fobica dal contatto reale, ma anche – semplicemente – un cambiamento nella modalità di fruire le relazioni.

Gli autori sottolineano anche come la dimensione del web metta in risalto soprattutto la dimensione gruppale, del network, della platea e del pubblico, nel quale alcuni soggetti, forse più fragili di altri, potrebbero perdere i propri confini identitari. Questo sembra essere il contraltare della perdita dei così detti garanti meta psichici e meta sociali (Kaes, 2010), le grandi istituzioni (partiti, chiesa, famiglia) che hanno costituito i binari sui quali si sono fondate le identità delle generazioni precedenti.

In mancanza quindi di una socialità articolata, il web potrebbe rappresentare un sostituto nel quale è più semplice mascherare e annullare e non sentire il dolore psichico. Poterlo sopportare e gestire rappresenta, secondo gli autori, l’ingresso nella vita adulta.

Al di là delle possibili ricadute psicopatologiche che la Rete (come qualunque altro mezzo, mi verrebbe da dire) nasconde, a mio avviso il valore di questo testo completo e ben argomentato è il fatto di aver avvicinato la psicoanalisi al mondo del web 2.0, spiegando – forse con un linguaggio un po’ troppo artificioso e tecnico, che potrebbe risultare ostico e noioso ai non addetti ai lavori – come in realtà la fantasia, l’inconscio, e il mondo immaginato e sognato nella stanza d’analisi abbiano molti più punti in comune con il cyberspace di quanto potessimo mai immaginare.

 

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