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Differenze di genere nelle reazioni allo stress – Psicologia

Sono state evidenzite differenze di genere nella sensibilità e nella reazione agli stati di malattia, in particolare in relazione allo stress.

Di Rossana Piron

Pubblicato il 08 Gen. 2014

Aggiornato il 05 Nov. 2014 12:11

Differenze di genere nelle reazioni allo stress - Psicologia. -Immagine:© intheskies - Fotolia.com Il genere ha un ruolo determinante nel caratterizzare gli aspetti fisici del corpo, la struttura del cervello, le tendenze comportamentali, nonché la sensibilità e la reazione agli stati di malattia. 

Genere  ed età sono, come noto, due determinanti fondamentali per la salute. Trattare i due sessi come uguali può essere inappropriato sia nel campo della ricerca che nel campo della clinica.

I dati epidemiologici suggeriscono che le donne vivono più a lungo ma in peggiori condizioni di salute. La categoria più a rischio di incorrere in patologie legate allo stress pare essere quella delle donne lavoratrici, sulle quali grava la maggior parte del lavoro domestico non retribuito (Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sul Lavoro, 2002; Duprè, 2002; ISTAT, 2005; European Foundation for the Improvement of Living and Working Condition, 2007; Reale et al., 2009)

Il genere ha un ruolo determinante nel caratterizzare gli aspetti fisici del corpo, la struttura del cervello, le tendenze comportamentali, nonché la sensibilità e la reazione agli stati di malattia. Le differenze di genere sono inoltre il frutto di una sottile interazione  tra fattori biologici e ambientali,  il ruolo nella società, la concezione di sé e la propria storia personale.

La letteratura scientifica in molte discipline evidenzia come i maschi siano più studiati rispetto alle femmine: la biologia di base dei testi di medicina rispecchia la biologia maschile, lo sviluppo dei farmaci è basato sulla ricerca al maschile. Una ricerca medico-scientifica basata sul genere è l’obiettivo dell’approccio definito Gender Medicine, nella quale si tiene conto di fattori quali la classe sociale, il livello di istruzione, l’età, le condizioni psicologiche, ma soprattutto il genere. I dati epidemiologici (ISTAT, 2005) evidenziano differenze tra uomini e donne: le donne vivono più a lungo ma in condizioni peggiori di salute.

L’indagine ISTAT del 2005 “Condizioni di salute e ricorso ai sevizi sanitari” suggerisce le seguenti percentuali: le donne riferiscono di essere affette, in modo maggiore degli uomini, soprattutto da artrosi/artrite (21,8% contro 14,6%), osteoporosi (9,2% contro 1,1%) e cefalea (10,5% contro il 4,7%); depressione e ansia (7,4% contro il 3,1%); malattie allergiche (11,2% contro 10,3%); ipertensione arteriosa (15,4% contro l’11,8%), diabete (4,7% contro il 4,3%), malattie della tiroide (5,5% contro lo 0,9%); tumore (1,1% contro lo 0,9%).

Continuando con i dati ISTAT, in alcune patologie le donne hanno valori più elevati degli uomini anche nella fascia di età più giovanile (34-35 anni), in particolare per quanto riguarda le malattie della tiroide, allergiche, artrosi e artrite, depressione e ansia, tumore, cefalea (che ha il picco nella fascia d’età 35-44 anni). La disabilità è più diffusa tra le donne (6,1% contro 3,3% degli uomini).

Infine, tra le cause di morte, quelle più frequenti tra le donne sono le malattie dell’apparato circolatorio (46,8%) e il cancro (23,8%). Le malattie dell’apparato respiratorio sono responsabili del 5,5% dei decessi e le causa violente del 3,7%.

Volendo considerare solo le patologie strettamente correlate allo stress, l’Agenzia del Lavoro cita, insieme alle malattie cardiache, anche le malattie psichiche, per le quali le donne sono vittime in percentuali maggiori rispetto agli uomini. In particolare, il 20% di donne rispetto al 17% di uomini riportano sintomi di stress, depressione e ansia (Duprè, 2002).

Nella Quarta Ricerca Europea (European Foundation for the Improvement of Living and Working Condition, Fourth European Working Condition Survey, Denmark, 2007) è emerso che le donne lavoratrici, sulle quali grava la maggior parte del lavoro domestico non retribuito, subiscono più stress rispetto alla quantità di lavoro in più e rispetto alle difficoltà psicologiche nel gestire i ritmi di entrambe le occupazioni, spesso rese incompatibili dalle organizzazioni del lavoro e dal contesto sociale e familiare.

Uno dei principali fattori che condizionano l’equilibrio tra lavoro e vita riguarda il numero di ore lavorate. Livelli molto elevati di soddisfazione per l’equilibrio tra lavoro e vita privata è segnalato da coloro che lavorano meno di 30 ore alla settimana. Il lavoro domestico, per la molteplicità delle mansioni, per la sussistenza di rischi potenziali e per la dispendiosità energetica è collocabile nella graduatoria dei lavori usuranti.

Ciò è sostenuto dalla prevalenza di molte patologie cronico-degenerative in coloro che si occupano prevalentemente di lavori domestici (Reale et al., 2009). La potenzialità patogena aumenta ulteriormente quando si configura come attività aggiuntiva (doppio lavoro). Numerosi studi hanno evidenziato come il doppio carico di lavoro potrebbe avere serie conseguenze sulla salute e sulla sicurezza delle donne, le più esposte a questa condizione (Agenzia Europea per la Sicurezza e la salute sul Lavoro, 2002).

Il lavoro domestico dovrebbe dunque essere considerato alla stessa stregua del lavoro produttivo, con il conseguente riconoscimento dei rischi e una loro standardizzazione, al fine di evitare l’invisibilità dei pericoli fisici, psicologici e sociali ai quali la donna è esposta.

LEGGI:

GENDER STUDIESSOCIETA’ & ANTROPOLOGIA

 

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Rossana Piron
Rossana Piron

Tecnico di Riabilitazione Psichiatrica, Psicologa clinica

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