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Vergogna e Memorie Autobiografiche: l’impatto su Depressione, Ansia sociale e ideazione paranoide.

La vergogna ha una funzione adattiva nel normale sviluppo, con un ruolo significativo nella promozione di comportamenti socialmente accettabili.

Di Redazione

Pubblicato il 11 Dic. 2013

Aggiornato il 11 Mar. 2015 09:32

Caterina Conti.

 

 

Vergogna e memorie autobiografiche. - Immagine: ©-Yael-Weiss-Fotolia.comLa vergogna ha una funzione adattiva nel normale sviluppo, con un ruolo significativo nella promozione di comportamenti socialmente accettabili.

Nonostante il significato evolutivo, quando si presenta come emozione dominante e pervasiva, può contribuire all’evolversi di quadri di sofferenza psicologica.

Esperienze precoci con i caregivers connotate da vergogna come, per esempio, situazioni caratterizzate da umiliazioni, critiche, atteggiamenti degradanti o di sottomissione, hanno un impatto significativo sullo sviluppo dell’identità e sulle rappresentazioni di sé. Diversi studi mostrano l’associazione tra vergogna e sintomi psicopatologici nell’area dei disturbi alimentari, dell’ansia sociale, della depressione e del disturbo post-traumatico da stress. Le esperienze precoci di vergogna possono infatti avere valenza traumatica e generare elevati livelli di arousal, pensieri intrusivi, evitamento.

Infine, memorie legate a situazioni che hanno generato intensa vergogna possono essere integrate come parte centrale delle memorie autobiografiche e, come ampiamente discusso nella letteratura sulle esperienze negative con i caregivers, possono condizionare lo sviluppo di strategie di regolazione emotiva.

Un recente studio (Carvalho et al., 2013) analizza il ruolo delle strategie di evitamento esperienziale nel mediare l’impatto sui sintomi depressivi delle memorie di vergogna, considerando la natura delle esperienze negative che coinvolgono i caregivers e la centralità delle esperienze di vergogna vissute durante l’infanzia e l’adolescenza.

Il concetto di centralità si riferisce alla misura in cui queste memorie divengono punto di riferimento per l’identità personale e per lo sviluppo di aspettative e significati durante le successive esperienze di vita. I risultati mostrano che individui con memorie autobiografiche legate alla vergogna centrali presentano un maggior numero di sintomi depressivi, così come un ruolo altrettanto significativo e indipendente rivestono la frequenza e la natura delle esperienze di vergogna vissute con i caregivers.

 Emerge, inoltre, una maggiore tendenza a controllare o evitare emozioni, sensazioni, pensieri, sia da parte dei soggetti che percepiscono le esperienze di vergogna come fondamentali per la propria identità e storia di vita, sia da parte di coloro che ricordano un maggior numero di esperienze di vergogna e sottomissione legate a critiche e altri comportamenti problematici dei caregivers.

Come ipotizzato dagli autori, il tentativo di evitare le esperienze interne dimostra un ruolo chiave nel determinare l’impatto delle memorie di vergogna e della loro centralità sulla psicopatologia. Ricorrere in modo pervasivo all’evitamento di situazioni che possono evocare vergogna è emerso come un importante mediatore tra memorie di vergogna e sintomi. I risultati dimostrano che l’evitamento media sia l’impatto delle esperienze di vergogna vissute con i caregivers sui sintomi depressivi, sia l’associazione tra la centralità delle memorie di vergogna e lo sviluppo di sintomi depressivi.

Nonostante il campione sia composto da 161 soggetti provenienti dalla popolazione generale, quindi una popolazione non-clinica, questi risultati hanno importanti implicazioni cliniche. Aprono una riflessione sull’importanza di esplorare queste esperienze all’interno della cornice del trattamento di pazienti che presentano una sintomatologia depressiva, e mettono in luce la funzione terapeutica della riduzione dell’evitamento degli stati interni, allo scopo di favorire nel paziente una diversa relazione con le memorie di vergogna e con i correlati emotivi, sensoriali e cognitivi che le costituiscono.

Ulteriori riflessioni sulla valenza clinica di un lavoro mirato su queste memorie emergono da un altro recente studio (Matos et al., 2013) che mette in luce l’impatto della vergogna e delle memorie di esperienze di vergogna su diverse forme di paura sociale: l’ansia sociale e la paranoia.

Lo studio pone in analisi la relazione tra la vergogna, la natura traumatica e la centralità delle memorie di vergogna e ansia e paranoia, su un campione non clinico di 328 soggetti. Gli autori si propongono lo scopo di esplorare i percorsi attraverso i quali esperienze precoci negative conducono allo sviluppo di una forma di ansia focalizzata sulla rappresentazione di sé come vulnerabile di fronte ad un altro ostile, minaccioso, dominante (paranoia) o focalizzata su vissuti di inadeguatezza, difettosità, scarsa attrattiva del sé e sul pericolo del rifiuto o del giudizio dell’altro (ansia sociale).

Gli esiti del lavoro suggeriscono l’esistenza di differenti storie evolutive, diverse funzioni e processi psicologici alla base della paranoia e dell’ansia sociale, pur essendo presenti aree di sovrapposizione tra le due dimensioni.

Dai risultati emerge una maggiore correlazione tra “vergogna esterna” (termine che denota una maggiore attenzione alla mente dell’altro e a come il sé è rappresentato al suo interno) e ideazione paranoide. D’altra parte, la “vergogna interna” (focalizzata sul sé e sugli stati interni) si rivela maggiormente associata all’ansia sociale.

Un altro interessante dato mette in luce che quanto più le memorie sono traumatiche e centrali per l’identità e la storia di vita, più alta è l’associazione con la dimensione della paranoia. La caratteristica traumatica e la centralità delle memorie sembrano essere fattori predittivi della paranoia, ma non dell’ansia sociale, indipendentemente dai vissuti di vergogna attuali.

Queste evidenze contribuiscono alla comprensione dei meccanismi che interagiscono con diversa intensità nel continuum su cui si dipana il pensiero paranoide e al cui estremo patologico troviamo il delirio persecutorio. Una lettura dei risultati alla luce del recente modello proposto da Salvatore (Salvatore et al., 2012) – al quale gli autori degli studi menzionati fanno riferimento -, porta a considerare il significativo ruolo delle precoci e traumatiche esperienze di vergogna nell’evoluzione delle rappresentazioni di sé.

In pazienti proni a vergogna e ansia sociale si è strutturata la rappresentazione di un sé vulnerabile, debole, inferiore, sottomesso, privo di potere e indesiderato a fronte di un altro percepito come dominante, ostile, che può ferire, rifiutare o perseguitare. Le memorie autobiografiche di vergogna contribuiscono a gettare le basi sulle quali si radica un costante senso di minaccia, nutrito dall’alterazione della capacità di comprendere la mente degli altri in modi che permetta di tenere in disparte le attribuzioni automatiche agli altri di intenzioni ostili.

Secondo Salvatore et al. (2012) il senso basico di vulnerabilità e le significative difficoltà di comprendere la mente dell’altro comportano un iperfunzionamento del threat/self protection system e impediscono l’accesso a sentimenti di sicurezza, elevando la vulnerabilità ai sintomi paranoidi.

La riflessione sui risvolti clinici dello studio invita i clinici a focalizzarsi, in pazienti con ansia sociale, depressione legata alla vergogna, e aspetti paranoidi, sulla ricostruzione delle memorie autobiografiche di vergogna e dei loro significati. Il paziente può essere invitato a focalizzare come principale obiettivo terapeutico sull’idea che il senso di vergogna sia legato all’idea di sé vulnerabile e oggetto di derisione o aggressione. Aiutare il paziente a prendere distanza critica da questa prospettiva accedendo a memorie di sé cariche di affetti positivi, discrepanti dallo schema, può essere una strategia fruttuosa (Dimaggio et al., 2013).

 

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