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Prostituzione minorile: quale il ruolo delle famiglie? – Psicologia

Prostituzione minorile: Baby squillo arrestate! Baby squillo, parlano! Baby squillo, il giro si allarga! Queste alcune informazioni che leggiamo ultimamente

Di Francesca Fiore

Pubblicato il 23 Dic. 2013

Prostituzione minorile. - Immagine: © Superingo - Fotolia.comProstituzione minorile: Baby squillo arrestate! Baby squillo, parlano! Baby squillo, il giro si allarga! Queste sono alcune delle informazioni che leggiamo, di recente, sui quotidiani. Sembrano termini antitetici, contrastanti, eppure succede questo: le ragazzine si prostituiscono! Il solo pensare all’associazione tra ragazzine e squillo fa male, crea sgomento, sconforta.

È difficile riflettere sui bambini e legare a questa parola il termine “prostituzione“, soprattutto perché, nella maggior parte dei casi, non rappresenta mai una libera scelta. Usare, dunque, l’aggettivo prostituiti, rende più chiaro il concetto che dietro ogni bambino prostituito c’è qualcuno che ha voluto esplicitamente ridurlo a merce. Comunque, anche quando un minore offre “volontariamente” servizi sessuali lo fa perché indotto da situazioni oggettive e cogenti, in primis la povertà. Solitamente i minori prostituiti provengono da situazioni di emarginazione e di miseria, non a caso, la maggioranza di essi ha origini umili (Bressan, 1999). Ma al degrado economico e sociale si affianca il deterioramento familiare. Infatti, in tutto il mondo la vulnerabilità dei bambini rispetto allo sfruttamento sessuale risiede innanzitutto nelle condizioni di vita e familiari, sia economiche sia emotive (Ambrosini, 2002).

Quanto accaduto di recente, al contrario di quanto comunemente succede, coinvolge bambini/adolescenti che appartengono ad un ceto medio-alto per i quali la prostituzione può essere considerata una scelta autonoma dettata da una forte ribellione interiore, da un grande bisogno di trasgredire che nasce dalla speranza di attirare l’attenzione, classico adolescenziale, di una famiglia distante e disattenta, e di colmare un vuoto esistenziale attraverso la conquista di una disponibilità economica che consenta un facile acquisto di beni (Brown, 2006). Equivale a dire che l’adolescente afferma se stesso attraverso il denaro facile e per questo si sente un adulto. Si tratta di rispondere a delle esigenze dettate dal consumismo vigente nella società contemporanea dove il denaro può tutto, o piuttosto una questione di breakdown adolescenziale? Forse, una commistione di cause!

Spesso sono minori che appartengono ad ambienti familiari deteriorati, disfunzionali, inesistenti, dove ogni membro è sempre impegnato in qualcos’altro di più importante al punto da non vedere il figlio, non considerarlo e non parlare con lui. Si valutano scontati degli aspetti di vita quotidiana che in realtà non lo sono affatto, e il non detto diventa la copertura e il falso consenso al comportamento inadeguato.

Spesse volte si ha a che fare con famiglie monogenitoriali, dove la madre sola, già vittima di disavventure, ha dovuto gestire come poteva la prole, magari senza risorse cognitive alle quali attingere. Quindi, l’adolescente abbandonato e senza regole, senza confini, non messi per rispondere a delle esigenze di falso amore permettendogli tutto, sopperendo a grosse lacune dettate dall’assenza emotiva, ha potuto superare l’insuperabile: vendere il proprio corpo in cambio di denaro!

La cosa che colpisce è che nessuno accenna mai alla figura del padre. Che ruolo hanno nella crescita delle figlie, che funzione svolgono? Eppure, dati clinici fanno propendere per una funzione determinate nella crescita psico-sociale delle figlie. Ma non esistono, non sono presenti in queste famiglie, sia materialmente che emotivamente. Sono sempre impegnati in altro, diverso da ciò che la famiglia richiede, lavoro, affari, interessi. Sembrano estranei e sconosciuti a dei meccanismi di deterioramento familiare, dove ciò che conta è l’apparire (Rohner, & Veneziano, 2001).

In letteratura si evidenzia come questa assenza determina, spesso, nelle adolescenti l’insorgenza di comportamenti non socialmente condivisibili, e torniamo all’inizio del nostro scritto, alla prostituzione.

Spesso si minimizza l’importanza dei padri nello sviluppo soprattutto della figlia, rispetto alla tanto studiata e dibattuta relazione madre-figlia. Ma la relazione padre-figlia è determinante per la creazione del benessere. Infatti, un rapporto qualitativamente buono tra padre e figlia provoca in quest’ultima maggiore benessere psicologico, definito in termini di autostima, migliore soddisfazione di vita e scarso disagio psicologico (Allgood, Beckert, & Peterson, 2012). Insomma, è la qualità del rapporto che è in grado di trasmettere una sensazione di sostegno, d’amore, e nutrimento per le figlie (Chao, 2011). Quando questa qualità non è presente è possibile si possa ricercarla in fittizie relazioni a pagamento dove attimi di finto amore creano l’illusione di un benessere che non esiste, e i soldi potrebbero rinvigorirlo e portare la ragazzina a pensare di poter affermare se stessa attraverso un comportamento adulto, in cui il materialismo del corpo e dei soldi cedono il posto al benessere psichico (Schwartz, & Finley, 2006).

Ma il corpo giovane porterà le cicatrici dei traumi subiti nel tempo.

 

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