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Affaccendarsi – Tribolazioni Nr. 20 – Rubrica di Psicologia

Affaccendarsi: Le persone che si rimproverano per la loro inconcludenza sono spesso quelle che temono di più la noia e la passività.

Di Roberto Lorenzini

Pubblicato il 18 Dic. 2013

 

TRIBOLAZIONI 20

AFFACCENDARSI

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Affaccendarsi. - Immagine: © 2013 Costanza Prinetti.
Affaccendarsi. – Immagine: © 2013 Costanza Prinetti.

Le persone che si rimproverano per la loro inconcludenza sono spesso quelle che temono di più la noia e la passività. Prima preferiscono la tonicità data dall’impegnarsi a prescindere dal risultato. Poi però, scongiurata questa minaccia, si misurano rispetto al risultato e tribolano. 

Molto spesso le persone lamentano la propria inconcludenza il loro affaccendarsi senza risultati e ciò costituisce motivo di rimproveri sul tema dell’incompetenza e dello sperpero di risorse. Prima di chiederci perché lo si metta in atto nonostante sia manifestamente contrario ad un principio economico regolatore dell’intero sistema descriviamo le forme in cui si manifesta  questa cosiddetta inconcludenza.

  1. In primo luogo si lavora per scopi marginali molto debolmente connessi con quello centrale che ci si dice di voler perseguire. La scelta di quale attività intraprendere sembra dettata più da circostanze occasionali esterne che  da una pianificazione interna strategica. Sembrano essere più gli stimoli ambientali che i bisogni interni a determinare in cosa impegnarsi. Si fanno le cose perché sono a portata di mano e “vanno fatte” piuttosto che per una pianificazione complessiva. Terminata un’operazione si passa ad un’altra per contiguità. Il soggetto sembra guidato da un traino orizzontale piuttosto che da un obiettivo strategico. Vengono compiute operazioni appartenenti alla stessa categoria logica della precedente (ad esempio mettere in ordine la cucina, dopo aver messo in ordine i libri) senza chiedersi se la seconda operazione abbia una utilità rispetto agli scopi attivi in quel momento o sia intrapresa semplicemente per contiguità semantica con la precedente. I libri erano stati messi a posto per organizzarsi lo studio. Poi il mettere in ordine ha preso il sopravvento sullo scopo di studiare. Si è come perso il filo.
  2. Un altro modo di esprimersi dell’inconcludenza è di attivare contemporaneamente o in rapida successione  diverse attività che, pur connesse con lo scopo generale attivo, vengono condotte in parallelo con continue sospensioni e riprese ed un conseguente dispendio di tempo ed energie ogni volta che una attività viene messa in pausa per essere sostituita con un’altra e successivamente riattivata.Si iniziano cento attività e non se ne conclude nessuna”. Si lavora in parallelo piuttosto che in serie.
  3. Infine un altro modo di essere inconcludenti consiste nell’indugiare in modo perfezionistico in una attività che dovrebbe essere semplicemente preparatoria, non passando mai alla successiva. Non si riesce a porre fine ad una attività. Non scatta la considerazione di sufficienza che faccia dire “è abbastanza!”

Nella inconcludenza sembra che il fare, l’affaccendarsi, sia importante in sé piuttosto che per i risultati cui dovrebbe condurre. Chi non sta mai fermo sembra impegnato a fuggire una emozione sordida e melmosa quale la noia. Si sperimenta la noia quando per circostanze ambientali (dover aspettare senza poter far nulla) o interne (anedonia, disinteresse) non si hanno scopi attivi.

La noia segnala dunque la transitoria paralisi del sistema motivazionale. Non c’è niente che si possa o per cui valga la pena agire. Il sistema cognitivo è privato di intenzionalità. Non ha una direzione verso cui andare.

Questa mancanza di agentività è sperimentata come pericolosa passività. Nel momento in cui si cessa di essere soggetti intenzionali attivamente impegnati a modellare la realtà si diventa oggetti di questa stessa realtà modellabili a piacimento dagli altri. La noia è avvertita come una minaccia. Il comportamento che logicamente ne conseguirebbe sarebbe l’assenza di ogni attività. Infatti, se non ci sono scopi attivi, la cosa migliore sarebbe sospendere ogni impegno. Attenzione perchè a questo punto probabilmente accade una inversione. Le conseguenze emotive (noia) e comportamentali (inattività) sono scambiate per la causa e si modificano la conseguenze per modificare la causa. Detto in altre parole. La noia e l’inattività sono conseguenze dell’assenza di scopi attivi. Poiché tale assenza è giudicata minacciosa riducendo il soggetto ad oggetto la si vuole rapidamente eliminare. Non si trova di meglio da fare che impegnarsi comunque in attività poco importanti o addirittura ascopiche. L’importante è non fermarsi. Sia per non dare l’impressione agli altri di essere a loro disposizione sia per non ammettere con sé stessi di essere privi di direzione. In effetti nell’immediato anche il fare inconcludente, l’affaccendarsi, ha un effetto positivo sullo stato emotivo.

Scaccia la noia ed è per questo che tale comportamento improduttivo si rinforza e si ripropone ogni volta che non si sappia cosa fare, quando non si ha voglia di niente e tutto sembra inutile. Fin qui non ci sarebbe nulla di male ed anzi potremmo immaginarlo persino utile. Un sistema che si mantiene in attività sarà più allenato e pronto a reagire quando ce ne sarà bisogno. E’ come se facesse una ginnastica preagonistica per mantenersi in forma.

I guai arrivano al tempo dei bilanci e delle valutazioni sul proprio operato. Perché i criteri di valutazione sono quelli spietatamente efficientistici dello pseudo-scopo “della massimizzazione dell’efficienza nell’utilizzo delle risorse” che sembra non essere mai contento. Infatti non sarebbe stato soddisfatto neppure se il soggetto annoiato avesse sospeso ogni attività in attesa dell’attivazione di uno scopo. Come in un doppio legame patogeno propone ingiunzioni contradditorie attive in momenti diversi. Sembra declinarsi ulteriormente in due corollari sottordinati, atttenti l’uno al tempo e l’altro alle risorse. Il primo, attento a  non sprecare tempo, del tipo: “se non hai uno scopo attivo non perdere tempo prezioso e attivane immediatamente uno”. Il secondo,attento a non sprecare risorse, del tipo “se non hai nulla di importante da raggiungere stai fermo e risparmia energia”.

Di fronte alla noia si attiva la prima regola ma il comportamento inconcludente generatosi viene poi giudicato alla luce della seconda. Le persone che si rimproverano per la loro inconcludenza sono spesso quelle che temono di più la noia e la passività. Prima preferiscono la tonicità data dall’impegnarsi a prescindere dal risultato. Poi però, scongiurata questa minaccia, si misurano rispetto al risultato e tribolano. 

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