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Mindfulness, alessitimia e self-differentiation nei Disturbi di Personalità

Trattamento dei Disturbi di Personalità: Mindfulness e Acceptance sono risultati mediatori nella relazione tra capacità di differenziazione e Alessitimia

Di Manuela Pasinetti

Pubblicato il 28 Nov. 2013

Aggiornato il 13 Gen. 2014 13:41

Manuela Pasinetti 

Mindfulness, alessitimia e self-differentiation: implicazioni per il trattamento dei disturbi di personalità

 

Mindfulness, alessitimia e self-differentiation. -Immagine:© ra2 studio - Fotolia.com La mindfulness e l’acceptance sono risultati mediatori nella relazione tra capacità di differenziazione e alessitimia.

Nel corso degli ultimi anni stiamo assistendo ad un crescente interesse da parte del mondo scientifico all’influenza della mindfulness nella regolazione emotiva (Linehan, 1993), la riduzione dello stress (Kabat-Zinn, 1990) e nel trattamento di popolazioni cliniche (Baer, 2003; Segal et al, 2002).

Ancora pochi studi però si sono interessati, ad oggi, della relazione tra mindfulness, capacità di “self-differentiation” e alessitimia.

Il costrutto di self-differentiation può essere descritto a livello intrapsichico e interpersonale.

Parlando di differenziazione ci si può innanzitutto riferire alla capacità di poter ragionare sui propri stati mentali e di assumere da essi distanza critica, ovvero considerare che le proprie idee su di sé e gli altri sono soggettive e che le cose potrebbero essere diverse  viste da un’altra angolatura (Dimaggio e Lysaker, 2011; Dimaggio et al., 2013).

A livello interpersonale, la self-differentiation si riferisce alla capacità di mantenere presenti se stessi e i propri stati emotivi mentre si è coinvolti nell’interazione con altri (Bowen, 1978).

Una scarsa self-differentiation si manifesta nell’incapacità di autoregolazione emotiva e in una forte reattività e impulsività interpersonale. Individui con scarsa capacità di differenziazione del sé sono meno flessibili e capaci di adattarsi in condizioni di stress, in quanto meno abili nel moderare l’arousal emotivo derivante da tali situazioni (Skowron et al., 2004).

L’alessitimia consiste nell’incapacità di ragionare in termini emotivi, a partire dalla difficoltà di individuare e dare un nome alle proprie emozioni e comunicarle agli altri.

Le persone alessitimiche sembrano, quindi, essere meno capaci di dare un senso ai loro stati interni, con conseguenti ricadute negative sulle relazioni interpersonali e sulla gestione dell’attivazione neurofisiologica legata alle emozioni (Lysaker et al., in press).

 

I due costrutti appaiono, pertanto, correlati: problemi di self-differentiation, una scarsa conoscenza delle proprie emozioni sostiene probabilmente la difficoltà a distinguere il proprio mondo da quello degli altri. E’ emerso infatti che chi aveva tratti alessitimici aveva una minore self-differentiation (Blaustein e Tuber, 1998).

La mindfulness ha il potenziale di promuovere entrambe, aiutando la persona a focalizzare sugli stati interni e descriverli in modo non giudicante.

Un recente studio (Teixeira & Graça Pereira, 2013), pubblicato a luglio sulla rivista Mindfulness, si è quindi proposto di valutare il potenziale effetto della mindfulness sui due fattori illustrati precedentemente. In questo studio cross-sectional, un campione di 168 studenti universitari tra i 18 e i 50 anni (M=22) (72% di sesso femminile) è stato valutato sulla base di questionari che indagavano alcune dimensioni della mindfulness – consapevolezza e accettazione -, la differenziazione e l’alessitimia. I risultati hanno rivelato una correlazione positiva tra le diverse dimensioni della mindfulness e correlazioni negative tra queste dimensioni, la differenziazione e l’alessitimia.

La mindfulness e l’acceptance sono risultati mediatori nella relazione tra capacità di differenziazione e alessitimia. In altri termini, la pratica di mindfulness sembra incrementare la self-differentiation e diminuire l’alessitimia, migliorando così la capacità di porre attenzione ai propri stati interni (pensieri, emozioni, scopi, desideri, etc.) anche in un contesto relazionale e la regolazione emotiva.

I risultati conseguiti sembrano convalidare ancora di più l’idea che la mindfulness sia un costrutto con un grosso potenziale sia terapeutico sia di ricerca a diversi livelli. Alla luce di questi risultati è sensato ipotizzare che promuovere la mindfulness conduca a migliorare la capacità di “avere presente nella propria mente il proprio stato, i propri desideri, i propri fini quando ci si occupi della propria esperienza” (Coates, 2006).

A questo proposito, vorrei accennare che è stato sviluppato un protocollo di ricerca basato sulla mindfulness presso il Centro di Terapia Metacognitiva Interpersonale con gruppi di pazienti con disturbi di personalità inibito-coartati – ovvero evitante, dipendente, ossessivo-compulsivo, narcisista e paranoide (Metacognitive Interpersonal Mindfulness Based Training [MIMBT] for Personality Disorders – Ottavi et al., in press).

Questo tipo di pazienti presenta, infatti, deficit nella capacità di self-differentiation e spesso la co-presenza di alessitimia a vari livelli di gravità. Sulla base della nostra esperienza clinica con questa classe di pazienti abbiamo notato, e stiamo notando, quanto la mindfulness sia in grado di aiutarli a riconoscere, definire e ragionare sui propri stati mentali, ad imparare ad osservare gli effetti dei propri schemi interpersonali disfunzionali, a rimanere meno invischiati e bloccati nella ruminazione quando vengono vissute situazioni interpersonali difficili e dolorose.

LEGGI:

MINDFULNESSACCEPTANCE AND COMMITMENT THERAPY – ACT  – DISTURBI DI PERSONALITA’ – DP

Daniel Siegel – La neurobiologia interpersonale – Report dal Workshop

 

 

BIBLIOGRAFIA:

 

AUTORE DELL’ARTICOLO:

Manuela Pasinetti, Psicologa e Psicoterapeuta presso il Centro di Terapia Metacognitiva Interpersonale, Roma

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