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La vita di Adele di Abdellatif Kechiche (2013) – Recensione

La vita di Adele non è un film sull’omosessualità, va molto oltre. La centralità è piuttosto sul passaggio dall’adolescenza all’età adulta.

Di Camilla Marzocchi

Pubblicato il 06 Nov. 2013

Aggiornato il 05 Ago. 2022 12:00

 

Recensione del Film:

La vita di Adele – Palma d’oro a Cannes 2013

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I, I follow, I follow you deep sea baby, I follow you 

I, I follow, I, I follow you, dark boom honey 

I, I follow, I follow you deep sea baby, I follow you 

I, I follow, I follow you dark boom honey 

I follow you ..

(da “I follow rivers”, di Likke Li)

 

La vita di adele di abdellatif kechiche. -Immagine: Locandina

La vita di Adele non è un film sull’omosessualità. Il film non sembra voler portare avanti un tema culturale e politico di lotta all’omofobia, va molto oltre.

La centralità è piuttosto sul passaggio dall’adolescenza all’età adulta, dalle certezze familiari alla costruzione della propria autonomia e legittima libertà di individuo. 

La semplicità e leggerezza della musica che accompagna Adele verso la pienezza dei suoi sentimenti descrive in modo perfetto quell’attimo, quella luce che vediamo all’improvviso accendersi nel suo volto durante la festa del suo 18esimo compleanno.

La vita di Adele di Abdellatif Kechiche (2013) è un affresco coloratissimo di umanità, di sguardi, di volti ed emozioni che difficilmente si trovano così ben rappresentate e con la delicatezza mostrata dal regista. Adele è un’adolescente, tormentata lettrice di romanzi, affamata di vita, curiosa e solida nelle sue certezze e nei valori che la accompagnano: le piacciono gli spaghetti al ragù che cucina il papà e da grande vuole fare la maestra, per restituire al mondo quello che le è stato insegnato.

La storia d’amore con Emma arriverà come arriva ogni storia d’amore a 17 anni: improvvisa, dirompente e accesa da un forte desiderio di perdersi nell’altro, di sentire l’altro vicino con il corpo e con la mente, in modo totale e assoluto. 

Emma è una studentessa di belle arti, dai capelli blu, trasgressiva e pienamente consapevole della sua sessualità. Entra in scena come una guida adulta per Adele, ma a poco a poco trova in lei una musa, trae forza e passione dalla spontaneità con cui Adele si tuffa nella vita.

Attraverso lo sguardo di Emma, Adele inizia allora a conoscersi, a scoprire il suo corpo e la sua sessualità e a costruire una lenta ma necessaria frattura tra il suo mondo prima e dopo l’incontro con lei. Si alternano sul volto di Adele, sempre in primo piano e sempre generoso nell’esprimere emozioni, paura ed eccitamento, tormento e spensieratezza in una danza che descrive la lenta esplorazione dei suoi sentimenti e bisogni più profondi.

La vita di Adele non è un film sull’omosessualità. 

Il film non sembra voler portare avanti un tema culturale e politico di lotta all’omofobia, va molto oltre.

La normalità della scelta di un amore omosessuale è un dato assodato, non più neanche in discussione. L’omofobia compare solo un attimo negli insulti degli adolescenti compagni di classe di Adele, e neppure tutti. Viene presto liquidata come una reazione dovuta all’immaturità, al facile giudizio. Null’altro.

La centralità è piuttosto sul passaggio dall’adolescenza all’età adulta, dalle certezze familiari alla costruzione della propria autonomia e legittima libertà di individuo. 

La storia di Adele è la storia di chiunque si sia innamorato a 17 anni e abbia lottato per affermare il suo sentimento, forte e impossibile da lasciare inascoltato.

Il bisogno di capire cosa vuol dire “che manca qualcosa al cuore” – domanda con cui si avvia il film in un’appassionata lezione dell’insegnante del liceo di Adele – è un bisogno che diventa quasi fisiologico, che guiderà tutte le scelte di Adele da lì in poi. Proprio come la fame, il sonno. Semplicemente una necessità.

Il film assume dunque le caratteristiche di un romanzo di formazione, piuttosto che di una storia d’amore.

Permette di spiare la sua protagonista da una prospettiva vicinissima, di coglierne dubbi e incertezze, di seguirla per tutti i 179 minuti della pellicola, mentre esplora il mondo altro da casa sua. 

Quell’ “impressione di fare finta su tutto” è la scintilla che avvia la sua ricerca: la sensazione di non avere un’identità stabile, di non essere completa passeranno da lacrime amare ed esplosioni di gioia, ma nel vestito blu in cui si muove nel secondo ed ultimo capitolo del film possiamo vederla finalmente autentica e completa.

Pronta a continuare la sua corsa, a soffrire e a crescere ancora.

 

LEGGI:

ADOLESCENTILGBT – LESBIAN GAY BISEX TRANSGENDERCINEMA – AMORE E RELAZIONI SENTIMENTALI

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